[[{“value”:”
La bussola. La pesca professionale tra politiche riduttive e nuovi scenari – Da più di un anno il settore della pesca professionale ha conosciuto in tutta Europa dei momenti di vero fermento, innescati da scelte e strategie politiche da parte degli organi di governo comunitari ritenute fortemente penalizzanti.
In proposito non si può negare l’evidenza di un filo conduttore che pervade tutte le azioni comunitarie in materia di pesca ed incentrato quasi esclusivamente su un’unica direttrice: “riduzione”.
Riduzione delle flotte pescherecce, riduzione delle aree di pesca, riduzione dei quantitativi pescabili, riduzione degli scarti, riduzione delle giornate di pesca, riduzione dell’inquinamento provocato dagli attrezzi da pesca, riduzione della CO2 emessa dai motori marini.
Quando si parla di “aumenti” questi riguardano l’introduzione di tutte le tecnologie di volta in volta disponibili (talune di dubbia liceità) per “perfezionare” sempre di più l’azione di controllo sulle attività di pesca a garanzia del rispetto delle normative (riduttive) e sostenuta dalla teoria diffusa di una grave responsabilità da attribuire a queste attività sulla distruzione dell’habitat marino e, in ogni caso, sull’ambiente in generale.
Gli interventi diretti sul settore, di fatto, sono assimilabili, al massimo, a quelli di tipo conservativo, cioè le parole sviluppo e crescita non sono mai utilizzate con la loro reale accezione ma sull’indirizzo a nuove forme di reddito a compensazione delle riduzioni sopra elencate.
Cosi spuntano termini come crescita e sviluppo “sostenibili”, cioè incanalati sul binario del progressivo adeguamento ai nuovi standard di protezione ambientale imposti dalle istituzioni internazionali e improntate appunto sulle direttrici riduttive.
È anche vero che si prende atto che il settore, per sua natura, è dotato di un grado di resilienza molto basso con rischi di impatti economici e sociali molto rilevanti ma non si notano giudizi confortanti sui risultati degli interventi finora adottati per mitigarne gli effetti.
Anche la stessa spinta sul tanto auspicato ricambio generazionale è praticamente funzionale a far leva su una presumibile maggiore coscienza ambientale da parte delle nuove generazioni e quindi più inclini alle nuove frontiere assegnate al settore della pesca.
Ma è chiaro che i principi poi devono confrontarsi con le realtà e pertanto i fermenti di cui si è accennato all’inizio stanno segnalando inconfutabilmente che il settore non è ancora adeguatamente pronto, con la conseguente necessità di rivedere soprattutto le tempistiche e l’efficacia delle azioni di sostegno che si vogliono mettere in campo.
Ecco quindi la richiesta da più parti politiche di porre un freno sulla tabella di marcia per il raggiungimento degli obiettivi (sempre di riduzione) prefissati cercando di far revisionare al contempo talune condizioni.
Da questo punto di vista si guarda con molta attenzione alle prossime elezioni per il rinnovo degli organi comunitari.
Quale emblema del forte stato di malcontento si erge senz’altro la pesca a strascico cioè la parte più industrializzata della pesca professionale e fortemente additata di tutta una serie di presunti ed irreversibili danni ambientali.
Essa rappresenta indubbiamente quella che maggiormente risente delle politiche riduttive anche perché notoriamente sostiene dei costi di gestione molto elevati e, attualmente, con pochissimi margini di possibilità di puntare ad una diversificazione redditizia.
Su tutte, soprattutto la possibilità di esercitare l’attività di pesca-turismo, qualche spiraglio potrebbe aprirsi con delle mirate campagne di raccolta off-shore del marine-litter, ma ancora trattasi di progetti allo stato embrionale.
Difficoltà a parte, il settore, comunque, non può sottovalutare il continuo rafforzamento di questa tendenza.
Ad esempio può reclamare un sostegno molto più corposo per una conduzione più “green” dell’attività attraverso l’utilizzo di reti biodegradabili e la sostituzione dei motori esistenti a bordo delle unità con altri, di nuova generazione, a bassissime emissioni di CO2.
Anche un accrescimento della selettività, sarebbe un passo molto importante sulla credibilità della volontà di miglioramento. In questi contesti, come molto spesso accade, ci si dimentica dei consumatori che, come ho già avuto modo di evidenziare con un apposito tema su questa rubrica, le stesse Istituzioni europee riconoscono come essi costituiscano l’anello debole del mercato europeo.
Ai consumatori moderni viene richiesta una forte attenzione all’acquisto di prodotti cosiddetti “sostenibili”, esiste pure un’apposita certificazione in tal senso (nota come marchio blu MSC) di cui le aziende possono fregiarsi per proporre i propri prodotti ittici.
Nella realtà, proprio per la loro debolezza, i consumatori risultano fortemente influenzabili con pochissimi margini di poter a loro volta influenzare l’andamento del mercato.
Ne è la riprova il fatto che se le politiche comunitarie riduttive stanno costringendo il mercato a massicce importazioni extra UE di prodotti ittici, il consumo di tali prodotti risulta parimenti aumentato grazie anche all’abbattimento dei prezzi ma tralasciando la legittima pretesa della qualità.
In conclusione, la sopravvivenza dell’attività di pesca professionale sembra ricondotta ad una vera e propria sfida in cui tutte le parti in causa, dagli operatori alla politica, nei prossimi anni, saranno sempre più spesso chiamati a confrontarsi per trovare le soluzioni equilibrate e rispettose degli interessi in campo.
La bussola. La pesca professionale tra politiche riduttive e nuovi scenari
L’articolo La bussola. La pesca professionale tra politiche riduttive e nuovi scenari proviene da Pesceinrete.
“}]]