Mese: Febbraio 2024 Pagina 26 di 75

Verso un futuro equo e sostenibile per la pesca italiana?

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Verso un futuro equo e sostenibile per la Pesca italiana? – Le ultime dichiarazioni del ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, evidenziano un impegno significativo del governo italiano nel riconoscere e valorizzare il ruolo dei pescatori, paragonandoli a veri e propri “coltivatori del mare”. Questa metafora non solo eleva il lavoro dei pescatori ma sottolinea anche l’importanza vitale che questa attività riveste per l’approvvigionamento alimentare del Paese.

La modifica della legge 102 nell’ultima legge di bilancio, voluta per eliminare le disparità di trattamento tra pescatori e agricoltori, rappresenta un passo importante verso la creazione di un sistema di produzione più equo e sostenibile. Tuttavia, la pesca in Italia, come in molti altri Paesi dell’Unione Europea, si trova di fronte a grandi sfide, tra cui la necessità di conciliare l’attività produttiva con la tutela dell’ambiente marino.

La sostenibilità ambientale, tema centrale nelle politiche di regolamentazione della pesca, richiede un equilibrio delicato tra la conservazione delle risorse ittiche e la garanzia di una continuità economica per le comunità che dipendono dalla pesca. Il calo dello sforzo di pesca del 40% in Italia, rispetto alla media UE del 28%, riflette l’impatto particolarmente severo che le misure di sostenibilità hanno avuto sulle marinerie italiane. Questo dato evidenzia l’urgenza di politiche che siano non solo ambientalmente sostenibili ma anche socialmente e economicamente eque.

La pesca a strascico e le politiche Ue

La questione della pesca a strascico e l’impatto delle politiche europee sulle specificità del settore ittico nazionale sollevano un punto critico: la necessità di politiche che riconoscano e valorizzino le diversità locali, senza penalizzare quelle pratiche di pesca che sono parte integrante dell’economia e della cultura di determinate aree.

In questo scenario, emerge l’urgenza di una riflessione più ampia sul futuro del settore della pesca in Italia e in Europa. È fondamentale che le politiche di regolamentazione siano formulate in modo da supportare i pescatori nel loro passaggio verso pratiche più sostenibili, senza compromettere la loro sopravvivenza economica. Ciò richiede un dialogo costante tra governi, istituzioni europee, pescatori, comunità scientifiche e associazioni ambientaliste, per costruire insieme un percorso che consenta di preservare le risorse marine per le generazioni future, garantendo al contempo la sostenibilità sociale ed economica delle comunità che dipendono dalla pesca.

Il settore della pesca in Italia si trova a un bivio, dove la necessità di proteggere l’ambiente marino deve essere bilanciata con l’esigenza di sostenere le economie locali. La modifica legislativa citata dal ministro Lollobrigida è un segnale positivo, ma è solo l’inizio di un percorso che deve essere perseguito con determinazione e visione, per garantire un futuro prospero e sostenibile alla pesca italiana.

Verso un futuro equo e sostenibile per la Pesca italiana?

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Allarme pesca: con eolico offshore -11,6% di superficie disponibile

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Allarme pesca: con eolico offshore -11,6% di superficie disponibile – La costruzione dei 67 impianti eolici off-shore progettati nei mari italiani, con le geolocalizzazioni attualmente previste, sottrarrebbe una superficie di circa 13.000 Km. quadrati alle attività di pesca professionale, in particolare lo strascico, e di maricoltura, con inevitabili ripercussioni sulla loro sostenibilità economica, in relazione ai volumi del pescato e all’occupazione, producendo effetti particolarmente pesanti per le marinerie attive nelle acque marittime della Puglia Centrale e meridionale, della Sardegna Meridionale e della Sicilia Sud-Occidentale. Relativamente all’impatto occupazionale, si stima una perdita di oltre 4.000 addetti -senza tenere conto del ridimensionamento che subirebbe l’ampio indotto industriale e commerciale- concentrati soprattutto nella Sicilia Sud-Occidentale (oltre 2.000 addetti in meno), in Puglia centrale e meridionale (-1.000), Sardegna meridionale (-500). Seguono Romagna (-300), Lazio (-200), Calabria e Sicilia Ionica (-200).

È quanto emerge dallo “Studio di ricognizione e approfondimento sullo sviluppo delle attività legate alle risorse energetiche alternative (impianti eolici off-shore) e delle interazioni con le attività di pesca e acquacoltura”, realizzato dal Consorzio Mediterraneo, struttura di ricerca aderente a Legacoop Agroalimentare.

L’eolico off-shore riveste un carattere essenziale per l’obiettivo, indicato dal PNIEC, di raggiungere entro il 2030 una percentuale di energia prodotta da fonti energetiche rinnovabili pari al 30% dei consumi finali lordi relativi al nostro Paese. A partire da questa valutazione, lo Studio prende in esame le conseguenze che la riduzione della superficie marina utilizzabile conseguente alla destinazione di spazi alla realizzazione degli impianti eolici off-shore previsti produrrebbe sulle attività di pesca professionale, in particolare lo strascico, e di maricoltura. Si tratta, come detto, di 67 impianti (compreso l’unico per ora attivo in Italia, posizionato nella rada esterna del porto di Taranto e insediato su una concessione di modeste dimensioni): 18 proposti per la Sicilia, 18 per la Sardegna, 15 per la Puglia, 6 per la Calabria, 6 per il Lazio, 3 per l’Emilia Romagna. Tra l’altro, per molti impianti si evidenziano aree di sovrapposizione, che sarebbe opportuno evitare avviando, prima della definizione di nuovi impianti eolici in mare, un’attenta analisi sulle autorizzazioni già concesse o in via di rilascio. Considerando che l’attuale superficie marittima utilizzabile per la pesca a strascico è di poco più di 112mila km², pari a poco più del 32% della superficie complessiva delle acque marine italiane (oltre 350 mila km², dei quali quasi 200 mila interdetti alla pesca a strascico), la riduzione di 13.000 km² determinata dalla realizzazione degli impianti previsti significherebbe sottrarre un ulteriore 11,6% della superficie dei mari di giurisdizione italiana utilizzabile per questo tipo di attività. Un valore che può apparire trascurabile su scala nazionale, ma che assume ben altro rilievo se si considera che gli impianti progettati non sono uniformemente distribuiti lungo le coste italiane, ma fortemente concentrati, sovrapponendosi su zone di mare fortemente sfruttate dalla pesca professionale.

Infatti, se si prende in esame la fruibilità di superficie marittima per le GSA (Geographical Sub Areas, le aree in cui è suddiviso il Mediterraneo per la gestione della pesca) interessate dalla futura costruzione di impianti eolici off-shore, i valori sono molto più allarmanti. Ad esempio, per la GSA 16 (area marina della costa meridionale della Sicilia) la riduzione della superficie per la pesca a strascico sarebbe del 62,1%; per la GSA 18 (Mare Adriatico lungo le coste della Puglia) del 43,5%; per la GSA 11 (Sardegna) del 15,3%. A farne le spese sarebbero aree frequentate da marinerie di estrema rilevanza per la pesca nazionale. In Sicilia, ad esempio, le marinerie di Mazara del Vallo, Sciacca, Marsala, Trapani, dovrebbero fare i conti con una riduzione della superficie disponibile per le proprie attività di circa 2.680 Km2, per la localizzazione di 11 dei 18 impianti previsti.

In Puglia, i 15 impianti progettati, distinti in tre raggruppamenti (6 localizzati al largo delle coste del Gargano, del Golfo di Manfredonia e dei Comuni costieri della Puglia centro-settentrionale; 4 al largo delle coste dei Comuni costieri della Puglia centro-meridionale; 5 al largo delle coste più meridionali della Puglia e nel Golfo di Taranto) determinerebbero una riduzione della superficie disponibile di circa 3.550 km². Anche in questo caso, ne sarebbero fortemente condizionate le attività di marinerie di grande rilievo. Per la Puglia settentrionale e centrale, quelle di Manfredonia, Barletta, Molfetta, Bari, Mola di Bari, Monopoli e Brindisi (379 imbarcazioni, pari al 28,8% del registro delle barche da pesca e al 35,46% di quelle da strascico), attive in particolare nella pesca a strascico. Per la Puglia meridionale, oltre che per lo strascico demersale e profondo, si determinerebbe un intralcio pesante alle attività di tutta una serie di marinerie (Otranto, Gallipoli, S. Maria di Leuca, Porto Cesareo) che operano con palangari derivanti per la cattura dei grandi pelagici (pesce spada, tonno rosso): attrezzi che possono rimanere in pesca per più di 24 h, solitamente operativi molto a largo rispetto alla costa, e che una volta calati in mare seguono l’andamento delle correnti e vengono direzionati da queste. Nel loro tempo di pesca possono percorrere molte miglia nautiche verso direzioni non prevedibili a priori e, nel loro percorso, potrebbero entrare nelle concessioni degli impianti eolici con conseguenze disastrose per l’integrità degli attrezzi.

In Sardegna, dei 18 impianti progettati, 12 interesseranno soprattutto le acque prospicienti la costa meridionale dell’isola (interessando batimetrie e distanze dalla costa che soprattutto rientrano nell’operatività della flotta peschereccia abilitata alla pesca costiera ravvicinata), formando una cintura di sbarramento di 1.572 km², pressoché continua, per importanti marinerie, come quella di Cagliari e quella di Sant’Antioco (la parte nettamente preponderante delle 541 imbarcazioni iscritte al registro della pesca, che rappresentano il 43% delle imbarcazioni da pesca dell’isola e il 54% di quelle da strascico).

Ridefinire la collocazione degli impianti; le proposte di Legacoop Agroalimentare

In conclusione, pescatori e maricoltori guardano con attenzione alle potenzialità della produzione di energie rinnovabili attraverso l’eolico offshore, ma anche alle criticità, in particolare la consistente sottrazione di superfici utili e le notevoli complicazioni per quanto riguarda la navigazione, cui si aggiunge il rischio di un’ulteriore forte limitazione alle attività per la presenza dei cavidotti per il trasporto dell’energia a terra. Non a caso la Corte dei Conti europea nella relazione speciale “Energie rinnovabili offshore nell’UE-Piani di crescita ambiziosi ma rimane la sfida della sostenibilità” sottolinea che “la coesistenza di diversi settori con le energie rinnovabili offshore non è ancora una pratica comune: in particolare, in alcuni paesi dovrà essere affrontato meglio il conflitto irrisolto con la pesca”.

“Facendo tesoro delle esperienze europee, di documenti recenti, e dell’esperienza di pescatori e maricoltori -sottolinea Cristian Maretti, presidente di Legacoop Agroalimentare- avanziamo una serie di proposte operative come base per un confronto costruttivo con i decisori politici e le società del settore, a cominciare da un coinvolgimento di tutti gli stakeholder nella fase di recepimento e attuazione della Direttiva UE 2023/2413 per analizzare attentamente, in fase di progettazione degli impianti eolici off-shore, le loro interazioni negative con le attività di pesca basandosi non solo sui dati A.I.S., ma anche e soprattutto su dati ed elementi conoscitivi che possono essere forniti dalle Associazioni di Categoria e dalle marinerie”. In dettaglio, queste le proposte avanzate da Legacoop Agroalimentare: inserire le aree occupate dagli impianti eolici nelle aree di protezione ambientale, ai fini del raggiungimento del 30% delle aree marine protette richiesto dall’Unione europea entro il 2030; interrare e proteggere i cavi di trasporto dell’energia elettrica a terra, in modo da consentire alle imbarcazioni a strascico di non interrompere le cale in loro prossimità; prevedere norme e strategie per consentire la piccola pesca artigianale con attrezzi fissi, all’interno delle aree occupate dagli impianti eolici; progettare canali per la navigazione ed eventualmente anche per la pesca a strascico all’interno delle aree occupate dagli impianti eolici; promuovere attività di maricoltura all’interno delle aree occupate dagli impianti eolici e valutarne l’attuabilità sul piano tecnico e legislativo; concordare con le Associazioni del settore e le cooperative di pesca e acquacoltura le modalità per l’accesso alla raccolta dei mitili dalle strutture immerse e ad altre eventuali forme di allevamento per favorire l’uso polivalente delle zone in linea con gli obiettivi della Direttiva UE 2023/2413 sulla promozione dell’energia da fonti rinnovabili; promuovere una comunicazione efficace sulle sinergie tra i settori di pesca/maricoltura ed eolico offshore; accordi e protocolli tra società elettriche di gestione e cooperative di pesca e acquacoltura.

Modalità di realizzazione dello studio

Lo Studio è basato sulla geolocalizzazione degli impianti eolici in mare esistenti e di quelli progettati, effettuata utilizzando i dati disponibili sull’archivio del MASE poi trasposti su piattaforma GIS (Geographic Information System), individuandone il posizionamento in relazione alle linee batimetriche, alle linee di base e alla linea di individuazione delle acque territoriali. Per due aree campione (Puglia centrale e Sardegna meridionale) sono poi stati incrociati con i dati relativi alla consistenza effettiva della flotta di pesca e dello sforzo di pesca dello strascico demersale per le imbarcazioni di oltre 15 m di lunghezza fuori tutto, utilizzando sistemi informativi di rilevamento (AIS, Automatic Identification System).

Allarme pesca: con eolico offshore -11,6% di superficie disponibile

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Allarme pesca: con eolico offshore -11,6% di superficie disponibile

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Allarme pesca: con eolico offshore -11,6% di superficie disponibile – La costruzione dei 67 impianti eolici off-shore progettati nei mari italiani, con le geolocalizzazioni attualmente previste, sottrarrebbe una superficie di circa 13.000 Km. quadrati alle attività di pesca professionale, in particolare lo strascico, e di maricoltura, con inevitabili ripercussioni sulla loro sostenibilità economica, in relazione ai volumi del pescato e all’occupazione, producendo effetti particolarmente pesanti per le marinerie attive nelle acque marittime della Puglia Centrale e meridionale, della Sardegna Meridionale e della Sicilia Sud-Occidentale. Relativamente all’impatto occupazionale, si stima una perdita di oltre 4.000 addetti -senza tenere conto del ridimensionamento che subirebbe l’ampio indotto industriale e commerciale- concentrati soprattutto nella Sicilia Sud-Occidentale (oltre 2.000 addetti in meno), in Puglia centrale e meridionale (-1.000), Sardegna meridionale (-500). Seguono Romagna (-300), Lazio (-200), Calabria e Sicilia Ionica (-200).

È quanto emerge dallo “Studio di ricognizione e approfondimento sullo sviluppo delle attività legate alle risorse energetiche alternative (impianti eolici off-shore) e delle interazioni con le attività di pesca e acquacoltura”, realizzato dal Consorzio Mediterraneo, struttura di ricerca aderente a Legacoop Agroalimentare.

L’eolico off-shore riveste un carattere essenziale per l’obiettivo, indicato dal PNIEC, di raggiungere entro il 2030 una percentuale di energia prodotta da fonti energetiche rinnovabili pari al 30% dei consumi finali lordi relativi al nostro Paese. A partire da questa valutazione, lo Studio prende in esame le conseguenze che la riduzione della superficie marina utilizzabile conseguente alla destinazione di spazi alla realizzazione degli impianti eolici off-shore previsti produrrebbe sulle attività di pesca professionale, in particolare lo strascico, e di maricoltura. Si tratta, come detto, di 67 impianti (compreso l’unico per ora attivo in Italia, posizionato nella rada esterna del porto di Taranto e insediato su una concessione di modeste dimensioni): 18 proposti per la Sicilia, 18 per la Sardegna, 15 per la Puglia, 6 per la Calabria, 6 per il Lazio, 3 per l’Emilia Romagna. Tra l’altro, per molti impianti si evidenziano aree di sovrapposizione, che sarebbe opportuno evitare avviando, prima della definizione di nuovi impianti eolici in mare, un’attenta analisi sulle autorizzazioni già concesse o in via di rilascio. Considerando che l’attuale superficie marittima utilizzabile per la pesca a strascico è di poco più di 112mila km², pari a poco più del 32% della superficie complessiva delle acque marine italiane (oltre 350 mila km², dei quali quasi 200 mila interdetti alla pesca a strascico), la riduzione di 13.000 km² determinata dalla realizzazione degli impianti previsti significherebbe sottrarre un ulteriore 11,6% della superficie dei mari di giurisdizione italiana utilizzabile per questo tipo di attività. Un valore che può apparire trascurabile su scala nazionale, ma che assume ben altro rilievo se si considera che gli impianti progettati non sono uniformemente distribuiti lungo le coste italiane, ma fortemente concentrati, sovrapponendosi su zone di mare fortemente sfruttate dalla pesca professionale.

Infatti, se si prende in esame la fruibilità di superficie marittima per le GSA (Geographical Sub Areas, le aree in cui è suddiviso il Mediterraneo per la gestione della pesca) interessate dalla futura costruzione di impianti eolici off-shore, i valori sono molto più allarmanti. Ad esempio, per la GSA 16 (area marina della costa meridionale della Sicilia) la riduzione della superficie per la pesca a strascico sarebbe del 62,1%; per la GSA 18 (Mare Adriatico lungo le coste della Puglia) del 43,5%; per la GSA 11 (Sardegna) del 15,3%. A farne le spese sarebbero aree frequentate da marinerie di estrema rilevanza per la pesca nazionale. In Sicilia, ad esempio, le marinerie di Mazara del Vallo, Sciacca, Marsala, Trapani, dovrebbero fare i conti con una riduzione della superficie disponibile per le proprie attività di circa 2.680 Km2, per la localizzazione di 11 dei 18 impianti previsti.

In Puglia, i 15 impianti progettati, distinti in tre raggruppamenti (6 localizzati al largo delle coste del Gargano, del Golfo di Manfredonia e dei Comuni costieri della Puglia centro-settentrionale; 4 al largo delle coste dei Comuni costieri della Puglia centro-meridionale; 5 al largo delle coste più meridionali della Puglia e nel Golfo di Taranto) determinerebbero una riduzione della superficie disponibile di circa 3.550 km². Anche in questo caso, ne sarebbero fortemente condizionate le attività di marinerie di grande rilievo. Per la Puglia settentrionale e centrale, quelle di Manfredonia, Barletta, Molfetta, Bari, Mola di Bari, Monopoli e Brindisi (379 imbarcazioni, pari al 28,8% del registro delle barche da pesca e al 35,46% di quelle da strascico), attive in particolare nella pesca a strascico. Per la Puglia meridionale, oltre che per lo strascico demersale e profondo, si determinerebbe un intralcio pesante alle attività di tutta una serie di marinerie (Otranto, Gallipoli, S. Maria di Leuca, Porto Cesareo) che operano con palangari derivanti per la cattura dei grandi pelagici (pesce spada, tonno rosso): attrezzi che possono rimanere in pesca per più di 24 h, solitamente operativi molto a largo rispetto alla costa, e che una volta calati in mare seguono l’andamento delle correnti e vengono direzionati da queste. Nel loro tempo di pesca possono percorrere molte miglia nautiche verso direzioni non prevedibili a priori e, nel loro percorso, potrebbero entrare nelle concessioni degli impianti eolici con conseguenze disastrose per l’integrità degli attrezzi.

In Sardegna, dei 18 impianti progettati, 12 interesseranno soprattutto le acque prospicienti la costa meridionale dell’isola (interessando batimetrie e distanze dalla costa che soprattutto rientrano nell’operatività della flotta peschereccia abilitata alla pesca costiera ravvicinata), formando una cintura di sbarramento di 1.572 km², pressoché continua, per importanti marinerie, come quella di Cagliari e quella di Sant’Antioco (la parte nettamente preponderante delle 541 imbarcazioni iscritte al registro della pesca, che rappresentano il 43% delle imbarcazioni da pesca dell’isola e il 54% di quelle da strascico).

Ridefinire la collocazione degli impianti; le proposte di Legacoop Agroalimentare

In conclusione, pescatori e maricoltori guardano con attenzione alle potenzialità della produzione di energie rinnovabili attraverso l’eolico offshore, ma anche alle criticità, in particolare la consistente sottrazione di superfici utili e le notevoli complicazioni per quanto riguarda la navigazione, cui si aggiunge il rischio di un’ulteriore forte limitazione alle attività per la presenza dei cavidotti per il trasporto dell’energia a terra. Non a caso la Corte dei Conti europea nella relazione speciale “Energie rinnovabili offshore nell’UE-Piani di crescita ambiziosi ma rimane la sfida della sostenibilità” sottolinea che “la coesistenza di diversi settori con le energie rinnovabili offshore non è ancora una pratica comune: in particolare, in alcuni paesi dovrà essere affrontato meglio il conflitto irrisolto con la pesca”.

“Facendo tesoro delle esperienze europee, di documenti recenti, e dell’esperienza di pescatori e maricoltori -sottolinea Cristian Maretti, presidente di Legacoop Agroalimentare- avanziamo una serie di proposte operative come base per un confronto costruttivo con i decisori politici e le società del settore, a cominciare da un coinvolgimento di tutti gli stakeholder nella fase di recepimento e attuazione della Direttiva UE 2023/2413 per analizzare attentamente, in fase di progettazione degli impianti eolici off-shore, le loro interazioni negative con le attività di pesca basandosi non solo sui dati A.I.S., ma anche e soprattutto su dati ed elementi conoscitivi che possono essere forniti dalle Associazioni di Categoria e dalle marinerie”. In dettaglio, queste le proposte avanzate da Legacoop Agroalimentare: inserire le aree occupate dagli impianti eolici nelle aree di protezione ambientale, ai fini del raggiungimento del 30% delle aree marine protette richiesto dall’Unione europea entro il 2030; interrare e proteggere i cavi di trasporto dell’energia elettrica a terra, in modo da consentire alle imbarcazioni a strascico di non interrompere le cale in loro prossimità; prevedere norme e strategie per consentire la piccola pesca artigianale con attrezzi fissi, all’interno delle aree occupate dagli impianti eolici; progettare canali per la navigazione ed eventualmente anche per la pesca a strascico all’interno delle aree occupate dagli impianti eolici; promuovere attività di maricoltura all’interno delle aree occupate dagli impianti eolici e valutarne l’attuabilità sul piano tecnico e legislativo; concordare con le Associazioni del settore e le cooperative di pesca e acquacoltura le modalità per l’accesso alla raccolta dei mitili dalle strutture immerse e ad altre eventuali forme di allevamento per favorire l’uso polivalente delle zone in linea con gli obiettivi della Direttiva UE 2023/2413 sulla promozione dell’energia da fonti rinnovabili; promuovere una comunicazione efficace sulle sinergie tra i settori di pesca/maricoltura ed eolico offshore; accordi e protocolli tra società elettriche di gestione e cooperative di pesca e acquacoltura.

Modalità di realizzazione dello studio

Lo Studio è basato sulla geolocalizzazione degli impianti eolici in mare esistenti e di quelli progettati, effettuata utilizzando i dati disponibili sull’archivio del MASE poi trasposti su piattaforma GIS (Geographic Information System), individuandone il posizionamento in relazione alle linee batimetriche, alle linee di base e alla linea di individuazione delle acque territoriali. Per due aree campione (Puglia centrale e Sardegna meridionale) sono poi stati incrociati con i dati relativi alla consistenza effettiva della flotta di pesca e dello sforzo di pesca dello strascico demersale per le imbarcazioni di oltre 15 m di lunghezza fuori tutto, utilizzando sistemi informativi di rilevamento (AIS, Automatic Identification System).

Allarme pesca: con eolico offshore -11,6% di superficie disponibile

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Allarme pesca: con eolico offshore -11,6% di superficie disponibile

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Allarme pesca: con eolico offshore -11,6% di superficie disponibile – La costruzione dei 67 impianti eolici off-shore progettati nei mari italiani, con le geolocalizzazioni attualmente previste, sottrarrebbe una superficie di circa 13.000 Km. quadrati alle attività di pesca professionale, in particolare lo strascico, e di maricoltura, con inevitabili ripercussioni sulla loro sostenibilità economica, in relazione ai volumi del pescato e all’occupazione, producendo effetti particolarmente pesanti per le marinerie attive nelle acque marittime della Puglia Centrale e meridionale, della Sardegna Meridionale e della Sicilia Sud-Occidentale. Relativamente all’impatto occupazionale, si stima una perdita di oltre 4.000 addetti -senza tenere conto del ridimensionamento che subirebbe l’ampio indotto industriale e commerciale- concentrati soprattutto nella Sicilia Sud-Occidentale (oltre 2.000 addetti in meno), in Puglia centrale e meridionale (-1.000), Sardegna meridionale (-500). Seguono Romagna (-300), Lazio (-200), Calabria e Sicilia Ionica (-200).

È quanto emerge dallo “Studio di ricognizione e approfondimento sullo sviluppo delle attività legate alle risorse energetiche alternative (impianti eolici off-shore) e delle interazioni con le attività di pesca e acquacoltura”, realizzato dal Consorzio Mediterraneo, struttura di ricerca aderente a Legacoop Agroalimentare.

L’eolico off-shore riveste un carattere essenziale per l’obiettivo, indicato dal PNIEC, di raggiungere entro il 2030 una percentuale di energia prodotta da fonti energetiche rinnovabili pari al 30% dei consumi finali lordi relativi al nostro Paese. A partire da questa valutazione, lo Studio prende in esame le conseguenze che la riduzione della superficie marina utilizzabile conseguente alla destinazione di spazi alla realizzazione degli impianti eolici off-shore previsti produrrebbe sulle attività di pesca professionale, in particolare lo strascico, e di maricoltura. Si tratta, come detto, di 67 impianti (compreso l’unico per ora attivo in Italia, posizionato nella rada esterna del porto di Taranto e insediato su una concessione di modeste dimensioni): 18 proposti per la Sicilia, 18 per la Sardegna, 15 per la Puglia, 6 per la Calabria, 6 per il Lazio, 3 per l’Emilia Romagna. Tra l’altro, per molti impianti si evidenziano aree di sovrapposizione, che sarebbe opportuno evitare avviando, prima della definizione di nuovi impianti eolici in mare, un’attenta analisi sulle autorizzazioni già concesse o in via di rilascio. Considerando che l’attuale superficie marittima utilizzabile per la pesca a strascico è di poco più di 112mila km², pari a poco più del 32% della superficie complessiva delle acque marine italiane (oltre 350 mila km², dei quali quasi 200 mila interdetti alla pesca a strascico), la riduzione di 13.000 km² determinata dalla realizzazione degli impianti previsti significherebbe sottrarre un ulteriore 11,6% della superficie dei mari di giurisdizione italiana utilizzabile per questo tipo di attività. Un valore che può apparire trascurabile su scala nazionale, ma che assume ben altro rilievo se si considera che gli impianti progettati non sono uniformemente distribuiti lungo le coste italiane, ma fortemente concentrati, sovrapponendosi su zone di mare fortemente sfruttate dalla pesca professionale.

Infatti, se si prende in esame la fruibilità di superficie marittima per le GSA (Geographical Sub Areas, le aree in cui è suddiviso il Mediterraneo per la gestione della pesca) interessate dalla futura costruzione di impianti eolici off-shore, i valori sono molto più allarmanti. Ad esempio, per la GSA 16 (area marina della costa meridionale della Sicilia) la riduzione della superficie per la pesca a strascico sarebbe del 62,1%; per la GSA 18 (Mare Adriatico lungo le coste della Puglia) del 43,5%; per la GSA 11 (Sardegna) del 15,3%. A farne le spese sarebbero aree frequentate da marinerie di estrema rilevanza per la pesca nazionale. In Sicilia, ad esempio, le marinerie di Mazara del Vallo, Sciacca, Marsala, Trapani, dovrebbero fare i conti con una riduzione della superficie disponibile per le proprie attività di circa 2.680 Km2, per la localizzazione di 11 dei 18 impianti previsti.

In Puglia, i 15 impianti progettati, distinti in tre raggruppamenti (6 localizzati al largo delle coste del Gargano, del Golfo di Manfredonia e dei Comuni costieri della Puglia centro-settentrionale; 4 al largo delle coste dei Comuni costieri della Puglia centro-meridionale; 5 al largo delle coste più meridionali della Puglia e nel Golfo di Taranto) determinerebbero una riduzione della superficie disponibile di circa 3.550 km². Anche in questo caso, ne sarebbero fortemente condizionate le attività di marinerie di grande rilievo. Per la Puglia settentrionale e centrale, quelle di Manfredonia, Barletta, Molfetta, Bari, Mola di Bari, Monopoli e Brindisi (379 imbarcazioni, pari al 28,8% del registro delle barche da pesca e al 35,46% di quelle da strascico), attive in particolare nella pesca a strascico. Per la Puglia meridionale, oltre che per lo strascico demersale e profondo, si determinerebbe un intralcio pesante alle attività di tutta una serie di marinerie (Otranto, Gallipoli, S. Maria di Leuca, Porto Cesareo) che operano con palangari derivanti per la cattura dei grandi pelagici (pesce spada, tonno rosso): attrezzi che possono rimanere in pesca per più di 24 h, solitamente operativi molto a largo rispetto alla costa, e che una volta calati in mare seguono l’andamento delle correnti e vengono direzionati da queste. Nel loro tempo di pesca possono percorrere molte miglia nautiche verso direzioni non prevedibili a priori e, nel loro percorso, potrebbero entrare nelle concessioni degli impianti eolici con conseguenze disastrose per l’integrità degli attrezzi.

In Sardegna, dei 18 impianti progettati, 12 interesseranno soprattutto le acque prospicienti la costa meridionale dell’isola (interessando batimetrie e distanze dalla costa che soprattutto rientrano nell’operatività della flotta peschereccia abilitata alla pesca costiera ravvicinata), formando una cintura di sbarramento di 1.572 km², pressoché continua, per importanti marinerie, come quella di Cagliari e quella di Sant’Antioco (la parte nettamente preponderante delle 541 imbarcazioni iscritte al registro della pesca, che rappresentano il 43% delle imbarcazioni da pesca dell’isola e il 54% di quelle da strascico).

Ridefinire la collocazione degli impianti; le proposte di Legacoop Agroalimentare

In conclusione, pescatori e maricoltori guardano con attenzione alle potenzialità della produzione di energie rinnovabili attraverso l’eolico offshore, ma anche alle criticità, in particolare la consistente sottrazione di superfici utili e le notevoli complicazioni per quanto riguarda la navigazione, cui si aggiunge il rischio di un’ulteriore forte limitazione alle attività per la presenza dei cavidotti per il trasporto dell’energia a terra. Non a caso la Corte dei Conti europea nella relazione speciale “Energie rinnovabili offshore nell’UE-Piani di crescita ambiziosi ma rimane la sfida della sostenibilità” sottolinea che “la coesistenza di diversi settori con le energie rinnovabili offshore non è ancora una pratica comune: in particolare, in alcuni paesi dovrà essere affrontato meglio il conflitto irrisolto con la pesca”.

“Facendo tesoro delle esperienze europee, di documenti recenti, e dell’esperienza di pescatori e maricoltori -sottolinea Cristian Maretti, presidente di Legacoop Agroalimentare- avanziamo una serie di proposte operative come base per un confronto costruttivo con i decisori politici e le società del settore, a cominciare da un coinvolgimento di tutti gli stakeholder nella fase di recepimento e attuazione della Direttiva UE 2023/2413 per analizzare attentamente, in fase di progettazione degli impianti eolici off-shore, le loro interazioni negative con le attività di pesca basandosi non solo sui dati A.I.S., ma anche e soprattutto su dati ed elementi conoscitivi che possono essere forniti dalle Associazioni di Categoria e dalle marinerie”. In dettaglio, queste le proposte avanzate da Legacoop Agroalimentare: inserire le aree occupate dagli impianti eolici nelle aree di protezione ambientale, ai fini del raggiungimento del 30% delle aree marine protette richiesto dall’Unione europea entro il 2030; interrare e proteggere i cavi di trasporto dell’energia elettrica a terra, in modo da consentire alle imbarcazioni a strascico di non interrompere le cale in loro prossimità; prevedere norme e strategie per consentire la piccola pesca artigianale con attrezzi fissi, all’interno delle aree occupate dagli impianti eolici; progettare canali per la navigazione ed eventualmente anche per la pesca a strascico all’interno delle aree occupate dagli impianti eolici; promuovere attività di maricoltura all’interno delle aree occupate dagli impianti eolici e valutarne l’attuabilità sul piano tecnico e legislativo; concordare con le Associazioni del settore e le cooperative di pesca e acquacoltura le modalità per l’accesso alla raccolta dei mitili dalle strutture immerse e ad altre eventuali forme di allevamento per favorire l’uso polivalente delle zone in linea con gli obiettivi della Direttiva UE 2023/2413 sulla promozione dell’energia da fonti rinnovabili; promuovere una comunicazione efficace sulle sinergie tra i settori di pesca/maricoltura ed eolico offshore; accordi e protocolli tra società elettriche di gestione e cooperative di pesca e acquacoltura.

Modalità di realizzazione dello studio

Lo Studio è basato sulla geolocalizzazione degli impianti eolici in mare esistenti e di quelli progettati, effettuata utilizzando i dati disponibili sull’archivio del MASE poi trasposti su piattaforma GIS (Geographic Information System), individuandone il posizionamento in relazione alle linee batimetriche, alle linee di base e alla linea di individuazione delle acque territoriali. Per due aree campione (Puglia centrale e Sardegna meridionale) sono poi stati incrociati con i dati relativi alla consistenza effettiva della flotta di pesca e dello sforzo di pesca dello strascico demersale per le imbarcazioni di oltre 15 m di lunghezza fuori tutto, utilizzando sistemi informativi di rilevamento (AIS, Automatic Identification System).

Allarme pesca: con eolico offshore -11,6% di superficie disponibile

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Allarme pesca: con eolico offshore -11,6% di superficie disponibile

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Allarme pesca: con eolico offshore -11,6% di superficie disponibile – La costruzione dei 67 impianti eolici off-shore progettati nei mari italiani, con le geolocalizzazioni attualmente previste, sottrarrebbe una superficie di circa 13.000 Km. quadrati alle attività di pesca professionale, in particolare lo strascico, e di maricoltura, con inevitabili ripercussioni sulla loro sostenibilità economica, in relazione ai volumi del pescato e all’occupazione, producendo effetti particolarmente pesanti per le marinerie attive nelle acque marittime della Puglia Centrale e meridionale, della Sardegna Meridionale e della Sicilia Sud-Occidentale. Relativamente all’impatto occupazionale, si stima una perdita di oltre 4.000 addetti -senza tenere conto del ridimensionamento che subirebbe l’ampio indotto industriale e commerciale- concentrati soprattutto nella Sicilia Sud-Occidentale (oltre 2.000 addetti in meno), in Puglia centrale e meridionale (-1.000), Sardegna meridionale (-500). Seguono Romagna (-300), Lazio (-200), Calabria e Sicilia Ionica (-200).

È quanto emerge dallo “Studio di ricognizione e approfondimento sullo sviluppo delle attività legate alle risorse energetiche alternative (impianti eolici off-shore) e delle interazioni con le attività di pesca e acquacoltura”, realizzato dal Consorzio Mediterraneo, struttura di ricerca aderente a Legacoop Agroalimentare.

L’eolico off-shore riveste un carattere essenziale per l’obiettivo, indicato dal PNIEC, di raggiungere entro il 2030 una percentuale di energia prodotta da fonti energetiche rinnovabili pari al 30% dei consumi finali lordi relativi al nostro Paese. A partire da questa valutazione, lo Studio prende in esame le conseguenze che la riduzione della superficie marina utilizzabile conseguente alla destinazione di spazi alla realizzazione degli impianti eolici off-shore previsti produrrebbe sulle attività di pesca professionale, in particolare lo strascico, e di maricoltura. Si tratta, come detto, di 67 impianti (compreso l’unico per ora attivo in Italia, posizionato nella rada esterna del porto di Taranto e insediato su una concessione di modeste dimensioni): 18 proposti per la Sicilia, 18 per la Sardegna, 15 per la Puglia, 6 per la Calabria, 6 per il Lazio, 3 per l’Emilia Romagna. Tra l’altro, per molti impianti si evidenziano aree di sovrapposizione, che sarebbe opportuno evitare avviando, prima della definizione di nuovi impianti eolici in mare, un’attenta analisi sulle autorizzazioni già concesse o in via di rilascio. Considerando che l’attuale superficie marittima utilizzabile per la pesca a strascico è di poco più di 112mila km², pari a poco più del 32% della superficie complessiva delle acque marine italiane (oltre 350 mila km², dei quali quasi 200 mila interdetti alla pesca a strascico), la riduzione di 13.000 km² determinata dalla realizzazione degli impianti previsti significherebbe sottrarre un ulteriore 11,6% della superficie dei mari di giurisdizione italiana utilizzabile per questo tipo di attività. Un valore che può apparire trascurabile su scala nazionale, ma che assume ben altro rilievo se si considera che gli impianti progettati non sono uniformemente distribuiti lungo le coste italiane, ma fortemente concentrati, sovrapponendosi su zone di mare fortemente sfruttate dalla pesca professionale.

Infatti, se si prende in esame la fruibilità di superficie marittima per le GSA (Geographical Sub Areas, le aree in cui è suddiviso il Mediterraneo per la gestione della pesca) interessate dalla futura costruzione di impianti eolici off-shore, i valori sono molto più allarmanti. Ad esempio, per la GSA 16 (area marina della costa meridionale della Sicilia) la riduzione della superficie per la pesca a strascico sarebbe del 62,1%; per la GSA 18 (Mare Adriatico lungo le coste della Puglia) del 43,5%; per la GSA 11 (Sardegna) del 15,3%. A farne le spese sarebbero aree frequentate da marinerie di estrema rilevanza per la pesca nazionale. In Sicilia, ad esempio, le marinerie di Mazara del Vallo, Sciacca, Marsala, Trapani, dovrebbero fare i conti con una riduzione della superficie disponibile per le proprie attività di circa 2.680 Km2, per la localizzazione di 11 dei 18 impianti previsti.

In Puglia, i 15 impianti progettati, distinti in tre raggruppamenti (6 localizzati al largo delle coste del Gargano, del Golfo di Manfredonia e dei Comuni costieri della Puglia centro-settentrionale; 4 al largo delle coste dei Comuni costieri della Puglia centro-meridionale; 5 al largo delle coste più meridionali della Puglia e nel Golfo di Taranto) determinerebbero una riduzione della superficie disponibile di circa 3.550 km². Anche in questo caso, ne sarebbero fortemente condizionate le attività di marinerie di grande rilievo. Per la Puglia settentrionale e centrale, quelle di Manfredonia, Barletta, Molfetta, Bari, Mola di Bari, Monopoli e Brindisi (379 imbarcazioni, pari al 28,8% del registro delle barche da pesca e al 35,46% di quelle da strascico), attive in particolare nella pesca a strascico. Per la Puglia meridionale, oltre che per lo strascico demersale e profondo, si determinerebbe un intralcio pesante alle attività di tutta una serie di marinerie (Otranto, Gallipoli, S. Maria di Leuca, Porto Cesareo) che operano con palangari derivanti per la cattura dei grandi pelagici (pesce spada, tonno rosso): attrezzi che possono rimanere in pesca per più di 24 h, solitamente operativi molto a largo rispetto alla costa, e che una volta calati in mare seguono l’andamento delle correnti e vengono direzionati da queste. Nel loro tempo di pesca possono percorrere molte miglia nautiche verso direzioni non prevedibili a priori e, nel loro percorso, potrebbero entrare nelle concessioni degli impianti eolici con conseguenze disastrose per l’integrità degli attrezzi.

In Sardegna, dei 18 impianti progettati, 12 interesseranno soprattutto le acque prospicienti la costa meridionale dell’isola (interessando batimetrie e distanze dalla costa che soprattutto rientrano nell’operatività della flotta peschereccia abilitata alla pesca costiera ravvicinata), formando una cintura di sbarramento di 1.572 km², pressoché continua, per importanti marinerie, come quella di Cagliari e quella di Sant’Antioco (la parte nettamente preponderante delle 541 imbarcazioni iscritte al registro della pesca, che rappresentano il 43% delle imbarcazioni da pesca dell’isola e il 54% di quelle da strascico).

Ridefinire la collocazione degli impianti; le proposte di Legacoop Agroalimentare

In conclusione, pescatori e maricoltori guardano con attenzione alle potenzialità della produzione di energie rinnovabili attraverso l’eolico offshore, ma anche alle criticità, in particolare la consistente sottrazione di superfici utili e le notevoli complicazioni per quanto riguarda la navigazione, cui si aggiunge il rischio di un’ulteriore forte limitazione alle attività per la presenza dei cavidotti per il trasporto dell’energia a terra. Non a caso la Corte dei Conti europea nella relazione speciale “Energie rinnovabili offshore nell’UE-Piani di crescita ambiziosi ma rimane la sfida della sostenibilità” sottolinea che “la coesistenza di diversi settori con le energie rinnovabili offshore non è ancora una pratica comune: in particolare, in alcuni paesi dovrà essere affrontato meglio il conflitto irrisolto con la pesca”.

“Facendo tesoro delle esperienze europee, di documenti recenti, e dell’esperienza di pescatori e maricoltori -sottolinea Cristian Maretti, presidente di Legacoop Agroalimentare- avanziamo una serie di proposte operative come base per un confronto costruttivo con i decisori politici e le società del settore, a cominciare da un coinvolgimento di tutti gli stakeholder nella fase di recepimento e attuazione della Direttiva UE 2023/2413 per analizzare attentamente, in fase di progettazione degli impianti eolici off-shore, le loro interazioni negative con le attività di pesca basandosi non solo sui dati A.I.S., ma anche e soprattutto su dati ed elementi conoscitivi che possono essere forniti dalle Associazioni di Categoria e dalle marinerie”. In dettaglio, queste le proposte avanzate da Legacoop Agroalimentare: inserire le aree occupate dagli impianti eolici nelle aree di protezione ambientale, ai fini del raggiungimento del 30% delle aree marine protette richiesto dall’Unione europea entro il 2030; interrare e proteggere i cavi di trasporto dell’energia elettrica a terra, in modo da consentire alle imbarcazioni a strascico di non interrompere le cale in loro prossimità; prevedere norme e strategie per consentire la piccola pesca artigianale con attrezzi fissi, all’interno delle aree occupate dagli impianti eolici; progettare canali per la navigazione ed eventualmente anche per la pesca a strascico all’interno delle aree occupate dagli impianti eolici; promuovere attività di maricoltura all’interno delle aree occupate dagli impianti eolici e valutarne l’attuabilità sul piano tecnico e legislativo; concordare con le Associazioni del settore e le cooperative di pesca e acquacoltura le modalità per l’accesso alla raccolta dei mitili dalle strutture immerse e ad altre eventuali forme di allevamento per favorire l’uso polivalente delle zone in linea con gli obiettivi della Direttiva UE 2023/2413 sulla promozione dell’energia da fonti rinnovabili; promuovere una comunicazione efficace sulle sinergie tra i settori di pesca/maricoltura ed eolico offshore; accordi e protocolli tra società elettriche di gestione e cooperative di pesca e acquacoltura.

Modalità di realizzazione dello studio

Lo Studio è basato sulla geolocalizzazione degli impianti eolici in mare esistenti e di quelli progettati, effettuata utilizzando i dati disponibili sull’archivio del MASE poi trasposti su piattaforma GIS (Geographic Information System), individuandone il posizionamento in relazione alle linee batimetriche, alle linee di base e alla linea di individuazione delle acque territoriali. Per due aree campione (Puglia centrale e Sardegna meridionale) sono poi stati incrociati con i dati relativi alla consistenza effettiva della flotta di pesca e dello sforzo di pesca dello strascico demersale per le imbarcazioni di oltre 15 m di lunghezza fuori tutto, utilizzando sistemi informativi di rilevamento (AIS, Automatic Identification System).

Allarme pesca: con eolico offshore -11,6% di superficie disponibile

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