Mese: Marzo 2024 Pagina 44 di 81

Cambiamenti climatici e impatto sui mari europei

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Cambiamenti climatici e impatto sui mari europei – La scienza non smette di lanciare avvisi riguardo l’impatto del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi. Un recente studio internazionale, pubblicato sulla rivista Nature Communications, ora segnala mutamenti nella biodiversità dei mari e degli oceani europei come conseguenza del costante aumento delle temperature.

La ricerca ha esaminato in che misura le tendenze e i cambiamenti a lungo termine nelle comunità marine europee, inclusi zooplancton, benthos, invertebrati pelagici e demersali, e pesci, siano stati collegati al riscaldamento degli oceani. Il team di ricerca ha utilizzato l’Indice di Temperatura della Comunità (CTI), un indicatore standardizzato che fornisce informazioni quantitative sullo stato di una comunità in termini di composizione e risposta delle specie al riscaldamento in base alla loro affinità per acque calde o fredde.

Le analisi si sono basate su serie temporali di fino a quattro decenni provenienti da 65 programmi di monitoraggio, includendo dati storici per un totale di 1.817 specie nell’Atlantico Nordorientale, nel Mediterraneo e nel Mar Baltico.

Tropicalizzazione e deborealizzazione

I risultati dello studio mostrano che la maggior parte delle comunità e degli habitat nei mari europei hanno risposto al riscaldamento oceanico attraverso due fenomeni ecologici conosciuti come tropicalizzazione e deborealizzazione.

“La tropicalizzazione, ovvero l’aumento delle specie di acqua calda, domina nell’Atlantico, mentre la deborealizzazione, il processo di diminuzione delle specie di acqua fredda, è particolarmente marcato in bacini semi-chiusi come il Mediterraneo e il Baltico, che inoltre sperimentano i tassi di riscaldamento più rapidi”, spiega Guillem Chust, ricercatore presso il centro tecnologico AZTI e autore principale dello studio.

Questi modelli sono attribuiti, da un lato, alla maggior facilità di dispersione e colonizzazione delle specie in ambienti aperti, ma ci sono anche casi di invasione in mari semi-chiusi. Un esempio significativo è l’aumento delle specie di acque calde dell’Oceano Indo-Pacifico nel Mediterraneo orientale, arrivate attraverso il Canale di Suez e che competono con le specie native, alterando così le catene alimentari e gli ecosistemi marini.

D’altro canto, la deborealizzazione riflette la vulnerabilità della biodiversità nei bacini del Mediterraneo e del Baltico all’aumento delle temperature oceaniche. Barriere fisiche limitano la connettività, riducendo quindi la migrazione delle specie di acqua fredda verso habitat più adatti.

Alcune specie ittiche sono in declino numerico, come la sardina europea nel Mediterraneo e il merluzzo nel Mar Baltico, entrambi risorse importanti dal punto di vista ecologico e commerciale. “L’aumento delle temperature può portare a collassi delle popolazioni o estinzioni funzionali locali, influenzando la pesca e le economie locali che ne dipendono”, afferma l’esperto AZTI. Anche altre forme di vita marine, come organismi coralligeni e zooplancton, risentono dell’aumento delle temperature, con impatti sulla biodiversità e sulla struttura degli habitat, oltre che sulla disponibilità di cibo per i pesci e altri organismi.

Il riscaldamento degli oceani e i cambiamenti correlati nella biodiversità marina potrebbero influire sui servizi ecosistemici e sulle risorse marine. “La pesca dovrà adattarsi, incluso l’adeguamento delle zone di pesca, delle stagioni e la diversificazione in nuove specie che potrebbero aumentare per via del cambiamento climatico”, dice Myron Peck, coautore della ricerca e capo del Dipartimento dei Sistemi Costieri presso il NIOZ.

Inoltre, sarà cruciale una gestione e una regolamentazione basate sulla scienza, che includono l’adattamento delle quote di cattura e dello sforzo di pesca alle mutate abbondanze delle popolazioni, nonché l’implementazione di misure di conservazione per proteggere le specie e gli ecosistemi vulnerabili.

La ricerca pubblicata su Nature Communications è stata guidata da AZTI, con la collaborazione di 39 esperti internazionali e il finanziamento dell’Unione Europea tramite il progetto FutureMARES, coordinato dall’Istituto olandese per la ricerca marina NIOZ.

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Cambiamenti climatici e impatto sui mari europei – La scienza non smette di lanciare avvisi riguardo l’impatto del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi. Un recente studio internazionale, pubblicato sulla rivista Nature Communications, ora segnala mutamenti nella biodiversità dei mari e degli oceani europei come conseguenza del costante aumento delle temperature.

La ricerca ha esaminato in che misura le tendenze e i cambiamenti a lungo termine nelle comunità marine europee, inclusi zooplancton, benthos, invertebrati pelagici e demersali, e pesci, siano stati collegati al riscaldamento degli oceani. Il team di ricerca ha utilizzato l’Indice di Temperatura della Comunità (CTI), un indicatore standardizzato che fornisce informazioni quantitative sullo stato di una comunità in termini di composizione e risposta delle specie al riscaldamento in base alla loro affinità per acque calde o fredde.

Le analisi si sono basate su serie temporali di fino a quattro decenni provenienti da 65 programmi di monitoraggio, includendo dati storici per un totale di 1.817 specie nell’Atlantico Nordorientale, nel Mediterraneo e nel Mar Baltico.

Tropicalizzazione e deborealizzazione

I risultati dello studio mostrano che la maggior parte delle comunità e degli habitat nei mari europei hanno risposto al riscaldamento oceanico attraverso due fenomeni ecologici conosciuti come tropicalizzazione e deborealizzazione.

“La tropicalizzazione, ovvero l’aumento delle specie di acqua calda, domina nell’Atlantico, mentre la deborealizzazione, il processo di diminuzione delle specie di acqua fredda, è particolarmente marcato in bacini semi-chiusi come il Mediterraneo e il Baltico, che inoltre sperimentano i tassi di riscaldamento più rapidi”, spiega Guillem Chust, ricercatore presso il centro tecnologico AZTI e autore principale dello studio.

Questi modelli sono attribuiti, da un lato, alla maggior facilità di dispersione e colonizzazione delle specie in ambienti aperti, ma ci sono anche casi di invasione in mari semi-chiusi. Un esempio significativo è l’aumento delle specie di acque calde dell’Oceano Indo-Pacifico nel Mediterraneo orientale, arrivate attraverso il Canale di Suez e che competono con le specie native, alterando così le catene alimentari e gli ecosistemi marini.

D’altro canto, la deborealizzazione riflette la vulnerabilità della biodiversità nei bacini del Mediterraneo e del Baltico all’aumento delle temperature oceaniche. Barriere fisiche limitano la connettività, riducendo quindi la migrazione delle specie di acqua fredda verso habitat più adatti.

Alcune specie ittiche sono in declino numerico, come la sardina europea nel Mediterraneo e il merluzzo nel Mar Baltico, entrambi risorse importanti dal punto di vista ecologico e commerciale. “L’aumento delle temperature può portare a collassi delle popolazioni o estinzioni funzionali locali, influenzando la pesca e le economie locali che ne dipendono”, afferma l’esperto AZTI. Anche altre forme di vita marine, come organismi coralligeni e zooplancton, risentono dell’aumento delle temperature, con impatti sulla biodiversità e sulla struttura degli habitat, oltre che sulla disponibilità di cibo per i pesci e altri organismi.

Il riscaldamento degli oceani e i cambiamenti correlati nella biodiversità marina potrebbero influire sui servizi ecosistemici e sulle risorse marine. “La pesca dovrà adattarsi, incluso l’adeguamento delle zone di pesca, delle stagioni e la diversificazione in nuove specie che potrebbero aumentare per via del cambiamento climatico”, dice Myron Peck, coautore della ricerca e capo del Dipartimento dei Sistemi Costieri presso il NIOZ.

Inoltre, sarà cruciale una gestione e una regolamentazione basate sulla scienza, che includono l’adattamento delle quote di cattura e dello sforzo di pesca alle mutate abbondanze delle popolazioni, nonché l’implementazione di misure di conservazione per proteggere le specie e gli ecosistemi vulnerabili.

La ricerca pubblicata su Nature Communications è stata guidata da AZTI, con la collaborazione di 39 esperti internazionali e il finanziamento dell’Unione Europea tramite il progetto FutureMARES, coordinato dall’Istituto olandese per la ricerca marina NIOZ.

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Cambiamenti climatici e impatto sui mari europei – La scienza non smette di lanciare avvisi riguardo l’impatto del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi. Un recente studio internazionale, pubblicato sulla rivista Nature Communications, ora segnala mutamenti nella biodiversità dei mari e degli oceani europei come conseguenza del costante aumento delle temperature.

La ricerca ha esaminato in che misura le tendenze e i cambiamenti a lungo termine nelle comunità marine europee, inclusi zooplancton, benthos, invertebrati pelagici e demersali, e pesci, siano stati collegati al riscaldamento degli oceani. Il team di ricerca ha utilizzato l’Indice di Temperatura della Comunità (CTI), un indicatore standardizzato che fornisce informazioni quantitative sullo stato di una comunità in termini di composizione e risposta delle specie al riscaldamento in base alla loro affinità per acque calde o fredde.

Le analisi si sono basate su serie temporali di fino a quattro decenni provenienti da 65 programmi di monitoraggio, includendo dati storici per un totale di 1.817 specie nell’Atlantico Nordorientale, nel Mediterraneo e nel Mar Baltico.

Tropicalizzazione e deborealizzazione

I risultati dello studio mostrano che la maggior parte delle comunità e degli habitat nei mari europei hanno risposto al riscaldamento oceanico attraverso due fenomeni ecologici conosciuti come tropicalizzazione e deborealizzazione.

“La tropicalizzazione, ovvero l’aumento delle specie di acqua calda, domina nell’Atlantico, mentre la deborealizzazione, il processo di diminuzione delle specie di acqua fredda, è particolarmente marcato in bacini semi-chiusi come il Mediterraneo e il Baltico, che inoltre sperimentano i tassi di riscaldamento più rapidi”, spiega Guillem Chust, ricercatore presso il centro tecnologico AZTI e autore principale dello studio.

Questi modelli sono attribuiti, da un lato, alla maggior facilità di dispersione e colonizzazione delle specie in ambienti aperti, ma ci sono anche casi di invasione in mari semi-chiusi. Un esempio significativo è l’aumento delle specie di acque calde dell’Oceano Indo-Pacifico nel Mediterraneo orientale, arrivate attraverso il Canale di Suez e che competono con le specie native, alterando così le catene alimentari e gli ecosistemi marini.

D’altro canto, la deborealizzazione riflette la vulnerabilità della biodiversità nei bacini del Mediterraneo e del Baltico all’aumento delle temperature oceaniche. Barriere fisiche limitano la connettività, riducendo quindi la migrazione delle specie di acqua fredda verso habitat più adatti.

Alcune specie ittiche sono in declino numerico, come la sardina europea nel Mediterraneo e il merluzzo nel Mar Baltico, entrambi risorse importanti dal punto di vista ecologico e commerciale. “L’aumento delle temperature può portare a collassi delle popolazioni o estinzioni funzionali locali, influenzando la pesca e le economie locali che ne dipendono”, afferma l’esperto AZTI. Anche altre forme di vita marine, come organismi coralligeni e zooplancton, risentono dell’aumento delle temperature, con impatti sulla biodiversità e sulla struttura degli habitat, oltre che sulla disponibilità di cibo per i pesci e altri organismi.

Il riscaldamento degli oceani e i cambiamenti correlati nella biodiversità marina potrebbero influire sui servizi ecosistemici e sulle risorse marine. “La pesca dovrà adattarsi, incluso l’adeguamento delle zone di pesca, delle stagioni e la diversificazione in nuove specie che potrebbero aumentare per via del cambiamento climatico”, dice Myron Peck, coautore della ricerca e capo del Dipartimento dei Sistemi Costieri presso il NIOZ.

Inoltre, sarà cruciale una gestione e una regolamentazione basate sulla scienza, che includono l’adattamento delle quote di cattura e dello sforzo di pesca alle mutate abbondanze delle popolazioni, nonché l’implementazione di misure di conservazione per proteggere le specie e gli ecosistemi vulnerabili.

La ricerca pubblicata su Nature Communications è stata guidata da AZTI, con la collaborazione di 39 esperti internazionali e il finanziamento dell’Unione Europea tramite il progetto FutureMARES, coordinato dall’Istituto olandese per la ricerca marina NIOZ.

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Cambiamenti climatici e impatto sui mari europei – La scienza non smette di lanciare avvisi riguardo l’impatto del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi. Un recente studio internazionale, pubblicato sulla rivista Nature Communications, ora segnala mutamenti nella biodiversità dei mari e degli oceani europei come conseguenza del costante aumento delle temperature.

La ricerca ha esaminato in che misura le tendenze e i cambiamenti a lungo termine nelle comunità marine europee, inclusi zooplancton, benthos, invertebrati pelagici e demersali, e pesci, siano stati collegati al riscaldamento degli oceani. Il team di ricerca ha utilizzato l’Indice di Temperatura della Comunità (CTI), un indicatore standardizzato che fornisce informazioni quantitative sullo stato di una comunità in termini di composizione e risposta delle specie al riscaldamento in base alla loro affinità per acque calde o fredde.

Le analisi si sono basate su serie temporali di fino a quattro decenni provenienti da 65 programmi di monitoraggio, includendo dati storici per un totale di 1.817 specie nell’Atlantico Nordorientale, nel Mediterraneo e nel Mar Baltico.

Tropicalizzazione e deborealizzazione

I risultati dello studio mostrano che la maggior parte delle comunità e degli habitat nei mari europei hanno risposto al riscaldamento oceanico attraverso due fenomeni ecologici conosciuti come tropicalizzazione e deborealizzazione.

“La tropicalizzazione, ovvero l’aumento delle specie di acqua calda, domina nell’Atlantico, mentre la deborealizzazione, il processo di diminuzione delle specie di acqua fredda, è particolarmente marcato in bacini semi-chiusi come il Mediterraneo e il Baltico, che inoltre sperimentano i tassi di riscaldamento più rapidi”, spiega Guillem Chust, ricercatore presso il centro tecnologico AZTI e autore principale dello studio.

Questi modelli sono attribuiti, da un lato, alla maggior facilità di dispersione e colonizzazione delle specie in ambienti aperti, ma ci sono anche casi di invasione in mari semi-chiusi. Un esempio significativo è l’aumento delle specie di acque calde dell’Oceano Indo-Pacifico nel Mediterraneo orientale, arrivate attraverso il Canale di Suez e che competono con le specie native, alterando così le catene alimentari e gli ecosistemi marini.

D’altro canto, la deborealizzazione riflette la vulnerabilità della biodiversità nei bacini del Mediterraneo e del Baltico all’aumento delle temperature oceaniche. Barriere fisiche limitano la connettività, riducendo quindi la migrazione delle specie di acqua fredda verso habitat più adatti.

Alcune specie ittiche sono in declino numerico, come la sardina europea nel Mediterraneo e il merluzzo nel Mar Baltico, entrambi risorse importanti dal punto di vista ecologico e commerciale. “L’aumento delle temperature può portare a collassi delle popolazioni o estinzioni funzionali locali, influenzando la pesca e le economie locali che ne dipendono”, afferma l’esperto AZTI. Anche altre forme di vita marine, come organismi coralligeni e zooplancton, risentono dell’aumento delle temperature, con impatti sulla biodiversità e sulla struttura degli habitat, oltre che sulla disponibilità di cibo per i pesci e altri organismi.

Il riscaldamento degli oceani e i cambiamenti correlati nella biodiversità marina potrebbero influire sui servizi ecosistemici e sulle risorse marine. “La pesca dovrà adattarsi, incluso l’adeguamento delle zone di pesca, delle stagioni e la diversificazione in nuove specie che potrebbero aumentare per via del cambiamento climatico”, dice Myron Peck, coautore della ricerca e capo del Dipartimento dei Sistemi Costieri presso il NIOZ.

Inoltre, sarà cruciale una gestione e una regolamentazione basate sulla scienza, che includono l’adattamento delle quote di cattura e dello sforzo di pesca alle mutate abbondanze delle popolazioni, nonché l’implementazione di misure di conservazione per proteggere le specie e gli ecosistemi vulnerabili.

La ricerca pubblicata su Nature Communications è stata guidata da AZTI, con la collaborazione di 39 esperti internazionali e il finanziamento dell’Unione Europea tramite il progetto FutureMARES, coordinato dall’Istituto olandese per la ricerca marina NIOZ.

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Cambiamenti climatici e impatto sui mari europei – La scienza non smette di lanciare avvisi riguardo l’impatto del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi. Un recente studio internazionale, pubblicato sulla rivista Nature Communications, ora segnala mutamenti nella biodiversità dei mari e degli oceani europei come conseguenza del costante aumento delle temperature.

La ricerca ha esaminato in che misura le tendenze e i cambiamenti a lungo termine nelle comunità marine europee, inclusi zooplancton, benthos, invertebrati pelagici e demersali, e pesci, siano stati collegati al riscaldamento degli oceani. Il team di ricerca ha utilizzato l’Indice di Temperatura della Comunità (CTI), un indicatore standardizzato che fornisce informazioni quantitative sullo stato di una comunità in termini di composizione e risposta delle specie al riscaldamento in base alla loro affinità per acque calde o fredde.

Le analisi si sono basate su serie temporali di fino a quattro decenni provenienti da 65 programmi di monitoraggio, includendo dati storici per un totale di 1.817 specie nell’Atlantico Nordorientale, nel Mediterraneo e nel Mar Baltico.

Tropicalizzazione e deborealizzazione

I risultati dello studio mostrano che la maggior parte delle comunità e degli habitat nei mari europei hanno risposto al riscaldamento oceanico attraverso due fenomeni ecologici conosciuti come tropicalizzazione e deborealizzazione.

“La tropicalizzazione, ovvero l’aumento delle specie di acqua calda, domina nell’Atlantico, mentre la deborealizzazione, il processo di diminuzione delle specie di acqua fredda, è particolarmente marcato in bacini semi-chiusi come il Mediterraneo e il Baltico, che inoltre sperimentano i tassi di riscaldamento più rapidi”, spiega Guillem Chust, ricercatore presso il centro tecnologico AZTI e autore principale dello studio.

Questi modelli sono attribuiti, da un lato, alla maggior facilità di dispersione e colonizzazione delle specie in ambienti aperti, ma ci sono anche casi di invasione in mari semi-chiusi. Un esempio significativo è l’aumento delle specie di acque calde dell’Oceano Indo-Pacifico nel Mediterraneo orientale, arrivate attraverso il Canale di Suez e che competono con le specie native, alterando così le catene alimentari e gli ecosistemi marini.

D’altro canto, la deborealizzazione riflette la vulnerabilità della biodiversità nei bacini del Mediterraneo e del Baltico all’aumento delle temperature oceaniche. Barriere fisiche limitano la connettività, riducendo quindi la migrazione delle specie di acqua fredda verso habitat più adatti.

Alcune specie ittiche sono in declino numerico, come la sardina europea nel Mediterraneo e il merluzzo nel Mar Baltico, entrambi risorse importanti dal punto di vista ecologico e commerciale. “L’aumento delle temperature può portare a collassi delle popolazioni o estinzioni funzionali locali, influenzando la pesca e le economie locali che ne dipendono”, afferma l’esperto AZTI. Anche altre forme di vita marine, come organismi coralligeni e zooplancton, risentono dell’aumento delle temperature, con impatti sulla biodiversità e sulla struttura degli habitat, oltre che sulla disponibilità di cibo per i pesci e altri organismi.

Il riscaldamento degli oceani e i cambiamenti correlati nella biodiversità marina potrebbero influire sui servizi ecosistemici e sulle risorse marine. “La pesca dovrà adattarsi, incluso l’adeguamento delle zone di pesca, delle stagioni e la diversificazione in nuove specie che potrebbero aumentare per via del cambiamento climatico”, dice Myron Peck, coautore della ricerca e capo del Dipartimento dei Sistemi Costieri presso il NIOZ.

Inoltre, sarà cruciale una gestione e una regolamentazione basate sulla scienza, che includono l’adattamento delle quote di cattura e dello sforzo di pesca alle mutate abbondanze delle popolazioni, nonché l’implementazione di misure di conservazione per proteggere le specie e gli ecosistemi vulnerabili.

La ricerca pubblicata su Nature Communications è stata guidata da AZTI, con la collaborazione di 39 esperti internazionali e il finanziamento dell’Unione Europea tramite il progetto FutureMARES, coordinato dall’Istituto olandese per la ricerca marina NIOZ.

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