Mese: Febbraio 2024 Pagina 34 di 75

Allarme pesca: con eolico offshore -11,6% di superficie disponibile

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Allarme pesca: con eolico offshore -11,6% di superficie disponibile – La costruzione dei 67 impianti eolici off-shore progettati nei mari italiani, con le geolocalizzazioni attualmente previste, sottrarrebbe una superficie di circa 13.000 Km. quadrati alle attività di pesca professionale, in particolare lo strascico, e di maricoltura, con inevitabili ripercussioni sulla loro sostenibilità economica, in relazione ai volumi del pescato e all’occupazione, producendo effetti particolarmente pesanti per le marinerie attive nelle acque marittime della Puglia Centrale e meridionale, della Sardegna Meridionale e della Sicilia Sud-Occidentale. Relativamente all’impatto occupazionale, si stima una perdita di oltre 4.000 addetti -senza tenere conto del ridimensionamento che subirebbe l’ampio indotto industriale e commerciale- concentrati soprattutto nella Sicilia Sud-Occidentale (oltre 2.000 addetti in meno), in Puglia centrale e meridionale (-1.000), Sardegna meridionale (-500). Seguono Romagna (-300), Lazio (-200), Calabria e Sicilia Ionica (-200).

È quanto emerge dallo “Studio di ricognizione e approfondimento sullo sviluppo delle attività legate alle risorse energetiche alternative (impianti eolici off-shore) e delle interazioni con le attività di pesca e acquacoltura”, realizzato dal Consorzio Mediterraneo, struttura di ricerca aderente a Legacoop Agroalimentare.

L’eolico off-shore riveste un carattere essenziale per l’obiettivo, indicato dal PNIEC, di raggiungere entro il 2030 una percentuale di energia prodotta da fonti energetiche rinnovabili pari al 30% dei consumi finali lordi relativi al nostro Paese. A partire da questa valutazione, lo Studio prende in esame le conseguenze che la riduzione della superficie marina utilizzabile conseguente alla destinazione di spazi alla realizzazione degli impianti eolici off-shore previsti produrrebbe sulle attività di pesca professionale, in particolare lo strascico, e di maricoltura. Si tratta, come detto, di 67 impianti (compreso l’unico per ora attivo in Italia, posizionato nella rada esterna del porto di Taranto e insediato su una concessione di modeste dimensioni): 18 proposti per la Sicilia, 18 per la Sardegna, 15 per la Puglia, 6 per la Calabria, 6 per il Lazio, 3 per l’Emilia Romagna. Tra l’altro, per molti impianti si evidenziano aree di sovrapposizione, che sarebbe opportuno evitare avviando, prima della definizione di nuovi impianti eolici in mare, un’attenta analisi sulle autorizzazioni già concesse o in via di rilascio. Considerando che l’attuale superficie marittima utilizzabile per la pesca a strascico è di poco più di 112mila km², pari a poco più del 32% della superficie complessiva delle acque marine italiane (oltre 350 mila km², dei quali quasi 200 mila interdetti alla pesca a strascico), la riduzione di 13.000 km² determinata dalla realizzazione degli impianti previsti significherebbe sottrarre un ulteriore 11,6% della superficie dei mari di giurisdizione italiana utilizzabile per questo tipo di attività. Un valore che può apparire trascurabile su scala nazionale, ma che assume ben altro rilievo se si considera che gli impianti progettati non sono uniformemente distribuiti lungo le coste italiane, ma fortemente concentrati, sovrapponendosi su zone di mare fortemente sfruttate dalla pesca professionale.

Infatti, se si prende in esame la fruibilità di superficie marittima per le GSA (Geographical Sub Areas, le aree in cui è suddiviso il Mediterraneo per la gestione della pesca) interessate dalla futura costruzione di impianti eolici off-shore, i valori sono molto più allarmanti. Ad esempio, per la GSA 16 (area marina della costa meridionale della Sicilia) la riduzione della superficie per la pesca a strascico sarebbe del 62,1%; per la GSA 18 (Mare Adriatico lungo le coste della Puglia) del 43,5%; per la GSA 11 (Sardegna) del 15,3%. A farne le spese sarebbero aree frequentate da marinerie di estrema rilevanza per la pesca nazionale. In Sicilia, ad esempio, le marinerie di Mazara del Vallo, Sciacca, Marsala, Trapani, dovrebbero fare i conti con una riduzione della superficie disponibile per le proprie attività di circa 2.680 Km2, per la localizzazione di 11 dei 18 impianti previsti.

In Puglia, i 15 impianti progettati, distinti in tre raggruppamenti (6 localizzati al largo delle coste del Gargano, del Golfo di Manfredonia e dei Comuni costieri della Puglia centro-settentrionale; 4 al largo delle coste dei Comuni costieri della Puglia centro-meridionale; 5 al largo delle coste più meridionali della Puglia e nel Golfo di Taranto) determinerebbero una riduzione della superficie disponibile di circa 3.550 km². Anche in questo caso, ne sarebbero fortemente condizionate le attività di marinerie di grande rilievo. Per la Puglia settentrionale e centrale, quelle di Manfredonia, Barletta, Molfetta, Bari, Mola di Bari, Monopoli e Brindisi (379 imbarcazioni, pari al 28,8% del registro delle barche da pesca e al 35,46% di quelle da strascico), attive in particolare nella pesca a strascico. Per la Puglia meridionale, oltre che per lo strascico demersale e profondo, si determinerebbe un intralcio pesante alle attività di tutta una serie di marinerie (Otranto, Gallipoli, S. Maria di Leuca, Porto Cesareo) che operano con palangari derivanti per la cattura dei grandi pelagici (pesce spada, tonno rosso): attrezzi che possono rimanere in pesca per più di 24 h, solitamente operativi molto a largo rispetto alla costa, e che una volta calati in mare seguono l’andamento delle correnti e vengono direzionati da queste. Nel loro tempo di pesca possono percorrere molte miglia nautiche verso direzioni non prevedibili a priori e, nel loro percorso, potrebbero entrare nelle concessioni degli impianti eolici con conseguenze disastrose per l’integrità degli attrezzi.

In Sardegna, dei 18 impianti progettati, 12 interesseranno soprattutto le acque prospicienti la costa meridionale dell’isola (interessando batimetrie e distanze dalla costa che soprattutto rientrano nell’operatività della flotta peschereccia abilitata alla pesca costiera ravvicinata), formando una cintura di sbarramento di 1.572 km², pressoché continua, per importanti marinerie, come quella di Cagliari e quella di Sant’Antioco (la parte nettamente preponderante delle 541 imbarcazioni iscritte al registro della pesca, che rappresentano il 43% delle imbarcazioni da pesca dell’isola e il 54% di quelle da strascico).

Ridefinire la collocazione degli impianti; le proposte di Legacoop Agroalimentare

In conclusione, pescatori e maricoltori guardano con attenzione alle potenzialità della produzione di energie rinnovabili attraverso l’eolico offshore, ma anche alle criticità, in particolare la consistente sottrazione di superfici utili e le notevoli complicazioni per quanto riguarda la navigazione, cui si aggiunge il rischio di un’ulteriore forte limitazione alle attività per la presenza dei cavidotti per il trasporto dell’energia a terra. Non a caso la Corte dei Conti europea nella relazione speciale “Energie rinnovabili offshore nell’UE-Piani di crescita ambiziosi ma rimane la sfida della sostenibilità” sottolinea che “la coesistenza di diversi settori con le energie rinnovabili offshore non è ancora una pratica comune: in particolare, in alcuni paesi dovrà essere affrontato meglio il conflitto irrisolto con la pesca”.

“Facendo tesoro delle esperienze europee, di documenti recenti, e dell’esperienza di pescatori e maricoltori -sottolinea Cristian Maretti, presidente di Legacoop Agroalimentare- avanziamo una serie di proposte operative come base per un confronto costruttivo con i decisori politici e le società del settore, a cominciare da un coinvolgimento di tutti gli stakeholder nella fase di recepimento e attuazione della Direttiva UE 2023/2413 per analizzare attentamente, in fase di progettazione degli impianti eolici off-shore, le loro interazioni negative con le attività di pesca basandosi non solo sui dati A.I.S., ma anche e soprattutto su dati ed elementi conoscitivi che possono essere forniti dalle Associazioni di Categoria e dalle marinerie”. In dettaglio, queste le proposte avanzate da Legacoop Agroalimentare: inserire le aree occupate dagli impianti eolici nelle aree di protezione ambientale, ai fini del raggiungimento del 30% delle aree marine protette richiesto dall’Unione europea entro il 2030; interrare e proteggere i cavi di trasporto dell’energia elettrica a terra, in modo da consentire alle imbarcazioni a strascico di non interrompere le cale in loro prossimità; prevedere norme e strategie per consentire la piccola pesca artigianale con attrezzi fissi, all’interno delle aree occupate dagli impianti eolici; progettare canali per la navigazione ed eventualmente anche per la pesca a strascico all’interno delle aree occupate dagli impianti eolici; promuovere attività di maricoltura all’interno delle aree occupate dagli impianti eolici e valutarne l’attuabilità sul piano tecnico e legislativo; concordare con le Associazioni del settore e le cooperative di pesca e acquacoltura le modalità per l’accesso alla raccolta dei mitili dalle strutture immerse e ad altre eventuali forme di allevamento per favorire l’uso polivalente delle zone in linea con gli obiettivi della Direttiva UE 2023/2413 sulla promozione dell’energia da fonti rinnovabili; promuovere una comunicazione efficace sulle sinergie tra i settori di pesca/maricoltura ed eolico offshore; accordi e protocolli tra società elettriche di gestione e cooperative di pesca e acquacoltura.

Modalità di realizzazione dello studio

Lo Studio è basato sulla geolocalizzazione degli impianti eolici in mare esistenti e di quelli progettati, effettuata utilizzando i dati disponibili sull’archivio del MASE poi trasposti su piattaforma GIS (Geographic Information System), individuandone il posizionamento in relazione alle linee batimetriche, alle linee di base e alla linea di individuazione delle acque territoriali. Per due aree campione (Puglia centrale e Sardegna meridionale) sono poi stati incrociati con i dati relativi alla consistenza effettiva della flotta di pesca e dello sforzo di pesca dello strascico demersale per le imbarcazioni di oltre 15 m di lunghezza fuori tutto, utilizzando sistemi informativi di rilevamento (AIS, Automatic Identification System).

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Economia del mare, difeso il settore della pesca: Francesca Biondo ringrazia il ministro Lollobrigida

Economia del mare, difeso il settore della pesca: Francesca Biondo ringrazia il ministro Lollobrigida

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“Ringraziamo il Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, On. Francesco Lollobrigida, per la convocazione al tavolo di oggi a difesa del settore della pesca italiana”, ha dichiarato la Direttrice di Federpesca, Francesca Biondo.

“In questi anni il settore ha pagato troppo in termini di riduzione del numero imprese, dell’occupazione e del prodotto, aumentando dall’altra parte la dipendenza dalle importazioni del nostro paese”.

“Abbiamo condiviso con il Ministero la necessità di sostenere la competitività delle imprese attraverso la proroga dello strumento del credito d’imposta per il gasolio, la previsione di un ammortizzatore sociale strutturato, investimenti per gli ammodernamenti, strumenti facilitati di accesso al credito, campagne nazionali di valorizzazione del prodotto italiano per raccontare ai consumatori che sovranità alimentare fa rima con qualità, sicurezza sociale e alimentare, sostenibilità, tutte caratteristiche distintive delle imprese di pesca italiane”.

“Insieme a queste questioni abbiamo voluto portare in sede di discussione come sia al contempo possibile portare avanti interventi a costo zero che darebbero un segnale fondamentale al settore. Dal pagamento dei fermi biologici 2021-2023, alla revisione del sistema sanzionatorio, la semplificazione di molte procedure burocratiche, l’esenzione dal ticket Naspi e una maggiore flessibilità nella gestione delle giornate di pesca”.

“Esprimiamo infine grande apprezzamento per la volontà del Ministro di avviare tavoli tecnici sulle singole questioni e per l’avvio del primo corso di laurea triennale in Italia dedicato al settore della pesca e volto a formare nuove competenze e avvicinare i giovani al settore. In questa direzione continueremo a lavorare insieme al Ministero per garantire dignità e futuro ad un settore primario fondamentale per l’economia del Paese” ha così concluso la Direttrice Biondo.

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Clearbot per la salvaguardia delle acque

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Clearbot per la salvaguardia delle acque – Oggi la conservazione dell’ambiente marino è diventata una priorità imprescindibile, vista l’escalation di problemi quali l’inquinamento da plastica, le fuoriuscite di petrolio e la proliferazione di specie invasive. In questo contesto si inserisce un progetto innovativo che segna un passo significativo verso la pulizia e il mantenimento delle acque: il Clearbot, una barca da lavoro alimentata a batteria, progettata per operare efficacemente nelle zone costiere e nelle acque interne congestionate.

Il progetto Clearbot nasce nel 2019 dall’iniziativa di Sidhant Gupta e Utkarsh Goel, mossi dall’urgenza di affrontare l’inadeguatezza delle operazioni manuali di pulizia lungo le spiagge di Bali. La loro visione ha portato alla creazione di un prototipo funzionale, progettato, costruito e testato proprio nelle acque di Bali. Questo robot marino si avvale di tecnologie avanzate, quali l’intelligenza artificiale (IA), lidar e sensori di navigazione, per localizzare e raccogliere i rifiuti galleggianti.

Funzionalità e applicazioni

Secondo il Lloyd’s Register (LR), ente di classificazione marittima che ha monitorato attentamente i progressi di Clearbot, questa imbarcazione si distingue per la sua versatilità e potenziale impatto ambientale. Le sue applicazioni spaziano dalla raccolta dei rifiuti galleggianti e il recupero di schiuma, alla risposta rapida in caso di fuoriuscite di petrolio. Inoltre, Clearbot dimostra di essere uno strumento prezioso anche per combattere le infestazioni di giacinti d’acqua, eseguire indagini batimetriche e persino effettuare consegne di merci in aree difficilmente accessibili.

Tecnologia e innovazione

L’elemento chiave che distingue Clearbot è l’uso dell’intelligenza artificiale per la navigazione autonoma e l’analisi post-elaborazione dei rifiuti raccolti. Questa tecnologia permette a Clearbot di identificare e classificare i rifiuti in modo efficiente, massimizzando l’impatto delle operazioni di pulizia. La combinazione di lidar e sensori garantisce inoltre una navigazione sicura e precisa, fondamentale per operare in acque congestionate o vicino a ostacoli.

L’ambizione di Clearbot va oltre la semplice pulizia delle acque. Il team dietro questo progetto mira a una diffusione globale della tecnologia, evidenziando l’adattabilità del sistema a diversi contesti ambientali e le sue potenziali applicazioni in una varietà di servizi marini e costieri. L’approccio innovativo di Clearbot offre una nuova prospettiva sulle strategie di conservazione marina, promettendo un impatto significativo nella lotta contro l’inquinamento e nella protezione degli ecosistemi acquatici.

Clearbot rappresenta un esempio chiaro di come la tecnologia possa essere impiegata per affrontare alcune delle sfide ambientali più pressanti dei nostri tempi. Con il suo design avanzato e le molteplici applicazioni, questo progetto si pone all’avanguardia nella salvaguardia delle acque, aprendo la strada a future innovazioni nel campo della conservazione marittima.

Clearbot per la salvaguardia delle acque

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Clearbot per la salvaguardia delle acque

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Clearbot per la salvaguardia delle acque – Oggi la conservazione dell’ambiente marino è diventata una priorità imprescindibile, vista l’escalation di problemi quali l’inquinamento da plastica, le fuoriuscite di petrolio e la proliferazione di specie invasive. In questo contesto si inserisce un progetto innovativo che segna un passo significativo verso la pulizia e il mantenimento delle acque: il Clearbot, una barca da lavoro alimentata a batteria, progettata per operare efficacemente nelle zone costiere e nelle acque interne congestionate.

Il progetto Clearbot nasce nel 2019 dall’iniziativa di Sidhant Gupta e Utkarsh Goel, mossi dall’urgenza di affrontare l’inadeguatezza delle operazioni manuali di pulizia lungo le spiagge di Bali. La loro visione ha portato alla creazione di un prototipo funzionale, progettato, costruito e testato proprio nelle acque di Bali. Questo robot marino si avvale di tecnologie avanzate, quali l’intelligenza artificiale (IA), lidar e sensori di navigazione, per localizzare e raccogliere i rifiuti galleggianti.

Funzionalità e applicazioni

Secondo il Lloyd’s Register (LR), ente di classificazione marittima che ha monitorato attentamente i progressi di Clearbot, questa imbarcazione si distingue per la sua versatilità e potenziale impatto ambientale. Le sue applicazioni spaziano dalla raccolta dei rifiuti galleggianti e il recupero di schiuma, alla risposta rapida in caso di fuoriuscite di petrolio. Inoltre, Clearbot dimostra di essere uno strumento prezioso anche per combattere le infestazioni di giacinti d’acqua, eseguire indagini batimetriche e persino effettuare consegne di merci in aree difficilmente accessibili.

Tecnologia e innovazione

L’elemento chiave che distingue Clearbot è l’uso dell’intelligenza artificiale per la navigazione autonoma e l’analisi post-elaborazione dei rifiuti raccolti. Questa tecnologia permette a Clearbot di identificare e classificare i rifiuti in modo efficiente, massimizzando l’impatto delle operazioni di pulizia. La combinazione di lidar e sensori garantisce inoltre una navigazione sicura e precisa, fondamentale per operare in acque congestionate o vicino a ostacoli.

L’ambizione di Clearbot va oltre la semplice pulizia delle acque. Il team dietro questo progetto mira a una diffusione globale della tecnologia, evidenziando l’adattabilità del sistema a diversi contesti ambientali e le sue potenziali applicazioni in una varietà di servizi marini e costieri. L’approccio innovativo di Clearbot offre una nuova prospettiva sulle strategie di conservazione marina, promettendo un impatto significativo nella lotta contro l’inquinamento e nella protezione degli ecosistemi acquatici.

Clearbot rappresenta un esempio chiaro di come la tecnologia possa essere impiegata per affrontare alcune delle sfide ambientali più pressanti dei nostri tempi. Con il suo design avanzato e le molteplici applicazioni, questo progetto si pone all’avanguardia nella salvaguardia delle acque, aprendo la strada a future innovazioni nel campo della conservazione marittima.

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Clearbot per la salvaguardia delle acque – Oggi la conservazione dell’ambiente marino è diventata una priorità imprescindibile, vista l’escalation di problemi quali l’inquinamento da plastica, le fuoriuscite di petrolio e la proliferazione di specie invasive. In questo contesto si inserisce un progetto innovativo che segna un passo significativo verso la pulizia e il mantenimento delle acque: il Clearbot, una barca da lavoro alimentata a batteria, progettata per operare efficacemente nelle zone costiere e nelle acque interne congestionate.

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Clearbot rappresenta un esempio chiaro di come la tecnologia possa essere impiegata per affrontare alcune delle sfide ambientali più pressanti dei nostri tempi. Con il suo design avanzato e le molteplici applicazioni, questo progetto si pone all’avanguardia nella salvaguardia delle acque, aprendo la strada a future innovazioni nel campo della conservazione marittima.

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