La bussola. Operatori della pesca al centro della transizione verso l’economia circolare del mare – Di recente su questa rubrica mi sono soffermato su un nuovo ruolo degli “operatori della pesca”, così come definiti dall’Unione Europea, e precisamente quello di “pescatori di rifiuti”.
Premesso che il mio pensiero dominante è che i pescatori debbano comunque essere messi nelle condizioni di poter continuare ad esercitare e a sviluppare la propria professione naturale, principio puntualmente proclamato dall’UE ma che sulla sua effettiva realizzazione pratica non sembra che attualmente si raccolgano nel settore molte voci di conferma, tuttavia non si può negare la validità della creazione di forme di diversificazione dell’attività di pesca improntate su ruoli che pongano gli operatori della pesca ad assumere realmente la funzione di “custodi del mare”.
In origine si è puntato su quello della conservazione del patrimonio culturale delle comunità costiere attraverso la promozione di iniziative di pescaturismo e di ittiturismo a cui, adesso, si stanno fortemente aggiungendo quelle della salvaguardia ambientale intesa come contributo alla “pulizia” del mare sia accidentalmente, durante l’ordinario esercizio dell’attività, che volontariamente.
Agenda ONU 2030 e Piano d’Azione UE per l’Economia Circolare
Fermandoci un momento per osservare il panorama internazionale di riferimento al fine di una migliore comprensione di quanto verrà successivamente trattato, riscontriamo molte posizioni e indicazioni a difesa dell’ambiente marino, già parzialmente richiamate in diverse occasioni in questa rubrica, i cui capisaldi sono rappresentati dall’ Agenda ONU 2030 e dal recente Piano d’Azione UE per l’Economia Circolare.
Primo caposaldo
Il primo caposaldo, nel più ampio impegno nella promozione di una transizione verso modelli più sostenibili, rimarca il ruolo fondamentale degli oceani e dei mari per la vita sul pianeta richiamando ad una attenta gestione di questa risorsa globale per uno sviluppo sostenibile.
Tale presa di posizione, sottoscritta nel 2015, era stata preceduta da diversi step in cui la comunità internazionale, partendo dall’affermazione nel 1992 della necessità di coniugare sviluppo e ambiente, ha progressivamente sviluppato degli obiettivi che integrino aspetti economici, sociali e ambientali.
Sono state previste delle scadenze entro le quali eseguire dei report sul reale avanzamento delle attività dirette, nel nostro caso, alla (drastica) riduzione dell’inquinamento marino e la prossima verifica è programmata per il 2025.
Il nostro Paese risulterebbe in forte ritardo, parzialmente smorzato dall’emanazione, nello scorso anno, della cosiddetta “legge salvamare” che in realtà non è ancora pienamente operativa.
Vale la pena sottolineare come anche l’attività di pesca sia finita sotto la lente d’ingrandimento dell’Agenda ONU 2030 con la richiesta di concrete iniziative per la preservazione delle risorse ittiche, per il contrasto a tutte le forme di pesca illegale nonché il divieto di talune forme di sovvenzione.
Secondo caposaldo
Passando al secondo caposaldo, nel 2020 l’UE ha adottato un aggiornamento della legislazione sulla gestione dei rifiuti per promuovere la transizione verso un’economia circolare in alternativa alla ancora predominante economia lineare.
Com’è noto, con l’economia circolare si estende il ciclo di vita dei prodotti contribuendo a ridurre i rifiuti con l’adozione, laddove possibile, della reintroduzione con il riciclo.
Tale principio ha costituito il motore affinché il Parlamento Europeo, con una risoluzione non legislativa del 2021, spingesse sulla riduzione dei rifiuti marini affermando, in particolare, che l’aumento del riciclaggio nel settore della pesca e la riduzione sostanziale dell’uso della plastica rappresentino la chiave per un mare più pulito.
Ciò va a ricollegarsi alla Direttiva quadro sulla strategia marina emanata dall’UE nel 2008 per mantenere gli ecosistemi marini puliti, sani, produttivi e resilienti, garantendo al tempo stesso un uso più sostenibile delle risorse marine con il beneficio di un contributo diretto all’ambizione del Green Deal europeo, vale a dire la strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030.
Se l’ONU e la UE, sono in prima linea per la risoluzione del problema dei rifiuti marini, va segnalato che anche altre istituzioni, come ad esempio la FAO e l’ IMO, pur essendo già Istituti specializzati dell’ONU, stanno sviluppando autonomi progetti proprio sul tema dei rifiuti marini, anche con il coinvolgimento di vari Stati, al fine di giungere alla creazione di modelli di riferimento.
La protezione dell’ambiente marino affrontata in diverse legislazioni
Da un esame più approfondito di queste norme emerge chiaramente come la protezione dell’ambiente marino sia stata affrontata in diverse legislazioni, aventi anche temi differenti, a dimostrazione della sua indiscussa centralità, facendo nascere pertanto l’esigenza del ricorso ad una più ampia governance integrata che comprenda leggi, regole e comportamenti.
Aprendo una breve parentesi, non passa inosservata la contestata commistione contenuta nei vari provvedimenti internazionali tra la missione della protezione delle risorse ittiche e la lotta globale al cambiamento climatico che è sfociata però nell’evidente accentuazione delle restrizioni sulle attività di pesca.
Ritornando alla nostra tematica, tutti i sopra richiamati intendimenti internazionali sono chiaramente rivolti soprattutto a frenare l’inquinamento marino ma ci si deve porre in maniera decisa anche il problema che i mari necessitano di essere “ripuliti”.
Se si considera che gli oceani e i mari costituiscono oltre il 70% della superficie del pianeta, ci si rende conto che la questione non può essere affrontata esclusivamente attraverso interventi direttamente costituiti.
Pertanto, è stata sviluppata l’idea di coinvolgere gli operatori della pesca i quali, sia dal punto vista numerico che operativo, possono garantire una migliore riuscita dell’azione.
D’altronde si tratta di dare maggiore organizzazione a ciò che già ai pescatori capita e cioè raccogliere rifiuti, soprattutto quelli galleggianti, con l’aggiunta delle fasi successive di deposito e di smaltimento.
I fondi FEAMP e FEAMPA
Dal canto suo, l’Unione Europea con i fondi strutturali del FEAMP e, soprattutto, con quello attuale del FEAMPA ha concretamente abbracciato tale idea prevedendo un sostegno economico per iniziative che coinvolgano sia gli operatori della pesca in campagne di pulizia dei mari sia le Amministrazioni pubbliche nella realizzazione di impianti, possibilmente portuali, per il deposito dei rifiuti pescati sia accidentalmente che volontariamente.
In particolare, il suddetto FEAMPA rappresenta a mio avviso un grosso balzo in avanti poiché introduce un approccio sistematico al tema in questione attraverso l’incoraggiamento a costituire delle apposite filiere per la gestione dei rifiuti marini in cui le fasi di raccolta, deposito/stoccaggio, trasporto, smaltimento/riciclaggio non siano distaccate o autonome fra di loro ma facciano parte di un sistema integrato e coordinato.
Il coordinamento
A mio parere, è su questo aspetto di coordinamento, finora poco preso in considerazione, che bisogna indirizzare gran parte degli sforzi organizzativi, e fare in modo che esso costituisca il punto di forza della filiera.
Non va trascurato inoltre, il necessario supporto e sviluppo di tecnologie che consentano di raggiungere elevati standard qualitativi in ciascuna di queste fasi come, ad esempio:
– la sperimentazione e lo sviluppo di attrezzi e di metodi di raccolta dei rifiuti da parte degli operatori della pesca, sia in superficie che sui fondali, che consentano di non intaccare le risorse ittiche presenti;
– l’automazione delle strutture di deposito/stoccaggio dei rifiuti che faciliti il loro conferimento da parte degli operatori della pesca;
– la realizzazione di prodotti, ad uso della pesca professionale, con materiali provenienti dal riciclaggio dei suddetti rifiuti e che realizzerebbe uno dei punti dell’obiettivo comunitario di collegamento tra il mondo della pesca e quello dell’ambiente verso metodi di pesca sostenibili.
In conclusione, la messa in campo di queste ultime strategie darebbe un forte sostegno alla transizione verso l’economia circolare del mare con gli operatori della pesca direttamente coinvolti in un ruolo di primaria importanza.
La bussola. Operatori della pesca al centro della transizione verso l’economia circolare del mare
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