Mese: Aprile 2024 Pagina 53 di 71

Oceana denuncia criticità nel piano di gestione della pesca mediterranea

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Oceana denuncia criticità nel piano di gestione della pesca mediterranea – Mentre si cerca di trovare un equilibrio tra le necessità dei pescatori e la sostenibilità ambientale, si fa strada un’allarmante constatazione nel Mediterraneo Occidentale. Nonostante l’inizio del Decennio delle Scienze Oceaniche per lo Sviluppo Sostenibile, Oceana, l’organizzazione per la tutela degli oceani, ha rilasciato un avvertimento riguardo al lento progresso nella conservazione delle popolazioni ittiche. La pressante urgenza di recuperare le specie ittiche si scontra con la realtà: i passi compiuti sono insufficienti rispetto alla rapidità richiesta dall’attuale emergenza ambientale.

Francia, Italia e Spagna si trovano al centro delle critiche per non aver attuato una gestione sostenibile di specie chiave come il nasello, la triglia o lo scampo. Secondo la valutazione scientifica del piano pluriennale di gestione della pesca dell’UE, sebbene ci siano stati sforzi per limitare l’impatto della pesca e ridurre i rigetti, il tasso di sfruttamento di molte popolazioni ittiche demersali rimane preoccupante.

O’ONG sottolinea che in un contesto di sovrasfruttamento diffuso, le conseguenze si prospettano gravi tanto per la biodiversità marina quanto per il settore della pesca, il cui benessere dipende dalla salute degli ecosistemi marini. Solo il 29% delle popolazioni ittiche è conosciuto per essere sfruttato in modo sostenibile, con la maggior parte ancora soggette a sfruttamento eccessivo o con tassi di sfruttamento sconosciuti.

Il piano pluriennale, in vigore dal 2019, mira a garantire uno sfruttamento sostenibile di sei specie di pesci demersali entro il 2025. Nonostante l’introduzione di misure specifiche come la riduzione dei giorni di pesca per i pescherecci da traino, il congelamento del numero di giorni per i pescherecci con palangari, e l’istituzione di periodi di chiusura, i progressi sono stati giudicati troppo lenti.

La valutazione dello Scientific, Technical and Economic Committee for Fisheries (STECF) è fondamentale per la formulazione delle future politiche. Sarà base per la relazione della Commissione europea che dovrà essere presentata al Parlamento europeo e al Consiglio entro il 17 luglio di quest’anno. Dal 1° gennaio 2025, quando tutte le popolazioni ittiche del Mediterraneo occidentale dovranno essere sfruttate sostenibilmente, Francia, Italia e Spagna dovranno assicurare che le proprie quote di pesca siano sostenibili e intraprendere azioni correttive per quelle specie che scendono al di sotto di determinate soglie di abbondanza.

Il rapporto STECF serve come campanello d’allarme che richiede un’azione urgente e misure correttive per preservare la vitalità del mare Mediterraneo. Il suo richiamo non è solo per la biodiversità marina ma per l’intera comunità costiera che dipende dalla salute degli oceani per la propria sussistenza.

Oceana denuncia criticità nel piano di gestione della pesca mediterranea

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Oceana denuncia criticità nel piano di gestione della pesca mediterranea – Mentre si cerca di trovare un equilibrio tra le necessità dei pescatori e la sostenibilità ambientale, si fa strada un’allarmante constatazione nel Mediterraneo Occidentale. Nonostante l’inizio del Decennio delle Scienze Oceaniche per lo Sviluppo Sostenibile, Oceana, l’organizzazione per la tutela degli oceani, ha rilasciato un avvertimento riguardo al lento progresso nella conservazione delle popolazioni ittiche. La pressante urgenza di recuperare le specie ittiche si scontra con la realtà: i passi compiuti sono insufficienti rispetto alla rapidità richiesta dall’attuale emergenza ambientale.

Francia, Italia e Spagna si trovano al centro delle critiche per non aver attuato una gestione sostenibile di specie chiave come il nasello, la triglia o lo scampo. Secondo la valutazione scientifica del piano pluriennale di gestione della pesca dell’UE, sebbene ci siano stati sforzi per limitare l’impatto della pesca e ridurre i rigetti, il tasso di sfruttamento di molte popolazioni ittiche demersali rimane preoccupante.

O’ONG sottolinea che in un contesto di sovrasfruttamento diffuso, le conseguenze si prospettano gravi tanto per la biodiversità marina quanto per il settore della pesca, il cui benessere dipende dalla salute degli ecosistemi marini. Solo il 29% delle popolazioni ittiche è conosciuto per essere sfruttato in modo sostenibile, con la maggior parte ancora soggette a sfruttamento eccessivo o con tassi di sfruttamento sconosciuti.

Il piano pluriennale, in vigore dal 2019, mira a garantire uno sfruttamento sostenibile di sei specie di pesci demersali entro il 2025. Nonostante l’introduzione di misure specifiche come la riduzione dei giorni di pesca per i pescherecci da traino, il congelamento del numero di giorni per i pescherecci con palangari, e l’istituzione di periodi di chiusura, i progressi sono stati giudicati troppo lenti.

La valutazione dello Scientific, Technical and Economic Committee for Fisheries (STECF) è fondamentale per la formulazione delle future politiche. Sarà base per la relazione della Commissione europea che dovrà essere presentata al Parlamento europeo e al Consiglio entro il 17 luglio di quest’anno. Dal 1° gennaio 2025, quando tutte le popolazioni ittiche del Mediterraneo occidentale dovranno essere sfruttate sostenibilmente, Francia, Italia e Spagna dovranno assicurare che le proprie quote di pesca siano sostenibili e intraprendere azioni correttive per quelle specie che scendono al di sotto di determinate soglie di abbondanza.

Il rapporto STECF serve come campanello d’allarme che richiede un’azione urgente e misure correttive per preservare la vitalità del mare Mediterraneo. Il suo richiamo non è solo per la biodiversità marina ma per l’intera comunità costiera che dipende dalla salute degli oceani per la propria sussistenza.

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Oceana denuncia criticità nel piano di gestione della pesca mediterranea – Mentre si cerca di trovare un equilibrio tra le necessità dei pescatori e la sostenibilità ambientale, si fa strada un’allarmante constatazione nel Mediterraneo Occidentale. Nonostante l’inizio del Decennio delle Scienze Oceaniche per lo Sviluppo Sostenibile, Oceana, l’organizzazione per la tutela degli oceani, ha rilasciato un avvertimento riguardo al lento progresso nella conservazione delle popolazioni ittiche. La pressante urgenza di recuperare le specie ittiche si scontra con la realtà: i passi compiuti sono insufficienti rispetto alla rapidità richiesta dall’attuale emergenza ambientale.

Francia, Italia e Spagna si trovano al centro delle critiche per non aver attuato una gestione sostenibile di specie chiave come il nasello, la triglia o lo scampo. Secondo la valutazione scientifica del piano pluriennale di gestione della pesca dell’UE, sebbene ci siano stati sforzi per limitare l’impatto della pesca e ridurre i rigetti, il tasso di sfruttamento di molte popolazioni ittiche demersali rimane preoccupante.

O’ONG sottolinea che in un contesto di sovrasfruttamento diffuso, le conseguenze si prospettano gravi tanto per la biodiversità marina quanto per il settore della pesca, il cui benessere dipende dalla salute degli ecosistemi marini. Solo il 29% delle popolazioni ittiche è conosciuto per essere sfruttato in modo sostenibile, con la maggior parte ancora soggette a sfruttamento eccessivo o con tassi di sfruttamento sconosciuti.

Il piano pluriennale, in vigore dal 2019, mira a garantire uno sfruttamento sostenibile di sei specie di pesci demersali entro il 2025. Nonostante l’introduzione di misure specifiche come la riduzione dei giorni di pesca per i pescherecci da traino, il congelamento del numero di giorni per i pescherecci con palangari, e l’istituzione di periodi di chiusura, i progressi sono stati giudicati troppo lenti.

La valutazione dello Scientific, Technical and Economic Committee for Fisheries (STECF) è fondamentale per la formulazione delle future politiche. Sarà base per la relazione della Commissione europea che dovrà essere presentata al Parlamento europeo e al Consiglio entro il 17 luglio di quest’anno. Dal 1° gennaio 2025, quando tutte le popolazioni ittiche del Mediterraneo occidentale dovranno essere sfruttate sostenibilmente, Francia, Italia e Spagna dovranno assicurare che le proprie quote di pesca siano sostenibili e intraprendere azioni correttive per quelle specie che scendono al di sotto di determinate soglie di abbondanza.

Il rapporto STECF serve come campanello d’allarme che richiede un’azione urgente e misure correttive per preservare la vitalità del mare Mediterraneo. Il suo richiamo non è solo per la biodiversità marina ma per l’intera comunità costiera che dipende dalla salute degli oceani per la propria sussistenza.

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Disponibile il nuovo report ISSF sullo stato del tonno

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Disponibile il nuovo report ISSF sullo stato del tonno – Un vento di cambiamento soffia sulla pesca del tonno globale, ad evidnziarlo è l’ultimo report dell’International Seafood Sustainability Foundation (ISSF) pubblicato lo scorso marzo. Questo nuovo studio non si occupa solo di tonno, ma anche gli impatti ambientali più ampi delle pratiche di pesca su altre specie e sugli ecosistemi.

Stock di tonno

L’86% del tonno catturato a livello mondiale proviene da stock in condizioni di “abbondanza sana”, segnando un incremento dell’1% rispetto al precedente report, quello del 2023. È inoltre notevole il calo degli stock sovrasfruttati, che ora rappresentano il 10% del totale, riducendosi dall’11% del precedente report. Le statistiche restano stabili per gli stock a livello intermedio, che fanno il 4% del totale.

Nonostante i miglioramenti, alcune zone rimangono critiche. Gli stock di tonno bianco del Mediterraneo, obeso dell’Oceano Indiano e pinna gialla dell’Oceano Indiano sono considerati sovrasfruttati e soggetti a pesca eccessiva. Il tonno rosso del Pacifico è anch’esso sovrasfruttato, evidenziando la necessità di una gestione più sostenibile.

Gli aggiornamenti chiave nella gestione degli stock includono l’incoraggiamento ad avviare programmi di recupero dei FAD (Dispositivi di Aggregazione dei Pesci) da parte della Commissione per la pesca nel Pacifico centrale e occidentale (WCPFC), e l’adozione di una regola di controllo della raccolta per il tonno bianco del Pacifico settentrionale, in linea con quanto fatto dalla Commissione interamericana per il tonno tropicale (IATTC) nel 2023.

Nuovo report ambientale

A completamento delle analisi sullo stato degli stock, è stato pubblicato un report separato intitolato “Tuna Fisheries’ Impacts on Non-Tuna Species and Other Environmental Aspects: 2024 Summary“. Questo documento si concentra sulle catture accessorie e altri impatti ambientali delle varie tecniche di pesca del tonno, promettendo di diventare una pubblicazione annuale.

Il report sottolinea l’importanza della biomassa riproduttiva, con il 61% degli stock in buone condizioni, e della mortalità per pesca, con il 78% degli stock non soggetti a pesca eccessiva. In termini di attrezzatura, il 66% delle catture è effettuato con reti a circuizione, seguite da palangari e lenze. Inoltre, la cattura dei principali tonni commerciali ha raggiunto i 5,2 milioni di tonnellate nel 2022, con un aumento del 2% rispetto al 2021.

L’ISSF non solo fornisce informazioni cruciali ma si impegna anche a favorire una pesca responsabile e sostenibile. Il report non si limita a fornire dati ma promuove l’adozione di pratiche che rispettino gli equilibri degli ecosistemi marini. La collaborazione tra organizzazioni di gestione della pesca e iniziative come l’ISSF è fondamentale per garantire un futuro sostenibile per la pesca del tonno e per la salute degli oceani del nostro pianeta.

Attraverso il continuo aggiornamento e l’accessibilità dei suoi dati, l’ISSF dimostra l’impegno verso un’industria del tonno che non solo soddisfi le esigenze di mercato ma che mantenga un occhio vigile sulla sostenibilità ambientale, un equilibrio essenziale per la salvaguardia delle risorse marine per le generazioni future.

Qui è possibile scricare il report Status of the World Fisheries for Tuna.

Disponibile il nuovo report ISSF sullo stato del tonno

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La bussola. La pesca professionale tra politiche riduttive e nuovi scenari

La bussola. La pesca professionale tra politiche riduttive e nuovi scenari

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La bussola. La pesca professionale tra politiche riduttive e nuovi scenari – Da più di un anno il settore della pesca professionale ha conosciuto in tutta Europa dei momenti di vero fermento, innescati da scelte e strategie politiche da parte degli organi di governo comunitari ritenute fortemente penalizzanti.
In proposito non si può negare l’evidenza di un filo conduttore che pervade tutte le azioni comunitarie in materia di pesca ed incentrato quasi esclusivamente su un’unica direttrice: “riduzione”.

Riduzione delle flotte pescherecce, riduzione delle aree di pesca, riduzione dei quantitativi pescabili, riduzione degli scarti, riduzione delle giornate di pesca, riduzione dell’inquinamento provocato dagli attrezzi da pesca, riduzione della CO2 emessa dai motori marini.

Quando si parla di “aumenti” questi riguardano l’introduzione di tutte le tecnologie di volta in volta disponibili (talune di dubbia liceità) per “perfezionare” sempre di più l’azione di controllo sulle attività di pesca a garanzia del rispetto delle normative (riduttive) e sostenuta dalla teoria diffusa di una grave responsabilità da attribuire a queste attività sulla distruzione dell’habitat marino e, in ogni caso, sull’ambiente in generale.

Gli interventi diretti sul settore, di fatto, sono assimilabili, al massimo, a quelli di tipo conservativo, cioè le parole sviluppo e crescita non sono mai utilizzate con la loro reale accezione ma sull’indirizzo a nuove forme di reddito a compensazione delle riduzioni sopra elencate.

Cosi spuntano termini come crescita e sviluppo “sostenibili”, cioè incanalati sul binario del progressivo adeguamento ai nuovi standard di protezione ambientale imposti dalle istituzioni internazionali e improntate appunto sulle direttrici riduttive.

È anche vero che si prende atto che il settore, per sua natura, è dotato di un grado di resilienza molto basso con rischi di impatti economici e sociali molto rilevanti ma non si notano giudizi confortanti sui risultati degli interventi finora adottati per mitigarne gli effetti.

Anche la stessa spinta sul tanto auspicato ricambio generazionale è praticamente funzionale a far leva su una presumibile maggiore coscienza ambientale da parte delle nuove generazioni e quindi più inclini alle nuove frontiere assegnate al settore della pesca.

Ma è chiaro che i principi poi devono confrontarsi con le realtà e pertanto i fermenti di cui si è accennato all’inizio stanno segnalando inconfutabilmente che il settore non è ancora adeguatamente pronto, con la conseguente necessità di rivedere soprattutto le tempistiche e l’efficacia delle azioni di sostegno che si vogliono mettere in campo.

Ecco quindi la richiesta da più parti politiche di porre un freno sulla tabella di marcia per il raggiungimento degli obiettivi (sempre di riduzione) prefissati cercando di far revisionare al contempo talune condizioni.

Da questo punto di vista si guarda con molta attenzione alle prossime elezioni per il rinnovo degli organi comunitari.

Quale emblema del forte stato di malcontento si erge senz’altro la pesca a strascico cioè la parte più industrializzata della pesca professionale e fortemente additata di tutta una serie di presunti ed irreversibili danni ambientali.
Essa rappresenta indubbiamente quella che maggiormente risente delle politiche riduttive anche perché notoriamente sostiene dei costi di gestione molto elevati e, attualmente, con pochissimi margini di possibilità di puntare ad una diversificazione redditizia.
Su tutte, soprattutto la possibilità di esercitare l’attività di pesca-turismo, qualche spiraglio potrebbe aprirsi con delle mirate campagne di raccolta off-shore del marine-litter, ma ancora trattasi di progetti allo stato embrionale.

Difficoltà a parte, il settore, comunque, non può sottovalutare il continuo rafforzamento di questa tendenza.
Ad esempio può reclamare un sostegno molto più corposo per una conduzione più “green” dell’attività attraverso l’utilizzo di reti biodegradabili e la sostituzione dei motori esistenti a bordo delle unità con altri, di nuova generazione, a bassissime emissioni di CO2.
Anche un accrescimento della selettività, sarebbe un passo molto importante sulla credibilità della volontà di miglioramento. In questi contesti, come molto spesso accade, ci si dimentica dei consumatori che, come ho già avuto modo di evidenziare con un apposito tema su questa rubrica, le stesse Istituzioni europee riconoscono come essi costituiscano l’anello debole del mercato europeo.

Ai consumatori moderni viene richiesta una forte attenzione all’acquisto di prodotti cosiddetti “sostenibili”, esiste pure un’apposita certificazione in tal senso (nota come marchio blu MSC) di cui le aziende possono fregiarsi per proporre i propri prodotti ittici.
Nella realtà, proprio per la loro debolezza, i consumatori risultano fortemente influenzabili con pochissimi margini di poter a loro volta influenzare l’andamento del mercato.
Ne è la riprova il fatto che se le politiche comunitarie riduttive stanno costringendo il mercato a massicce importazioni extra UE di prodotti ittici, il consumo di tali prodotti risulta parimenti aumentato grazie anche all’abbattimento dei prezzi ma tralasciando la legittima pretesa della qualità.

In conclusione, la sopravvivenza dell’attività di pesca professionale sembra ricondotta ad una vera e propria sfida in cui tutte le parti in causa, dagli operatori alla politica, nei prossimi anni, saranno sempre più spesso chiamati a confrontarsi per trovare le soluzioni equilibrate e rispettose degli interessi in campo.

La bussola. La pesca professionale tra politiche riduttive e nuovi scenari

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