Mese: Novembre 2024 Pagina 6 di 20

Più sicurezza alimentare con un’acquacoltura equa e sostenibile

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Più sicurezza alimentare con un’acquacoltura equa e sostenibile – La crescente richiesta di prodotti dell’acquacoltura impone un’attenzione sempre maggiore alla sicurezza alimentare, un elemento fondamentale per tutelare la salute dei consumatori e garantire la qualità lungo tutta la filiera produttiva. Questo aspetto, oltre a essere essenziale per la fiducia dei consumatori, rappresenta anche un punto cruciale per la competitività delle imprese in un settore in rapida evoluzione.

In Europa, la regolamentazione della produzione ittica è tra le più rigide al mondo. Questo rigore garantisce controlli accurati lungo ogni fase del processo produttivo, ma pone anche il settore di fronte a sfide significative, soprattutto considerando l’ampia quota di prodotti importati che arriva da contesti normativi meno stringenti.

La dipendenza dell’Europa dalle importazioni per coprire la domanda interna ha generato, nel tempo, uno scenario complesso, in cui le differenze nei controlli e negli standard di produzione creano disparità tra produttori locali e operatori internazionali. Questo scenario non solo penalizza il comparto europeo, ma pone interrogativi anche sul fronte della sicurezza alimentare.

Il sistema normativo europeo

La filiera produttiva europea si basa su un sistema normativo pensato per assicurare la massima trasparenza e sicurezza. Ogni passaggio, dalla produzione alla distribuzione, è monitorato attraverso obblighi di tracciabilità e rigidi protocolli igienici. Questo permette di garantire che i prodotti rispettino elevati standard di qualità, a beneficio di tutti gli attori coinvolti, dai produttori ai consumatori.

Ad esempio, i produttori europei seguono controlli regolari che coprono ogni aspetto della produzione, dall’utilizzo di mangimi fino al monitoraggio delle condizioni ambientali. In alcuni casi, le verifiche includono anche parametri specifici legati alla sicurezza delle acque o alla gestione di eventuali contaminanti, per evitare che prodotti non conformi raggiungano i mercati.

Importazione: controlli diversi per gli stessi mercati

Diversamente da quanto avviene per i produttori europei, i prodotti importati sono soggetti a controlli principalmente all’arrivo nei mercati di destinazione. Sebbene questi controlli siano efficaci nel rilevare eventuali problemi, non possono garantire la stessa trasparenza lungo tutta la catena produttiva. Ciò può comportare difficoltà nel rintracciare l’origine di eventuali problematiche, con possibili ricadute sulla fiducia dei consumatori.

Verso un futuro più equo

Per affrontare queste sfide e ridurre le disparità, è necessario lavorare verso un sistema più armonizzato che equilibri le esigenze di sicurezza e competitività. Alcune delle possibili soluzioni includono:

  • Uniformità negli standard internazionali: allineare le normative globali per ridurre le disuguaglianze tra prodotti europei e importati.
  • Tecnologie innovative per la tracciabilità: strumenti come la blockchain possono offrire maggiore trasparenza lungo tutta la filiera, facilitando il controllo in ogni fase della produzione.
  • Rafforzamento dei controlli nei paesi di origine: audit periodici nei principali paesi esportatori potrebbero garantire standard di sicurezza comparabili a quelli europei, aumentando la fiducia nei prodotti importati.
  • Accesso facilitato alle certificazioni: rendere le certificazioni di qualità più accessibili, sia a livello economico che operativo, favorirebbe una concorrenza più leale tra piccoli produttori e grandi operatori.

Garantire sicurezza alimentare, sostenibilità e competitività è una sfida che richiede un impegno collettivo. Promuovere standard comuni e rafforzare la trasparenza lungo la filiera sono passi fondamentali per assicurare che i prodotti ittici, indipendentemente dalla loro origine, rispondano alle aspettative dei consumatori.

Un sistema più equo non è solo una questione di regole: è un’opportunità per valorizzare le eccellenze produttive e promuovere un settore ittico capace di rispondere alle sfide globali. Investire in sicurezza e innovazione significa garantire un futuro sostenibile per l’acquacoltura e per chi ne fa parte.

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Gli audit di certificazione: un viaggio dietro le quinte della qualità

Gli audit di certificazione: un viaggio dietro le quinte della qualità

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Gli audit di certificazione: un viaggio dietro le quinte della qualità – Immagina di trovarti in un mercato affollato, con decine di prodotti esposti: etichette colorate, slogan che gridano qualità e promesse di sostenibilità. Ma come fai a sapere se tutto questo è vero? È qui che entrano in gioco gli audit, quei processi quasi “detectiveschi” che garantiscono che un prodotto sia davvero all’altezza delle aspettative. Non sono solo noiose ispezioni burocratiche: gli audit sono il dietro le quinte della credibilità, il passaporto di qualità per i prodotti che finiscono nelle nostre mani e sulle nostre tavole.

Gli audit sono, in sostanza, controlli strutturati che valutano la conformità di un prodotto o di un processo rispetto a standard specifici. Nel settore ittico, per esempio, questi controlli possono garantire che il pesce surgelato che hai appena acquistato provenga da pratiche sostenibili certificate o che il tuo tonno in scatola rispetti rigidi protocolli di sicurezza alimentare. Certificazioni come l’Aquaculture Stewardship Council (ASC) o la ISO 22000 non appaiono magicamente su un’etichetta: sono il risultato di un lavoro scrupoloso, condotto da esperti con occhio clinico e penna affilata.

 

Chi sono questi esperti? Gli audit sono realizzati da enti terzi indipendenti, una sorta di giudici imparziali del mondo produttivo. Pensa a organizzazioni come Bureau Veritas, SGS o DNV: non lavorano per l’azienda certificata, e questo è essenziale per assicurare che il processo sia obiettivo e trasparente. Immaginali come investigatori neutri, inviati per scoprire se davvero ogni promessa sul prodotto è mantenuta.

Il processo di audit è un po’ come un esame scolastico, solo che al posto di studenti e professori abbiamo aziende e auditor. Prima della “verifica”, l’azienda deve preparare un corposo dossier, una sorta di “tesina” sui propri processi produttivi e sui controlli interni. Gli auditor, armati di checklist e spirito critico, analizzano ogni dettaglio, dalla documentazione ai macchinari, passando per interviste al personale e sopralluoghi nei siti produttivi. Alla fine, come in ogni buon esame, si riceve un verdetto: o si passa, oppure si dovranno correggere le non conformità prima di ottenere l’agognata certificazione.

Perché tutto questo è così importante? Perché viviamo in un mondo dove fidarsi delle apparenze non è più sufficiente. Una certificazione ottenuta tramite audit non solo garantisce qualità e sicurezza, ma può anche rappresentare un biglietto d’ingresso nei mercati internazionali. Nel settore ittico, ad esempio, certificazioni di sostenibilità o tracciabilità attirano consumatori sempre più attenti a ciò che mettono nel piatto.

Gli audit, però, non sono solo un timbro di approvazione: sono un’opportunità per le aziende di migliorarsi. Attraverso le verifiche, molte imprese scoprono aree in cui possono ottimizzare i processi, ridurre gli sprechi o adottare pratiche più sostenibili. Certo, i costi per affrontare un audit non sono trascurabili, ma i vantaggi, in termini di reputazione e fiducia dei consumatori, superano di gran lunga l’investimento.

Quindi, la prossima volta che noterai una certificazione su un prodotto, ricordati del viaggio che c’è dietro: sopralluoghi, report, correzioni e approvazioni. Gli audit sono il “dietro le quinte” della qualità, e senza di essi, il mercato sarebbe molto meno trasparente. Per noi consumatori, sapere che esistono è una garanzia in più, un modo per scegliere con maggiore consapevolezza ciò che portiamo sulle nostre tavole.

Gli audit di certificazione: un viaggio dietro le quinte della qualità

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Uila Pesca e Uila in udienza privata da Papa Francesco insieme ai pescatori

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Uila Pesca e Uila in udienza privata da Papa Francesco insieme ai pescatori – La Uila Pesca, con una delegazione di 250 pescatori e loro famiglie, ha partecipato all’udienza privata in Vaticano, voluta da Papa Francesco, presso l’aula Paolo VI, alla presenza di tutto il mondo della rappresentanza, in occasione della giornata mondiale della pesca. Ne dà notizia la segretaria generale della Uila Pesca Maria Laurenza che ha partecipato all’evento insieme alla Segretaria Generale della Uila Enrica Mammucari.

“Abbiamo accolto con gioia l’invito di Francesco” ha dichiarato Laurenza “e lo ringraziamo per la sua profonda comprensione verso i temi del lavoro e la sua vicinanza, dimostrata anche oggi, agli addetti di un settore particolarmente esposto, in tutto il mondo, alla crisi climatica, a problemi di sicurezza sul lavoro, a violazioni dei diritti e penalizzazioni sociali. Abbiamo ascoltato il suo messaggio di incoraggiamento, condividendo con lui le stesse preoccupazioni, gli stessi valori, ma anche le stesse speranze per il futuro di un antico mestiere che rischia di scomparire e al quale, al contrario, occorre restituire la dignità che merita, anche rilanciando il ruolo del pescatore come custode del mare”.

“Le Parole di Francesco” prosegue Laurenza “risarciscono i pescatori della fatica di un lavoro duro che sa trasmettere il valore della solidarietà e della sua condivisione nel mondo del lavoro e nella società. Parole che il mondo della rappresentanza da sempre testimonia e che la Uila Pesca traduce nell’impegno quotidiano sempre a fianco dei pescatori”.

“Auspichiamo che il messaggio del papa possa essere di monito alla politica, nazionale ed europea” conclude Laurenza “che deve garantire la sostenibilità anche sociale ed economica del settore e deve affrontare, in particolare, i problemi legati alla riduzione delle flotte che sta provocando un’emorragia occupazionale e al ricambio generazionale, dai quali dipende il futuro del comparto”.

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Cormorani. Cisint: “Danni insostenibili ad ambiente e pesca, li si renda cacciabili”

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Cormorani. Cisint: “Danni insostenibili ad ambiente e pesca, li si renda cacciabili” – Con un’interrogazione mirata, cofirmata dal collega Aldo Patriciello, l’europarlamentare friulana Anna Maria Cisint ha chiesto alla Commissione europea quali azioni legislative e in che tempi intenda intraprendere per risolvere il problema del cormorano (Phalacrocorax carbo), uccello ittiofago in continuo aumento, che ormai da tempo sta creando problemi alla pesca e alla biodiversitá.

“L’impatto del cormorano sulle popolazioni ittiche e sugli ecosistemi umidi é gravemente peggiorato: in Italia la specie é in continuo aumento ed ha iniziato ad espandersi a quote altimetriche elevate lungo corsi d’acqua e laghi alpini. Nelle lagune italiane produrre pesce biologico in maniera estensiva é diventato ormai antieconomico. A farne le spese inoltre, specie ittiche di elevata valenza ambientale come il temolo e l’anguilla. Le deroghe per il prelievo straordinario restano inapplicate o applicate in modo disomogeneo e comunque insufficiente e le lungaggini burocratiche cosí come le battaglie ideologiche di alcune categorie a discapito della biodiversitá, peggiorano il quadro. Nel frattempo, il danno ecologico aumenta costantemente. Ho chiesto quindi la possibilitá di intervenire direttamente sugli allegati della Direttiva Uccelli al fine di rendere cacciabile la specie in tutti i paesi membri. Ricordo che per il lupo il Consiglio europeo ha dato il via libera alla modifica del regime di tutela, in maniera analoga si potrebbe agire anche per l’avifauna in costante aumento, come appunto il cormorano. Sottolineo che senza azioni legislative celeri e concrete a rimetterci é la stessa biodiversitá, che tanto si vuole preservare, nonché una parte importantissima del comparto della pesca, l’acquacoltura estensiva”.

Queste le parole dell’europarlamentare Anna Cisint nella propria nota trasmessa da Bruxelles.

Cormorani. Cisint: “Danni insostenibili ad ambiente e pesca, li si renda cacciabili”

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Tiso: “Da plastica effetti devastanti per ecosistemi”

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Tiso: “Da plastica effetti devastanti per ecosistemi” – “La plastica è diventata un materiale onnipresente nella vita moderna, per la sua versatilità, resistenza e basso costo. Tuttavia, la produzione e il consumo di plastica a livello mondiale comportano effetti ambientali devastanti, che minacciano la salute dell’ecosistema e delle popolazioni globali. Questo materiale è infatti derivato in larga parte dal petrolio e dal gas, e la sua produzione rappresenta oggi il 12% della domanda globale di petrolio e il 9% della domanda di gas. E, la cosa preoccupante è come la produzione globale di plastica sarebbe destinata a raddoppiare entro il 2050, accentuando la dipendenza dell’industria dalla filiera petrolifera e gassosa, con implicazioni pesanti sia per la sostenibilità ambientale che per la sicurezza energetica: la plastica dispersa nell’ambiente infatti non si degrada completamente, ma si frammenta in microplastiche e nanoplastiche che penetrano nei sistemi naturali e persino nella catena alimentare. Le microplastiche, presenti ormai in oceani, fiumi e perfino nell’aria, sono un rischio per la fauna marina e per la salute umana, poiché contaminano i pesci e gli altri organismi acquatici che entrano nella dieta umana. Quali soluzioni per contrastare il fenomeno? Una delle risposte più promettenti è rappresentata dall’economia circolare, un modello che prevede la riduzione dei rifiuti e la massimizzazione del riutilizzo dei materiali. Attualmente, solo il 9% della plastica prodotta a livello globale viene riciclata, una percentuale bassa che evidenzia le lacune dei sistemi di smaltimento e riciclo. Implementare una vera economia circolare nella filiera della plastica richiederebbe miglioramenti significativi nella raccolta e nel riciclaggio dei rifiuti, nell’innovazione materiali e nell’adozione di nuove pratiche produttive. Per ridurre l’impatto ambientale della plastica, invece, molte aziende stanno esplorando l’uso di bioplastiche, derivati da risorse rinnovabili come oli vegetali non fossili, amido di mais e zuccheri. Le bioplastiche potrebbero rappresentare un’alternativa valida, poiché sono in parte biodegradabili e riducono la dipendenza dai combustibili fossili. Tuttavia, la loro diffusione è ancora limitata, e la loro produzione presenta ancora costi elevati rispetto alla plastica convenzionale. Alla luce di tutto questo, dunque, possiamo affermare che la plastica è un elemento inquinante e rappresenta una delle sfide ambientali più urgenti del nostro tempo. L’elevata domanda di petrolio e gas necessaria per la sua produzione, unita ai bassi tassi di riciclo e alla lunga durata di vita del materiale nell’ambiente, sottolinea la necessità di trovare soluzioni rapide ed efficaci. Il potenziale dell’economia circolare, bioplastiche e l’impegno dei governi e delle imprese in strategie sostenibili sono elementi cruciali per affrontare questo problema”.

Così, in una nota, Carmela Tiso, portavoce nazionale del Centro Studi Iniziativa Comune

Tiso: “Da plastica effetti devastanti per ecosistemi”

 

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