Mese: Marzo 2024 Pagina 56 di 81

Perse ogni anno 400 tonnellate di corde nelle acque norvegesi

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Perse ogni anno 400 tonnellate di corde nelle acque norvegesi – Uno studio senza precedenti ha fatto chiarezza sulla gestione di corde e lenze nell’ambito dell’industria della pesca commerciale in Norvegia. Risulta che la flotta peschereccia nazionale perde annualmente circa 400 tonnellate di corde nelle acque del paese.

La questione delle corde e delle lenze perdute sta diventando sempre più pressante. In quanto nazione leader nella pesca, caratterizzata da una vasta costa e da acque particolarmente ricche, la Norvegia risulta essere esposta al problema dei rifiuti marini. La ricerca rivela che solo un terzo delle corde prodotte e distribuite in Norvegia può essere riciclato efficacemente. La restante parte viene incenerita, sepolta, esportata o semplicemente accumulata, contribuendo a un fenomeno noto come “pesca fantasma“.

“La Norvegia si affida fortemente all’economia blu e l’identificazione di soluzioni diventa sempre più imperativa. Senza una gestione appropriata delle corde, il settore ittico non potrà mai raggiungere obiettivi di sostenibilità”. È quanto sostiene Paritosh Deshpande, professore associato presso il Dipartimento di Economia Industriale e Gestione Tecnologica della NTNU.

Deshpande, che studia i rifiuti plastici negli oceani, ha condotto le prime stime scientifiche per determinare la quantità di corda persa e come l’industria peschereccia norvegese gestisca il problema.

Nell’analisi sono stati presi in esame 15 tipi di corde comunemente usate dai pescatori professionali in Norvegia, valutandone la facilità o difficoltà di riciclo.

L’obiettivo è quello di sviluppare nuove conoscenze e strumenti per diminuire i rifiuti, migliorare il riciclo e accrescere la sostenibilità. Deshpande ha dedicato gli ultimi otto anni a questa problematica, e i risultati delle sue ricerche precedenti sono stati utilizzati dall’ONU, dall’Unione Europea, dall’Agenzia norvegese per l’ambiente e da altri enti che definiscono le politiche in questo settore.

Solo negli ultimi dieci anni si è presa piena consapevolezza del fatto che gli oceani siano stati trasformati nelle più vaste discariche del pianeta. Uno studio stima che ogni anno tra 5 e 13 milioni di tonnellate di plastica finiscano negli oceani, ma non vi sono dati globali specifici relativi al contributo delle industrie marine.

Per diversi anni, Deshpande ha raccolto dati da fornitori, produttori, rivenditori, pescatori, discariche, imprese di riciclaggio e autorità norvegesi, ripetendo la raccolta per eliminare incertezze e assicurare l’accuratezza dei dati.

Deshpande osserva che diversi produttori creano gli stessi tipi di corde e attrezzature da pesca, ma con metodologie e materiali diversi. Spesso, i produttori non sanno esattamente che tipo e quanta plastica contengano le loro corde. I processi possono variare e le materie prime importate possono non essere adeguatamente etichettate.

“Se acquisti una bottiglia d’acqua, puoi scoprire esattamente quanto calcio e magnesio contiene. Ma quando si acquista una corda per la pesca, non si ricevono informazioni del genere”, sottolinea Deshpande.

Secondo gli studiosi, un’etichettatura appropriata potrebbe favorire il trattamento delle corde usate come risorse preziose.

Altre misure proposte includono:
– Ricerca e innovazione per design più ecologici e una maggior riciclabilità.
– Programmi di restituzione più efficaci.
– Prassi raccomandate per la gestione delle corde.
– Maggior impegno nel convincere i produttori di plastica ad utilizzare materiale riciclato.
“Produttori, pescatori, autorità, discariche e imprese di riciclaggio. Tutti hanno un ruolo nella soluzione del problema, nessuno può agire da solo. Questo si allinea all’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile numero 17 delle Nazioni Unite, che sostiene la necessità di collaborare per raggiungere gli obiettivi”, ha sottolineato Deshpande.

I rifiuti rappresentano una minaccia per la fauna selvatica marina, in quanto possono intrappolare, ferire e uccidere gli animali, oltre a entrare nella catena alimentare.

Deshpande intende quantificare l’ampiezza del problema partendo dal settore ittico norvegese. A suo parere, per realizzare una transizione ecologica nell’industria blu è necessario chiudere il ciclo produttivo e trasferire i rifiuti pericolosi in un’economia circolare, dove i prodotti durano più a lungo, possono essere riparati, migliorati e riutilizzati. Quando non è più possibile riutilizzare i prodotti, i materiali di scarto possono essere recuperati e impiegati come materie prime per nuove produzioni, consentendo alle risorse di essere usate più volte e riducendo le perdite.

Per implementare tali cambiamenti, è indispensabile conoscere il tipo di plastica dispersa e la disponibilità di materiali da riciclare. “Dobbiamo assicurare che le soluzioni proposte siano ecocompatibili, socialmente accettabili e fattibili”, conclude Deshpande.

Nel 2019, Deshpande e i suoi colleghi hanno pubblicato uno studio sui rifiuti di plastica più dannosi che finiscono negli oceani, tra cui attrezzature da pesca dimenticate, abbandonate o perdute.

“Abbiamo realizzato un’analisi del flusso di materiali che ha dimostrato come quasi 400 tonnellate di questi rifiuti derivanti dal settore della pesca norvegese finiscono in mare ogni anno”, ha aggiunto Deshpande.

Questi rifiuti marini, come nasse e reti, continuano a catturare pesci e altri organismi marini, perpetuando una forma letale di pesca per anni. Nel lungo periodo, tali rifiuti rischiano di compromettere l’intera industria ittica.

Perse ogni anno 400 tonnellate di corde nelle acque norvegesi

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Perse ogni anno 400 tonnellate di corde nelle acque norvegesi

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Perse ogni anno 400 tonnellate di corde nelle acque norvegesi – Uno studio senza precedenti ha fatto chiarezza sulla gestione di corde e lenze nell’ambito dell’industria della pesca commerciale in Norvegia. Risulta che la flotta peschereccia nazionale perde annualmente circa 400 tonnellate di corde nelle acque del paese.

La questione delle corde e delle lenze perdute sta diventando sempre più pressante. In quanto nazione leader nella pesca, caratterizzata da una vasta costa e da acque particolarmente ricche, la Norvegia risulta essere esposta al problema dei rifiuti marini. La ricerca rivela che solo un terzo delle corde prodotte e distribuite in Norvegia può essere riciclato efficacemente. La restante parte viene incenerita, sepolta, esportata o semplicemente accumulata, contribuendo a un fenomeno noto come “pesca fantasma“.

“La Norvegia si affida fortemente all’economia blu e l’identificazione di soluzioni diventa sempre più imperativa. Senza una gestione appropriata delle corde, il settore ittico non potrà mai raggiungere obiettivi di sostenibilità”. È quanto sostiene Paritosh Deshpande, professore associato presso il Dipartimento di Economia Industriale e Gestione Tecnologica della NTNU.

Deshpande, che studia i rifiuti plastici negli oceani, ha condotto le prime stime scientifiche per determinare la quantità di corda persa e come l’industria peschereccia norvegese gestisca il problema.

Nell’analisi sono stati presi in esame 15 tipi di corde comunemente usate dai pescatori professionali in Norvegia, valutandone la facilità o difficoltà di riciclo.

L’obiettivo è quello di sviluppare nuove conoscenze e strumenti per diminuire i rifiuti, migliorare il riciclo e accrescere la sostenibilità. Deshpande ha dedicato gli ultimi otto anni a questa problematica, e i risultati delle sue ricerche precedenti sono stati utilizzati dall’ONU, dall’Unione Europea, dall’Agenzia norvegese per l’ambiente e da altri enti che definiscono le politiche in questo settore.

Solo negli ultimi dieci anni si è presa piena consapevolezza del fatto che gli oceani siano stati trasformati nelle più vaste discariche del pianeta. Uno studio stima che ogni anno tra 5 e 13 milioni di tonnellate di plastica finiscano negli oceani, ma non vi sono dati globali specifici relativi al contributo delle industrie marine.

Per diversi anni, Deshpande ha raccolto dati da fornitori, produttori, rivenditori, pescatori, discariche, imprese di riciclaggio e autorità norvegesi, ripetendo la raccolta per eliminare incertezze e assicurare l’accuratezza dei dati.

Deshpande osserva che diversi produttori creano gli stessi tipi di corde e attrezzature da pesca, ma con metodologie e materiali diversi. Spesso, i produttori non sanno esattamente che tipo e quanta plastica contengano le loro corde. I processi possono variare e le materie prime importate possono non essere adeguatamente etichettate.

“Se acquisti una bottiglia d’acqua, puoi scoprire esattamente quanto calcio e magnesio contiene. Ma quando si acquista una corda per la pesca, non si ricevono informazioni del genere”, sottolinea Deshpande.

Secondo gli studiosi, un’etichettatura appropriata potrebbe favorire il trattamento delle corde usate come risorse preziose.

Altre misure proposte includono:
– Ricerca e innovazione per design più ecologici e una maggior riciclabilità.
– Programmi di restituzione più efficaci.
– Prassi raccomandate per la gestione delle corde.
– Maggior impegno nel convincere i produttori di plastica ad utilizzare materiale riciclato.
“Produttori, pescatori, autorità, discariche e imprese di riciclaggio. Tutti hanno un ruolo nella soluzione del problema, nessuno può agire da solo. Questo si allinea all’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile numero 17 delle Nazioni Unite, che sostiene la necessità di collaborare per raggiungere gli obiettivi”, ha sottolineato Deshpande.

I rifiuti rappresentano una minaccia per la fauna selvatica marina, in quanto possono intrappolare, ferire e uccidere gli animali, oltre a entrare nella catena alimentare.

Deshpande intende quantificare l’ampiezza del problema partendo dal settore ittico norvegese. A suo parere, per realizzare una transizione ecologica nell’industria blu è necessario chiudere il ciclo produttivo e trasferire i rifiuti pericolosi in un’economia circolare, dove i prodotti durano più a lungo, possono essere riparati, migliorati e riutilizzati. Quando non è più possibile riutilizzare i prodotti, i materiali di scarto possono essere recuperati e impiegati come materie prime per nuove produzioni, consentendo alle risorse di essere usate più volte e riducendo le perdite.

Per implementare tali cambiamenti, è indispensabile conoscere il tipo di plastica dispersa e la disponibilità di materiali da riciclare. “Dobbiamo assicurare che le soluzioni proposte siano ecocompatibili, socialmente accettabili e fattibili”, conclude Deshpande.

Nel 2019, Deshpande e i suoi colleghi hanno pubblicato uno studio sui rifiuti di plastica più dannosi che finiscono negli oceani, tra cui attrezzature da pesca dimenticate, abbandonate o perdute.

“Abbiamo realizzato un’analisi del flusso di materiali che ha dimostrato come quasi 400 tonnellate di questi rifiuti derivanti dal settore della pesca norvegese finiscono in mare ogni anno”, ha aggiunto Deshpande.

Questi rifiuti marini, come nasse e reti, continuano a catturare pesci e altri organismi marini, perpetuando una forma letale di pesca per anni. Nel lungo periodo, tali rifiuti rischiano di compromettere l’intera industria ittica.

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Perse ogni anno 400 tonnellate di corde nelle acque norvegesi

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Perse ogni anno 400 tonnellate di corde nelle acque norvegesi – Uno studio senza precedenti ha fatto chiarezza sulla gestione di corde e lenze nell’ambito dell’industria della pesca commerciale in Norvegia. Risulta che la flotta peschereccia nazionale perde annualmente circa 400 tonnellate di corde nelle acque del paese.

La questione delle corde e delle lenze perdute sta diventando sempre più pressante. In quanto nazione leader nella pesca, caratterizzata da una vasta costa e da acque particolarmente ricche, la Norvegia risulta essere esposta al problema dei rifiuti marini. La ricerca rivela che solo un terzo delle corde prodotte e distribuite in Norvegia può essere riciclato efficacemente. La restante parte viene incenerita, sepolta, esportata o semplicemente accumulata, contribuendo a un fenomeno noto come “pesca fantasma“.

“La Norvegia si affida fortemente all’economia blu e l’identificazione di soluzioni diventa sempre più imperativa. Senza una gestione appropriata delle corde, il settore ittico non potrà mai raggiungere obiettivi di sostenibilità”. È quanto sostiene Paritosh Deshpande, professore associato presso il Dipartimento di Economia Industriale e Gestione Tecnologica della NTNU.

Deshpande, che studia i rifiuti plastici negli oceani, ha condotto le prime stime scientifiche per determinare la quantità di corda persa e come l’industria peschereccia norvegese gestisca il problema.

Nell’analisi sono stati presi in esame 15 tipi di corde comunemente usate dai pescatori professionali in Norvegia, valutandone la facilità o difficoltà di riciclo.

L’obiettivo è quello di sviluppare nuove conoscenze e strumenti per diminuire i rifiuti, migliorare il riciclo e accrescere la sostenibilità. Deshpande ha dedicato gli ultimi otto anni a questa problematica, e i risultati delle sue ricerche precedenti sono stati utilizzati dall’ONU, dall’Unione Europea, dall’Agenzia norvegese per l’ambiente e da altri enti che definiscono le politiche in questo settore.

Solo negli ultimi dieci anni si è presa piena consapevolezza del fatto che gli oceani siano stati trasformati nelle più vaste discariche del pianeta. Uno studio stima che ogni anno tra 5 e 13 milioni di tonnellate di plastica finiscano negli oceani, ma non vi sono dati globali specifici relativi al contributo delle industrie marine.

Per diversi anni, Deshpande ha raccolto dati da fornitori, produttori, rivenditori, pescatori, discariche, imprese di riciclaggio e autorità norvegesi, ripetendo la raccolta per eliminare incertezze e assicurare l’accuratezza dei dati.

Deshpande osserva che diversi produttori creano gli stessi tipi di corde e attrezzature da pesca, ma con metodologie e materiali diversi. Spesso, i produttori non sanno esattamente che tipo e quanta plastica contengano le loro corde. I processi possono variare e le materie prime importate possono non essere adeguatamente etichettate.

“Se acquisti una bottiglia d’acqua, puoi scoprire esattamente quanto calcio e magnesio contiene. Ma quando si acquista una corda per la pesca, non si ricevono informazioni del genere”, sottolinea Deshpande.

Secondo gli studiosi, un’etichettatura appropriata potrebbe favorire il trattamento delle corde usate come risorse preziose.

Altre misure proposte includono:
– Ricerca e innovazione per design più ecologici e una maggior riciclabilità.
– Programmi di restituzione più efficaci.
– Prassi raccomandate per la gestione delle corde.
– Maggior impegno nel convincere i produttori di plastica ad utilizzare materiale riciclato.
“Produttori, pescatori, autorità, discariche e imprese di riciclaggio. Tutti hanno un ruolo nella soluzione del problema, nessuno può agire da solo. Questo si allinea all’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile numero 17 delle Nazioni Unite, che sostiene la necessità di collaborare per raggiungere gli obiettivi”, ha sottolineato Deshpande.

I rifiuti rappresentano una minaccia per la fauna selvatica marina, in quanto possono intrappolare, ferire e uccidere gli animali, oltre a entrare nella catena alimentare.

Deshpande intende quantificare l’ampiezza del problema partendo dal settore ittico norvegese. A suo parere, per realizzare una transizione ecologica nell’industria blu è necessario chiudere il ciclo produttivo e trasferire i rifiuti pericolosi in un’economia circolare, dove i prodotti durano più a lungo, possono essere riparati, migliorati e riutilizzati. Quando non è più possibile riutilizzare i prodotti, i materiali di scarto possono essere recuperati e impiegati come materie prime per nuove produzioni, consentendo alle risorse di essere usate più volte e riducendo le perdite.

Per implementare tali cambiamenti, è indispensabile conoscere il tipo di plastica dispersa e la disponibilità di materiali da riciclare. “Dobbiamo assicurare che le soluzioni proposte siano ecocompatibili, socialmente accettabili e fattibili”, conclude Deshpande.

Nel 2019, Deshpande e i suoi colleghi hanno pubblicato uno studio sui rifiuti di plastica più dannosi che finiscono negli oceani, tra cui attrezzature da pesca dimenticate, abbandonate o perdute.

“Abbiamo realizzato un’analisi del flusso di materiali che ha dimostrato come quasi 400 tonnellate di questi rifiuti derivanti dal settore della pesca norvegese finiscono in mare ogni anno”, ha aggiunto Deshpande.

Questi rifiuti marini, come nasse e reti, continuano a catturare pesci e altri organismi marini, perpetuando una forma letale di pesca per anni. Nel lungo periodo, tali rifiuti rischiano di compromettere l’intera industria ittica.

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Progetto per pesca bianchetto si scontra con burocrazia UE

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Progetto per pesca bianchetto si scontra con burocrazia UE – “Un altro anno senza la pesca del bianchetto a causa della miopia degli euroburocrati di Bruxelles. A dispetto dell’ottimo lavoro che ha visto l’impegno di Regione Liguria, Flag liguri e Università di Genova, che con il prezioso contributo dei rappresentanti del settore ha prodotto uno studio approfondito capace di dimostrare come una pesca tradizionale, stagionale e integrata con l’ambiente come quella del novellame di sardina possa essere gestita in maniera del tutto ecocompatibile, come peraltro hanno sempre fatto i nostri nonni e i loro antenati per secoli, l’Ue ha purtroppo deciso di tenere una posizione ostativa argomentandola con argomenti pretestuosi e di carattere burocratico. Il tutto, reso ancora più amaro dal parere favorevole dello stesso organo scientifico dell’Ue, che aveva certificato la bontà del piano di gestione per la pesca del bianchetto che aveva visto in prima linea i ricercatori dell’Università di Genova che con serio lavoro di studio e sperimentazione insieme ai pescatori hanno creato i presupposti per una pesca controllata e gestita in maniera del tutto sostenibile tanto da considerarla ‘best practice’ da esportare anche sulla gestione delle altre tipologie di pesca. Continueremo a sostenere il percorso di Regione Liguria con l’assessore alla Pesca Alessandro Piana e MASAF nel recuperare questa tipologia di pesca tradizionale, possibile solo in deroga ai regolamenti europei, tassello importante nella stagionalità della piccola pesca e nella antica tradizione dei nostri territori”.

Così in una nota Marco Campomenosi, europarlamentare ligure della Lega, capo delegazione Lega al Parlamento Europeo, e Lorenzo Viviani, responsabile dipartimento Pesca della Lega.

Progetto per pesca bianchetto si scontra con burocrazia UE

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Progetto per pesca bianchetto si scontra con burocrazia UE

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Progetto per pesca bianchetto si scontra con burocrazia UE – “Un altro anno senza la pesca del bianchetto a causa della miopia degli euroburocrati di Bruxelles. A dispetto dell’ottimo lavoro che ha visto l’impegno di Regione Liguria, Flag liguri e Università di Genova, che con il prezioso contributo dei rappresentanti del settore ha prodotto uno studio approfondito capace di dimostrare come una pesca tradizionale, stagionale e integrata con l’ambiente come quella del novellame di sardina possa essere gestita in maniera del tutto ecocompatibile, come peraltro hanno sempre fatto i nostri nonni e i loro antenati per secoli, l’Ue ha purtroppo deciso di tenere una posizione ostativa argomentandola con argomenti pretestuosi e di carattere burocratico. Il tutto, reso ancora più amaro dal parere favorevole dello stesso organo scientifico dell’Ue, che aveva certificato la bontà del piano di gestione per la pesca del bianchetto che aveva visto in prima linea i ricercatori dell’Università di Genova che con serio lavoro di studio e sperimentazione insieme ai pescatori hanno creato i presupposti per una pesca controllata e gestita in maniera del tutto sostenibile tanto da considerarla ‘best practice’ da esportare anche sulla gestione delle altre tipologie di pesca. Continueremo a sostenere il percorso di Regione Liguria con l’assessore alla Pesca Alessandro Piana e MASAF nel recuperare questa tipologia di pesca tradizionale, possibile solo in deroga ai regolamenti europei, tassello importante nella stagionalità della piccola pesca e nella antica tradizione dei nostri territori”.

Così in una nota Marco Campomenosi, europarlamentare ligure della Lega, capo delegazione Lega al Parlamento Europeo, e Lorenzo Viviani, responsabile dipartimento Pesca della Lega.

Progetto per pesca bianchetto si scontra con burocrazia UE

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