Mese: Luglio 2024 Pagina 19 di 20

Sfide e opportunità per l’acquacoltura nell’UE

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Sfide e opportunità per l’acquacoltura nell’UE – La sostenibilità e la competitività dei prodotti dell’acquacoltura europea rappresentano una sfida cruciale per il settore ittico. Uno studio condotto da Eumofa, su richiesta del Consiglio consultivo per i mercati (MAC), esplora le difficoltà e le opportunità che questi prodotti affrontano nei punti vendita.

Dominanza delle importazioni e consumo interno

Nel 2021, l’offerta di prodotti della pesca e dell’acquacoltura nell’UE era composta per il 69% da importazioni, mentre solo l’11% del consumo proveniva dall’acquacoltura degli Stati membri, raggiungendo un totale di 10,60 milioni di tonnellate. Le specie di acquacoltura più consumate includono salmone, trota, orata, spigola, cozze e carpa. Tuttavia, il salmone dipende quasi esclusivamente da paesi terzi.

Modelli di consumo e tendenze di mercato

Secondo Eumofa, i modelli di consumo e le tendenze di mercato variano notevolmente tra i diversi Stati membri e specie. Lo studio ha analizzato otto paesi (Italia, Repubblica Ceca, Danimarca, Grecia, Spagna, Francia, Ungheria e Polonia) e otto specie di pesci e molluschi. Ad esempio, in Polonia, le tre principali specie consumate fresche (sgombro, salmone e carpa) rappresentano il 59% del volume, mentre in Francia le tre specie principali (salmone, merluzzo e merluzzo carbonaro) rappresentano solo il 27%.

Canali di acquisto

A livello UE, il canale più comune per l’acquisto di prodotti della pesca e dell’acquacoltura è rappresentato da negozi di alimentari, supermercati e ipermercati (79%), seguiti da pescherie (43%), mercati popolari (15%), vendita diretta (10%) e vendita online (2%). Tuttavia, esistono significative differenze tra gli Stati membri, con una prevalenza di pescivendoli in paesi come Italia, Grecia e Spagna.

Sfide dell’acquacoltura europea

Lo studio di Eumofa identifica diverse sfide che il settore dell’acquacoltura deve affrontare per aumentare le proprie vendite:
– Oneri amministrativi: la creazione di nuovi impianti o l’ampliamento di quelli esistenti è spesso ostacolata da complessi requisiti burocratici.
– Cambiamenti climatici: adattarsi ai cambiamenti climatici e alla scarsità di risorse richiede modifiche nei processi produttivi.
– Costi di produzione: l’aumento dei costi per energia, combustibili e mangimi rappresenta un ostacolo significativo.
– Costi Logistici: le aree rurali o remote affrontano maggiori costi logistici rispetto ai principali mercati urbani.
– Coordinazione della produzione: è necessario allineare meglio la produzione e il consumo, soprattutto per le specie stagionali.
– Concorrenza e prezzi: i prodotti dell’acquacoltura competono con quelli importati da paesi terzi e con i prodotti della pesca selvaggia.
– Basso livello di organizzazione: la mancanza di una struttura organizzativa forte limita il potere negoziale e la capacità di investimento del settore.

Strategie di differenziazione

Per superare queste sfide, le aziende europee dell’acquacoltura stanno adottando strategie di differenziazione, come la promozione di prodotti innovativi, l’enfasi su metodi di produzione sostenibili e la certificazione di qualità. Investimenti significativi in comunicazione sono necessari per creare storie di brand che risuonino con i consumatori.

Il futuro dell’acquacoltura nell’UE

Secondo Eumofa, il futuro delle vendite di prodotti dell’acquacoltura nell’UE dipenderà da diversi fattori:
– Aumento della produzione: è essenziale aumentare il volume della produzione acquicola.
– Strategie di marketing: sviluppare strategie di marketing mirate per ogni tipo di prodotto.
– Accesso ai mercati: estendere la presenza dei prodotti dell’acquacoltura nelle pescherie e nei supermercati.
– Adattamento alle preferenze dei consumatori: le tendenze dei consumatori cambiano rapidamente e i rivenditori richiedono standard ambientali sempre più elevati.
– Informazione ai consumatori: fornire informazioni chiave e facilmente comprensibili sui prodotti dell’acquacoltura.
– Cooperazione settoriale: la cooperazione tra le piccole aziende è cruciale per affrontare la concorrenza dei prodotti importati e per sostenere campagne di marketing efficaci.

Sfide e opportunità per l’acquacoltura nell’UE

 

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È online la nuova edizione di IdentiPack

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È online la nuova edizione di IdentiPack – È online la nuova edizione di IdentiPack, il primo Osservatorio nazionale sull’etichettatura ambientale del packaging per il largo consumo, frutto della collaborazione tra CONAI e GS1 Italy.

Dall’analisi delle informazioni riportate sulle confezioni di oltre 139.000 prodotti, digitalizzate dal servizio Immagino di GS1 Italy Servizi e incrociate con i dati NielsenIQ sul venduto in ipermercati e supermercati italiani nel corso del 2023, questa quinta edizione rileva che le indicazioni sulla tipologia di imballaggio e sul corretto conferimento in raccolta differenziata compaiono sul 53,9% delle referenze a scaffale (+3,4 punti % rispetto al 2022) e sul 78,0% di quelle effettivamente vendute (+2,3 punti %).

E se la codifica identificativa del materiale, ai sensi della Decisione 129/97/CE, è presente sulle confezioni del 42,8% dei prodotti a scaffale (+4,9 punti % annui) e del 68,1% di quelli venduti (+3,2 punti %), più contenuta risulta la presenza di altre indicazioni facoltative, come i marchi e le dichiarazioni ambientali volontarie, le informazioni aggiuntive per una raccolta differenziata di qualità, la condivisione digitale delle informazioni ambientali e le indicazioni sulla certificazione di compostabilità del packaging.

La nuova edizione di IdentiPack rileva inoltre che il freddo (gelati e surgelati) si conferma la prima categoria per l’ampia comunicazione dell’etichettatura ambientale, il cura casa eccelle nell’uso di canali digitali per fornire ulteriori informazioni ambientali, mentre il petcare mostra la minor presenza di informazioni sull’etichettatura ambientale, risultando sotto la media in tutti i cluster analizzati.

È online la nuova edizione di IdentiPack

 

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Adriatico, è il momento della mucillagine

Momento molto duro per le attività di pesca nell’alto Adriatico

Ore difficili per i nostri mari. Oltre al granchio blu, nell’alto Adriatico c’è oggi l’allerta mucillagine. È stata appena inoltrata idonea segnalazione sia al Masaf che alle Regioni interessate dal fenomeno. Forse non c’è ancora emergenza, ma giungono segnali preoccupanti che arrivano dai pescatori del Veneto, del Friuli e dell’Emilia-Romagna. Quest’anno la consistenza sembra essere importante, tanto da minacciare seriamente il regolare svolgimento delle attività di pesca.

Il fenomeno è presente a largo delle coste di Caorle, sulle tegnùe di fronte al litorale di Chioggia e nel Parco marino di Trieste. La mucillagine si trova sia in sospensione che sul fondo. I monitoraggi dell’Arpav, l’agenzia regionale per la protezione ambientale del Veneto, confermano l’allarme dei pescatori: di fronte al Po di Pila è stata rilevata una striscia di mucillagine perpendicolare alla linea di costa di circa 2 metri di larghezza e lunga circa 500 metri, accumulata lungo il fronte di corrente, mentre nei restanti litorali sono state rilevate chiazze sparse.

Secondo gli esperti dell’agenzia, la responsabilità sarebbe delle piogge di questo ultimo periodo, che attraverso i fiumi hanno arricchito di nutrienti il mare: sommate alle alte temperature, hanno probabilmente favorito la proliferazione di fioriture di specie di fitoplancton che possono secernere sostanze di tipo mucoso.

Se il processo è del tutto naturale, i danni alla pesca ci sono lo stesso. Il fermo pesca obbligatorio è previsto per il 31 luglio, ma per le imbarcazioni sarà comunque dura arrivarci. Le mucillagini possono occludere le reti, riducendo l’efficacia delle catture. Inoltre, quando il materiale si deposita sul fondale marino, può danneggiare gli organismi che non sono in grado di spostarsi, portandone al soffocamento.

Grazie alla Bora, invece, la situazione sembra in miglioramento nel golfo di Trieste, dove da giorni la mucillagine aveva ricoperto ampie aree di mare e l’intero Canal grande a Trieste, lungo le Rive, e in provincia lungo la costa, come a Muggia.

Foreste di Alghe: una soluzione al cambiamento climatico

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Foreste di Alghe: una soluzione al cambiamento climatico – Il cambiamento climatico rappresenta una delle sfide più urgenti del nostro tempo, influenzando ogni aspetto della vita sulla Terra. Mentre la riduzione delle emissioni di carbonio è una priorità globale, esistono soluzioni naturali che possono svolgere un ruolo cruciale nella mitigazione del cambiamento climatico. Tra queste, le foreste di alghe stanno emergendo come potenti alleate.

L’Importanza delle foreste di Alghe

Uno studio internazionale ha evidenziato che le foreste di alghe, principalmente costituite da macroalghe brune come le kelp, possono immagazzinare significative quantità di carbonio negli oceani, contribuendo a regolare i livelli di CO2 nell’atmosfera. Secondo la ricerca, queste foreste trasportano circa 56 milioni di tonnellate di carbonio nelle profondità oceaniche ogni anno, dove può rimanere intrappolato per secoli o millenni.

Le foreste di alghe sono tra gli ecosistemi costieri più estesi e produttivi, paragonabili alle foreste terrestri in termini di rapidità di crescita e capacità di catturare il carbonio. Tuttavia, a differenza delle foreste sulla terraferma, le foreste di alghe sono state storicamente trascurate nelle strategie di “carbonio blu”, che includono gli ecosistemi marini e costieri nel calcolo del sequestro del carbonio.

La ricerca, condotta da un team internazionale di scienziati, tra cui quelli del Centro de Ciências do Mar do Algarve (CCMAR) e del Centro de Investigação Marinha e Ambiental, ha utilizzato modelli oceanici avanzati per tracciare il destino del carbonio immagazzinato dalle alghe. I risultati, pubblicati su Nature Geoscience, dimostrano che il 15% del carbonio catturato dalle foreste marine viene trasportato nelle acque oceaniche profonde ogni anno.

Questa scoperta apre nuove opportunità per la mitigazione del cambiamento climatico, sottolineando la necessità di proteggere, gestire e ripristinare queste foreste marine. La loro perdita o degrado interrompe il processo di assorbimento e trasporto del carbonio atmosferico nelle profondità marine, riducendo la loro efficacia come serbatoi di carbonio a lungo termine.

Protezione e ripristino: una necessità urgente

Le foreste di alghe stanno affrontando una serie di minacce, tra cui il cambiamento climatico, l’inquinamento e la pesca eccessiva. Queste pressioni stanno causando il declino delle popolazioni di alghe in molte regioni del mondo. Pertanto, è essenziale adottare misure per proteggere e ripristinare queste foreste, garantendo che possano continuare a svolgere il loro ruolo cruciale nella sequestro del carbonio e nel supporto della biodiversità marina.

La protezione e il ripristino delle foreste di alghe non solo aiutano a combattere il cambiamento climatico ma offrono anche numerosi benefici ecologici, come il sostegno alla biodiversità e la protezione degli habitat marini. Investire nella conservazione di questi ecosistemi è una strategia vincente per un futuro più sostenibile.

Foreste di Alghe: una soluzione al cambiamento climatico

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Scienza e Pesca insieme per affrontare la minaccia dei rifiuti marini

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Scienza e Pesca insieme per affrontare la minaccia dei rifiuti marini – I rifiuti marini rappresentano una delle minacce più gravi per la salute degli ecosistemi marini. Ogni anno, milioni di tonnellate di plastica e altri rifiuti finiscono nei nostri oceani, mettendo a rischio la vita marina e danneggiando le attività economiche legate al mare. Per affrontare questo problema crescente, è essenziale una collaborazione tra scienziati, pescatori e comunità locali.

La presenza di rifiuti nei mari non solo minaccia la biodiversità marina, ma compromette anche la salute umana e l’economia globale. Gli impatti negativi includono la morte di animali marini, l’inquinamento chimico e la distruzione degli habitat. Inoltre, i rifiuti marini possono interferire con le attività di pesca, riducendo la cattura e aumentando i costi operativi.

Il progetto FLAGS: un esempio di collaborazione di successo

In Sardegna, un progetto innovativo ha dimostrato come la collaborazione tra scienziati e pescatori possa fare la differenza. Il progetto FLAGS (Fishing Litter and Abandoned Gears in Sardinia), sostenuto dal Fondo Europeo per gli Affari Marittimi e la Pesca, ha visto la partecipazione di scienziati dell’Università di Cagliari e gruppi di azione locale per la pesca. Insieme, hanno rimosso oltre due tonnellate di rifiuti dalle acque sarde.

Durante un’esercitazione di monitoraggio scientifico, gli scienziati hanno utilizzato veicoli sottomarini comandati a distanza per esplorare i fondali marini. Oltre a trovare coralli, hanno scoperto grandi quantità di rifiuti marini. Questa scoperta ha sottolineato l’urgenza di una soluzione collaborativa. Gli scienziati si sono rivolti ai pescatori locali, i quali hanno risposto con entusiasmo, dimostrando un forte impegno per la pulizia del mare.

L’avvio della bonifica

I gruppi di azione locale per la pesca hanno lanciato bandi per selezionare cooperative e associazioni partecipanti, offrendo un sostegno finanziario di 3.000 euro per ciascuna. Questo ha reso il progetto accessibile a tutti i pescatori, indipendentemente dalle dimensioni delle loro imbarcazioni. Le quote minime di raccolta erano fissate a 100 kg per i pescherecci più grandi, 50 kg per quelli più piccoli e 20 kg per le piccole imbarcazioni.

Il risultato: un mare più pulito

In sei mesi, i pescatori sardi hanno effettuato 136 battute di pesca, raccogliendo un totale di 2400 kg di rifiuti da una profondità compresa tra 10 e 800 metri. Questo sforzo ha evidenziato l’entità del problema e la necessità di ripetere l’iniziativa. Il monitoraggio dettagliato ha fornito preziose informazioni sugli specifici tipi di rifiuti trovati a varie profondità.

Il successo del progetto FLAGS ha creato un modello organizzativo facilmente replicabile in altri contesti. Questo modello dimostra l’efficacia del coinvolgimento della comunità di pescatori nella protezione della biodiversità marina e nella gestione sostenibile degli stock ittici. Inoltre, ha aumentato la capacità dei pescatori di monitorare e registrare i rifiuti marini, contribuendo alla sensibilizzazione e alla mitigazione del problema alla fonte.

Questa iniziativa ha gettato le basi per future collaborazioni tra scienziati e pescatori, mirando a un oceano più pulito e sano. Come ha affermato il dott. Alessandro Cau dell’Università di Cagliari, il progetto ha rafforzato la fiducia tra il dipartimento universitario e i pescatori locali, creando una rete di relazioni che potrà supportare altre iniziative di cooperazione in futuro.

Affrontare il problema dei rifiuti marini richiede dunque uno sforzo collettivo e una stretta collaborazione tra scienza e pesca. Progetti come FLAGS dimostrano che, unendo le forze, è possibile fare la differenza e proteggere i nostri mari per le future generazioni. La lotta contro i rifiuti marini è appena iniziata, ma con l’impegno di tutti possiamo sperare in un futuro più sostenibile per i nostri oceani.

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