E’ stato presentato a marzo il rapporto “Civiltà del mare – Geopolitica, strategia, interessi nel mondo subacqueo. Il ruolo dell’Italia”, frutto di una ricerca condotta da Fondazione Leonardo – Civiltà delle Macchine e Marina Militare.
La ricerca è suddivisa in quattro parti: 1) Strategia e geopolitica del subacqueo 2) Lo sviluppo scientifico e tecnologico nel dominio subacqueo: tecnologie, pro- cessi e sostenibilità; 3) Il regime giuridico della dimensione subacquea: le zone marittime e l’allocazione dei poteri statali; 4) Prospettive: verso una nuova governance della dimensione subacquea.
“Gli autori – si legge nel Rapporto – si propongono di fornire una informazione sintetica, ma scientificamente corretta sul mondo subacqueo, finalizzata a far comprendere le opportunità e il benessere che potrebbero derivare dal subacqueo per l’umanità intera, segnalare le incognite, individuare i problemi relativi alla sicurezza e alla difesa. Sono perciò considerati gli aspetti geopolitici, storici, tecnologici, ambientali, regolatori e di governance, per fornire una in-formazione approfondita, stimolare la curiosità verso la dimensione subacquea e documentare infine l’esigenza di istituire un’autorità di sistema come peraltro già fatto da altri Paesi”.
COSA COMPRENDE L’AMBIENTE SUBACQUEO?
“Oltre alle risorse naturali della colonna d’acqua, del fondale e del sottosuolo marino e alle attività che vi hanno luogo come la navigazione, il controllo del traffico, la ricerca scientifica e la mappatura, il mining, il trasporto e la trasformazione di risorse, la protezione ambientale e le relative misure di ripristino e rimedio nonché la posa, la manutenzione, la rimozione, la protezione e l’utilizzo di infrastrutture subacquee”.
INESPLORATO OLTRE L’80%
Oggi i fondali restano inesplorati per oltre l’80%, sia per la difficoltà di operare a grandi profondità sia per il limitato interesse nei loro confronti. Per contro, le moderne tecnologie, rendendo sempre più facilmente raggiungibili i fondali marini ad attori anche privati, consentono l’accesso alle enormi ricchezze che essi racchiudono ma, come è inevitabile, accrescono il rischio di un loro sfruttamento abusivo.
Le riflessioni contenute nel Report si sviluppano lungo tre direttrici portanti.
• La prima è incentrata sull’analisi del contesto e dello scenario, da cui emergono le potenziali minacce agli interessi nazionali e collettivi.
• La seconda studia innovazioni tecnologiche che hanno aperte nuove frontiere, con grandi opportunità, sfide e correlati rischi nonché di un uso sicuro e sostenibile dei fondali marini.
• L’ultima direttrice approfondisce il regime giuridico della dimensione subacquea e le prospettive per una nuova governance.
“Il “non fare” – si legge nel Report – priverebbe il Paese della facoltà di garantire l’uso libero, sicuro e sostenibile del mare, nella sua dimensione subacquea. Un rischio troppo elevato per una media potenza regionale a forte connotazione marittima come l’Italia, che dipende dal mare per la sua difesa e sicurezza, per l’economia di trasformazione, per l’energia, per il turismo, per le comunicazioni, per la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e del patrimonio archeologico subacqueo, per la pesca, nonché per tutte le attività marittime ed economiche che sostengono la Blue Economy.
È perciò ora indispensabile diffondere a una platea più ampia e non necessariamente specialista la conoscenza di quella parte del pianeta che si trova sotto la superficie dei mari.
Occorre far emergere l’evidenza della sua rilevanza strategica, alla quale un Paese dalla vocazione marittima come il nostro deve necessariamente dedicare un elevato livello di attenzione, utilizzando le straordinarie competenze marittime esistenti anche promuovendo la regolamentazione di un’autorità nazionale con funzione di controllo del traffico subacqueo.
L’archeologica subacquea: un capitolo a sé
“La questione dell’archeologia subacquea merita di certo un’analisi approfondita. Si tratta infatti di un particolare settore della ricerca archeologica dal valore scientifico, storico, culturale e artistico inestimabile, soprattutto per il nostro Paese, dove il mare e i suoi fondali da sempre rappresentano parte integrante dell’evoluzione della nostra civiltà.
Il protagonista delle ricerche e degli studi in questo campo è proprio il Mar Mediterraneo, una vera fucina di materiale archeologico, riemerso dalle acque a testimonianza degli scambi commerciali e delle floride contaminazioni culturali che hanno avuto luogo proprio in quest’area. Se il ritrovamento nel 1972 dei Bronzi di Riace, databili al 450 a.C. e pervenuti in eccezionale stato di conservazione, resta una delle scoperte di archeologia subacquea tra le più sorprendenti e note a livello internazionale, la lista dei tesori rinvenuti negli ultimi decenni si è andata arricchendo nel tempo, e continua a rivelare lo straordinario patrimonio di storia, arte e cultura che giace sotto la superficie dei mari. Solo per fare alcuni esempi, si ricordano la statua bronzea del Satiro danzante, un originale greco rinvenuto nel 1998 a 480 metri di profondità tra Capo Bon e Pantelleria, o la nave romana di Marausa del III secolo d.C., recuperato a 150 metri dalla costa di Trapani (l’operazione di recupero è stata completata nel 2011), che rappresenta il più grande relitto dell’epoca mai rinvenuto nei nostri mari.
Se consideriamo l’investigazione del relitto della nave Elefanten in Svezia negli anni trenta del Novecento quale pietra miliare per la sua evoluzione in scienza moderna, l’archeologia subacquea compie quasi cento anni. In un secolo sono stati raggiunti molti traguardi. Lo sviluppo delle conoscenze, tanto nel campo della tecnica e dei materiali, quanto in quello della fisiologia, ha consentito agli operatori di raggiungere quote progressivamente più impegnative. Oggi, le ricerche svolte in mare si avvalgono di strumenti sofisticati e di strumentazioni tecnologicamente avanzate come ecoscandagli multifascio, side scan sonar, magnetometri e sub bottom profiler. È un ambiente di lavoro e di studio che pone molte sfide: nelle tecniche di scavo, come nelle indagini preliminari, fino al recupero e alle successive fasi di conservazione e documentazione. Sfide che necessariamente richiedono investimenti in termini di risorse economiche, competenze e tecnologie dedicate che coinvolgono eccellenze nazionali, quali il COMSUBIN (Comando Raggruppamento Subacquei e Incursori “Teseo Tesei”) della Marina Militare e che necessitano di variegate expertise, riconducibili a un ampio spettro istituzionale. Al contempo, operare in una dimensione così complessa impone – non solo un approccio multidisciplinare – ma anche chiari riferimenti in termini di responsabilità e regolamentazione, fattori indispensabili per condurre le attività archeologiche subacquee in modo sicuro, sostenibile ed efficace.
Un esempio della messa a fattor comune di capacità e competenze, nonché della proficua cooperazione tra differenti attori pubblici e privati è rappresentato dal ritrovamento nel 2018, nel Canale di Otranto, di un relitto risalente alla prima metà del VII secolo a.C., alla profondità di 780 metri a 22 miglia dalla costa. Individuato nell’ambito della posa di un gasdotto da un’azienda privata, il sito è stato ispezionato con Remotely Operated Vehicles (ROV) civili e militari, imbarcati sui Cacciamine della Marina Militare e i reperti recuperati con l’impiego di tecnologie solitamente utilizzate nell’ambito dei lavori subacquei del comparto oil & gas. Le operazioni di recupero sono state dirette dalla Soprintendenza nazionale per il patrimonio culturale subacqueo.
L’archeologia subacquea, pur ispirata dalle medesime regole che operano in quella terrestre, proprio a causa del diverso elemento nel quale l’operatore esplica l’attività, comporta infatti difficoltà particolari, tali da rendere problematico ogni intervento di studio, gestione, tutela e valorizzazione del patrimonio subacqueo e anche per questo va considerata come scienza autonoma. È dunque volontà e obiettivo degli attori di questa iniziativa approfondire e dedicare ampio spazio a questo argomento in una successiva edizione del progetto “Civiltà del Mare”, con particolare riferimento all’area del Mediterraneo e delle coste tirreniche, adriatiche e ioniche”.
PRIMA PARTE del REPORT
Strategia e geopolitica del subacqueo
LA BLUE ECONOMY: SHIPPING, SETTORE ITTICO, SETTORE ENERGETICO, ATTIVITA’ LUDICO-RICREATIVE
Il mare riveste una cruciale importanza per le risorse naturali, le comunicazioni, la riserva alimentare, la biodiversità, nonché la funzione di regolazione climatica del nostro pianeta.
Questo complesso di fattori rientra per convenzione internazionale nella Blue Economy, che riunisce tutte le funzioni economiche direttamente o indirettamente collegate al mare: lo shipping e la cantieristica (con il correlato indotto); il settore ittico (pesca regolamentata, allevamento intensivo, fattorie ittiche e nuove frontiere nutritive); il settore energetico, basato sulle risorse ottenibili dal mare e dal suo fondale in termini di energia (giacimenti di petrolio e gas, biomasse e utilizzo delle maree) e materie pregiate (in primo luogo i cosiddetti noduli polimetallici); le attività ludico-ricreative, in futuro, potrebbe vedere affiancarsi il turismo subacqueo al tradizionale turismo da diporto.
La porzione subacquea del dominio marittimo si distingue per le proprie specificità, necessita di peculiari capacità per potervi operare, e rappresenta perciò un ambiente a sé stante, come lo Spazio, il cosiddetto “ambiente subacqueo”.
Esso comprende importanti ricchezze per lo sviluppo sostenibile delle civiltà contemporanee a marcato connotato socio-tecnologico. Oltre a gas naturale e petrolio, ci riferiamo alle disparate risorse minerarie ubicate sui fondali marini, come i citati noduli polimetallici, composti da vari elementi come ferro e manganese, oltre a rame, cobalto, nichel e terre rare, ma anche acqua dolce (recente la scoperta di masse di acqua dolce ubicate nei fondali dell’Oceano Atlantico).
Anche l’ambiente subacqueo è interessato dalle conseguenze determinate dallo scioglimento delle calotte polari in termini di accessibilità alle risorse naturali e competizione per le stesse. Tali risorse rappresentano un elemento irrinunciabile per lo sviluppo di innumerevoli settori dell’attività umana (industriale, medico, tecnico-scientifico, militare).
Inoltre, i fondali marini ospitano anche importanti infrastrutture di valenza strategica, per il funzionamento del mondo in cui viviamo.
ESTENSIONE DEI FONDALI MARINI
Nel complesso, i fondali marini si estendono su una superficie di circa 361 milioni di km2 con una profondità media di circa 3.800 metri.
Questa enorme superficie può essere suddivisa in due grandi aree: fondali abissali che possono
11raggiungere agevolmente 5.000 – 6.000 metri di profondità e la piattaforma continentale che può estendersi per centinaia di chilometri dalla costa con una profondità di circa 200 metri. Questa complessa architettura è completata da montagne e valli sottomarine che possono elevarsi fino a 2.500 metri o incunearsi per 1.000 – 2.000 metri sulla piana abissale e dalla presenza di vulcani e fa- glie tettoniche in costante movimento.
Da un punto di vista topografico poco più del 20% dei fondali marini risulta mappato con tecniche moderne e solo per il 2% esiste una cartografia accurata e aggiornata: un deficit, che neanche gli strumenti da ricognizione satellitare sono in grado di colmare se non per una piccola parte, in quanto le radiazioni elettromagnetiche penetrano solo per alcune decine di metri sotto la superficie del mare. Anche la conoscenza dei parametri delle variabili geofisiche del fondale marino (correnti, proprietà acustiche, magnetismo, gravità) risulta ancora molto limitata a causa della necessità di effettuare la raccolta dati direttamente in situ.
L’IMPERSCRUTABILE ABISSO
L’ambiente subacqueo è particolarmente “impermeabile” all’uomo e alla sua esplorazione, paradossalmente lo spazio extra-atmosferico (nella porzione più vicina al nostro pianeta) è più conosciuto di quanto non lo siano fondali e profondità abissali.
Questi si caratterizzano, infatti, per un forte connotato di “opacità”. Mari e oceani ricoprano circa il 70% della superficie terrestre e tuttavia l’80% rimane largamente sconosciuto, dal punto di vista biologico e idro-oceanografico. L’interesse per i fondali marini, e per le ricchezze che questi contengono, va di pari passo con l’effettiva capacità di accedervi e l’esponenziale crescita delle tecnologie subacquee.
In tal senso, merita attenzione il comparto industriale dedicato all’estrazione dell’oil&gas, nel cui ambito lo sviluppo delle tecnologie subacquee ha portato alla proliferazione di sistemi che possono trasportare uomini senza bisogno di una guida umana. Sono così garantiti considerevoli miglioramenti, in primis in termini di tutela e protezione della vita umana in un ambiente potenzialmente ostile, e in secondo luogo in termini di efficacia della gestione delle attività manutentive delle infrastrutture subacquee off-shore.
LA COLONIZZAZIONE DEI FONDALI
Le intrinseche difficoltà dell’ambiente subacqueo non hanno impedito all’uomo di avviare la “colonizzazione” dei fondali con un’ampia e variegata tipologia di manufatti.
Tali infrastrutture, essendo poste in un ambiente naturalmente ostico e largamente sconosciuto, basti pensare all’esigenza di resistere alla pressione idrostatica nelle profondità abissali, sono sottoposte a notevoli sollecitazioni che mettono alla prova resilienza e funzionalità.
Tali aspetti di natura meccanica comportano l’esigenza di protezione delle infrastrutture, dalla fauna marina, da ancore, reti da pesca e altri manufatti.
Lo sviluppo delle tecnologie subacquee ha reso i sistemi unmanned capaci di superare gli ineludibili limiti che l’attività umana incontra sott’acqua (alcuni sistemi sono certificati per restare un anno sott’acqua senza alcuna manutenzione). Le prestazioni di tali sistemi possono essere attagliate alla missione da svolgere tramite l’impiego di sistemi aggiuntivi modulari che ne aumentano decisamente il livello di versatilità (sistemi di manipolazione, sistemi sonar aggiuntivi, ecc.).
La versatilità è ulteriormente incrementabile con l’impiego di applicazioni d’intelligenza artificiale che rendono questi mezzi virtualmente autonomi, così da poter essere impiegati in un ampio spettro di missioni subacquee, tanto a carattere civile quanto militare.
Le tecnologie stanno diventando sempre più semplici da usare e relativamente economiche; è prevedibile, pertanto, un loro impiego sempre più massiccio. In un futuro prossimo le profondità dei mari saranno verosimilmente sempre più “affollate” a opera di sistemi subacquei di ogni genere, con equipaggio a bordo oppure unmanned.
Lo sviluppo delle tecnologie subacquee offrirà enormi opportunità di sfruttamento ed esplorazione dei fondali marini, ma consentirà di porre minacce alla sicurezza delle infrastrutture strategiche subacquee, con un’esigenza di sicurezza. Proprio l’intrinseco valore strategico che rivestono tali infrastrutture critiche – delle quali nessuna moderna società potrebbe fare a meno – impone di sviluppare una capacità di coordinamento e supervisione di tutte le attività subacquee, da coniugare con un’effettiva capacità di difesa e protezione. Ciò, non solo nel caso di eventi naturali, ma anche laddove dovessero intervenire azioni volontarie.
LA CORSA ALL’ORO OCEANICO
Secondo una recente statistica dell’OCSE, l’economia legata agli Oceani dovrebbe crescere dagli attuali 1.500 miliardi di dollari ai circa 3.000 entro il 2030, rinforzando ancora di più il già forte legame esistente tra il benessere sulla terraferma e le risorse marine.
La dimensione subacquea dà accesso a enormi risorse naturali ma anche a un ambiente che deve essere preservato dall’eccessivo sfruttamento industriale.
È uno spazio dotato di particolare complessità, con libero accesso alle risorse e un controllo labile o assente. Le frontiere marine, nella storia, sono luoghi nei quali le dispute vengono spesso risolte con la forza o con azioni unilaterali piuttosto che con negoziati.
Le risorse da considerare nell’ambiente subacqueo sono il tradizionale settore della pesca ma anche quello degli idrocarburi, dei cavi sottomarini, dell’eolico off-shore e in futuro dell’estrazione di noduli polimetallici dai fondali.
Il settore dell’estrazione degli idrocarburi, liquidi e gassosi, ha subíto nello scorso decennio un lento declino sebbene ancora oggi metà delle scoperte di nuovi giacimenti avvenga sott’acqua. Si tratta di una rilevante crescita per le economie emergenti, spesso proiettate nell’ambiente marino con ampie Zone Economiche Esclusive (ZEE), per le quali la tematica del cambiamento climatico potrebbe avere rilevanza diversa rispetto ai paesi europei.
L’estrazione dei metalli dal mare, invece, ci pone di fronte a un bivio: bilanciare la necessità di preservare la biodiversità marina (elemento essenziale del settore pesca) con quella di approvvigionamento di materie prime (manganese, cobalto, nichel, terre rare) necessarie per la nuova green economy basata sul largo impiego della propulsione elettrica.
Sulla terraferma, tali materiali sono saldamente in mani cinesi, con il controllo diretto delle miniere sul proprio territorio o in virtù degli stretti legami commerciali con i Paesi produttori saldati con la consueta lungimiranza strategica. La competizione per l’esplorazione dei giacimenti sottomarini è invece solo all’inizio.
Il recupero dal suolo marino dei noduli polimetallici ricchi di manganese è stato il focus di gran parte del dibattito sullo sfruttamento dei fondali. L’esplorazione iniziò nei primi anni ’80 mentre i relativi strumenti legali e i meccanismi di regolazione vennero definiti durante i negoziati della terza Conferenza delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare.
Peraltro, vi sono altre risorse minerali il cui potenziale commerciale è considerevole, ma di cui si conosce ancora poco o che non sono presenti sui fondali in quantità cumulate sufficienti per giustificarne economicamente l’estrazione.
La principale risorsa di questo tipo sono gli idrati di metano, riserve di gas naturale intrappolato sul fondo in forme simili al ghiaccio.
Tuttavia, fino a quando petrolio e gas accessibili rimarranno disponibili a un prezzo relativamente basso, le difficoltà tecniche legate allo sfruttamento delle risorse subacquee sconsiglieranno il loro sfruttamento.
INFRASTRUTTURE SUBACQUEE
Maggiore consapevolezza sta maturando per quel che riguarda le infrastrutture subacquee critiche, che rappresentano il sistema nervoso lungo cui scorre la nostra vita economica e sociale.
Le infrastrutture possono essere suddivise in sei categorie:
· Infrastrutture energetiche: in generale sono gli impianti per la veicolazione dei flussi energetici, come gasdotti, oleodotti, teste di pozzo, ecc.. Nell’ultimo ventennio, tali strutture hanno visto proliferare una serie di installazioni accessorie di supporto volte all’esecuzione delle attività di controllo e manutenzione dei dotti sottomarini (ad esempio, la stazione per il ricovero e
la ricarica dei mezzi autonomi – ROV e AUV).
· Infrastrutture per il trasporto di energia elettrica: cavi elettrici sottomarini ad alta tensione lunghi anche centinaia di chilometri che, insieme alle linee aeree e interrate, assicurano il trasporto dell’elettricità tra due sponde della terraferma anche molto lontane tra loro.
· Infrastrutture di comunicazione: i cavi sottomarini sono presenti sui principali fondali del globo terracqueo e consentono una percentuale tra il 97% e il 99% del traffico dati globale (Internet, social media e transazioni finan- ziarie incluse).
I dati digitali passano attraverso 426 cavi sottomarini in fibra ottica (per un totale di 1,2 milioni di km) posati lungo le principali dorsali di comunicazione, principalmente tra le economie occidentali e orientali. Nonostante le crescenti ridondanze tra le linee dei cavi – costruttivamente sempre più robuste – e il moltiplicarsi di fornitori di servizi digitali, la presenza di colli di bottiglia obbligati (così detto single point of failure) e il sempre più facile accesso agli abissi rendono questa infrastruttura subacquea sempre più critica e meno difendibile da attacchi intenzionali o semplici incidenti. “A day without internet” è uno scenario che ci obbligherebbe a rinunciare ai più elementari servizi su cui si basa la nostra società; ma, soprattutto, porrebbe in grande difficoltà anche le importanti infrastrutture critiche terrestri il cui funzionamento è sempre più dipendente dalla rete.
· Infrastrutture di bio-farming: si tratta di una serie di biosfere ancorate sul fondo del mare e riempite con migliaia di litri di aria, dove vengono coltivate in atmosfera controllata colture agricole. Grazie alla temperatura del mare pressoché costante, le colture si avvantaggiano di un microclima stabile che, oltre a proteggere le piante da aggressioni di insetti e micro-organismi, con- sente una più veloce ed efficace crescita e maturazione.
· Infrastrutture minerarie: alle consolidate attività che hanno luogo sulla terraferma, si affiancheranno anche attività estrattive effettuate sul fondo e sul sotto-fondo marino (sea mining).
· Infrastrutture per lo stoccaggio dell’anidride carbonica: lacd. CarbonCapture and Storage (CCS) è considerata un’importante e imprescindibile componente della roadmap verso la decarbonizzazione e consente di depositare permanentemente, all’interno di formazioni geologiche sotterranee e sottomarine, l’anidride carbonica generata da filiere industriali ad alto tasso di emissioni (cd. hard-to-abate, come siderurgia, cementifici, industria della carta e del vetro), sfruttando i volumi porosi (reservoirs) di giacimenti oil&gas esauriti o in via di esaurimento. Nel caso dei reservoirs nel sottofondo marino, la CO2 liquefatta viene trasportata via nave fino a un terminal che a sua volta è collegato a un gasdotto sottomarino attraverso il quale si inietta il fluido di scarto nel serbatoio del sottosuolo per lo stoccaggio in una struttura geologica dalla conprovata tenuta idraulica.
L’incremento delle attività subacquee e le esigenze di tutela dell’ambiente, di vigilanza marittima e di protezione delle infrastrutture
Nel corso dell’ultimo ventennio le attività subacquee hanno subíto una decisa evoluzione in qualche misura analoga a quanto avvenuto nello spazio extra-atmosferico. I due ambienti, quindi, un tempo riservati alle sole medie e grandi potenze del pianeta vivono oggi una stagione di grande competitività, grazie a una sensibile riduzione dei costi.
Gli abissi non sono più soltanto il regno di sottomarini militari dalle notevoli prestazioni. Il panorama si è diversificato ampliando sia il numero di attori, sia le tecniche di sfruttamento di tutto ciò che insiste sotto le onde.
Nel corso della Guerra Fredda e del successivo ventennio, l’ambiente subacqueo ha visto una netta separazione tra le operazioni militari e quello delle Corporate nei settori dell’oil&gas e telco. I sottomarini erano – e sono tuttora – impiegati quale strumento di deterrenza in virtù della propria capacità di attaccare in maniera furtiva sia le forze marittime, sia bersagli su terra grazie alla unione di sistemi missilistici Deep Strike e operazioni di Forze Speciali. Gli esempi più rappresentativi sono la Guerra del Golfo nel 1991, l’intervento NATO nella ex-Jugoslavia (1999), Enduring Freedom in Afghanistan (2001), le operazioni USA in Iraq (2003), Unified Protector e infine la Guerra in Siria alla quale i sottomarini russi della Flotta del Mar Nero partecipano dall’ottobre 2015. Il recente cambiamento dell’ambiente subacqueo è stato accompagnato soprattutto nell’ultimo decennio da una significativa espansione del ramo civile, che si è sviluppata intorno alle nuove esigenze energetiche e di comunicazione globale. Sebbene la tecnologia di perforazione petrolifera esista dagli anni Cin- quanta del secolo scorso e quella dei cavi sottomarini risalga a fine Ottocento è solo in questi ultimi anni che si è palesata una effettiva competizione tra tutti gli Stati litoranei con diritti sovrani di sfruttamento sulla piattaforma continentale. Nel campo degli idrocarburi la rinnovata sensibilità degli Stati – e delle grandi alleanze – in tema di “sicurezza energetica” ha imposto una spasmodica ricerca di nuove fonti di approvvigionamento. Le recenti tensioni nel Mediterraneo allargato nascono principalmente dalla fame di energia e non potranno cessare fino alla creazione di un accordo omnicomprensivo che bilanci diritti e interessi di tutti gli Stati costieri. L’altra grande partita che si gioca sott’acqua, e lontano dai riflettori, è quella dei cavi sottomarini per comunicazioni il cui uso è vertiginosamente aumentato per sopperire alla richiesta globale di traffico dati sulla rete internet.
Il panorama mediterraneo è caratterizzato da una complessità di fenomeni che vanno al di là delle logiche a cui ci avevano abituato la Guerra Fredda e il successivo ventennio di assoluta prevalenza americana e NATO. All’epoca sotto le onde si muovevano in sostanza due grandi tipologie di interessi e, quindi, di strumenti operativi. Da un lato vi erano le esigenze di controllo in tempo di pace – e dominio in caso di scontro – dello spazio marittimo. Necessità che sfociava nel costante dispiegamento di sottomarini d’attacco e delle contrapposte forze di ricerca antisommergibile. L’altra faccia della medaglia era il crescente uso dei fondali marini per la connettività energetica e telefonica: un settore gestito da compagnie civili che operavano sotto il cappello della stabilità e sicurezza fornita dalle forze occidentali.
Oggi, questa separazione d’interessi tra il mondo militare e quello civile si sta assottigliando.
La rilevanza strategica delle infrastrutture sul fondo dei mari, siano esse gasdotti o dorsali di connettività internet, non può non far rientrare la difesa di queste infrastrutture subacquee critiche tra i principali interessi militari di ogni paese avanzato. L’interruzione dei servizi di connettività dati priverebbe il cittadino dell’uso del web e dei social network e impatterebbe in maniera devastante sui servizi su cui si basano le nostre vite, ospedalieri, bancari e infrastrutturali. Lo stesso si può dire di eventuali operazioni di intelligence po- litico-industriale su vasta scala o sull’alterazione fraudolenta delle informazioni scambiate a livello globale. Stesso indice di pericolosità, infine, avrebbero le conseguenze energetiche e ambientali di attacchi subacquei – quindi occulti e non attribuibili – alle infrastrutture dell’oil&gas o a una sola delle migliaia di navi cisterna e gasiere che solcano le rotte tra Suez e Gibilterra.
LA CRISI IN UCRAINA
Consideriamo ad esempio la crisi in Ucraina. Il conflitto ha indotto la Comunità Internazionale a una presa di coscienza della pericolosità della guerra ibrida e che si sviluppa secondo dinamiche sempre più complesse, offerte dal progresso tecnologico. Al di là dell’evoluzione della situazione tattica sul terreno, il protrarsi delle ostilità ha prodotto importanti effetti nel dominio marittimo sempre più centrale nella strategia nazionale.
In tale ambito, i danneggiamenti ai gasdotti del North Stream 1 e 2 registrati in Mar Baltico nel settembre 2022 hanno evidenziato la vulnerabilità delle infrastrutture subacquee e le conseguenze economiche e sociali dell’interruzione di servizi che si basano su tali infrastrutture. Tutto questo senza tralasciare le conseguenze dal punto di vista ambientale.
Da tempo, i grandi attori statuali, comprese Russia e Cina, stanno sviluppando capacità nel settore underwater (manned e unmanned), ampliando il ventaglio delle minacce a cui possono essere esposte le infrastrutture critiche e aumentando la difficoltà di applicazione di concrete misure di protezione delle stesse.
Nel caso della Russia, da tempo Mosca ha incrementato le attività navali in prossimità di condotte sottomarine occidentali, specie in Oceano Atlantico, impiegando unità di diversa tipologia (ricerca oceanografica, supporto sommergi- bili e unità con capacità tecnologiche avanzate) in aree dove sono presenti le principali dorsali di comunicazione, attraverso le quali transita circa il 98% del flusso dati da e verso l’Europa.
Anche la situazione nel bacino del Mediterraneo desta preoccupazione. L’attuale conflitto in Ucraina non fa altro che incrementare le possibilità di un attacco a infrastrutture critiche esistenti in loco, specie nella possibilità di ulteriori possibili escalation del conflitto.
RISORSA FRAGLE E PREZIOSA
L’ambiente subacqueo è pertanto una risorsa fragile e preziosa che va tutelata e andrebbe considerata come un nuovo dominio per la Difesa e Sicurezza, al pari di spazio e ciberspazio, investendo, già da oggi, in adeguate strutture operative e tecnologie per assicurarne il controllo e operarvi efficacemente.
Dal punto di vista della prospettiva giuridica, con l’entrata in vigore della UN- CLOS, è stata istituita una struttura regolamentatrice degli oceani e del mondo subacqueo, ma contestualmente ci si è accorti delle numerose minacce a cui i fondali marini sono esposti a causa dell’attività umana: acidificazione, deossigenazione, scarico sui fondali, sovrasfruttamento ittico, perforazioni oil&gas e, nel prossimo futuro, estrazione mineraria e bioprospezione. Tutto ciò, mentre venivano alla luce, grazie alle tecnologie innovative sviluppate, nuove scoperte sui fondali, in particolare habitat ed ecosistemi da proteggere.
Persistono però ragionevoli dubbi sulle capacità degli attuali strumenti giuridici internazionali e nazionali frammentati e poco di sostenere l’urto che la corsa alle risorse dei fondali porterà su un ecosistema ambientale delicato ed essenziale per la sopravvivenza del genere umano.
LA TUTELA DEGLI INTERESSI MARITTIMI
Restringendo l’attenzione sul Mediterraneo, inteso nella sua accezione geopolitica di Mediterraneo allargato, esiste un’ampia area oggetto di forte competizione internazionale e di controversie i cui effetti si riverberano ben oltre i suoi limiti spaziali. A ciò contribuisce il citato fenomeno della territorializzazione del mare, che ha portato nel Mediterraneo ad avere meno del 20% della superficie acquatica libera da pretese da parte degli Stati costieri che vi si affacciano.
Il Mediterraneo allargato è costituito da una di faglia tra un Nord sviluppato e un blocco frastagliato con un Sud tradizionalmente fragile sul piano politico, sociale ed economico, sovrappopolato e conflittuale, un Nord-Est caratterizzato da una rinnovata postura assertiva sul piano politico-militare e un Oriente (vicino e medio) in cui si osserva una pronunciata competizione tra diverse realtà politiche, statuali o non statuali.
Tale regione rappresenta l’area di prioritario e diretto interesse strategico dalla quale dipendono la sicurezza e le prospettive di crescita e benessere dell’Italia. In tale prospettiva, la sicurezza della regione risulta assolutamente determinante, non solo in quanto geograficamente vicina, ma anche per la marcata interdipendenza di carattere economico, politico, diplomatico e, non ultimo, culturale.
Un bacino semichiuso come quello del Mediterraneo si caratterizza dal punto di vista orografico per il cospicuo numero di passaggi obbligati (colli di bottiglia) per il traffico marittimo, sia civile sia militare. Inoltre, con una posizione geo- grafica sostanzialmente baricentrica, l’Italia sostanzia la sponda settentrionale dello stretto di Sicilia, choke-point all’interno del quale si incanala tutto il traffico marittimo con direttrice occidentale proveniente dal Mediterraneo orientale e dal Mar Nero, oltre a quello in ingresso e in uscita dal Canale di Suez, e pertanto di particolare valenza strategica.
Il fenomeno della “territorializzazione” impatta sull’ordine dei mari e dell’ambiente subacqueo. In particolare, attraverso l’adozione di “eccessive pretese sulla ZEE”, così come pure con la prassi della Extended Continental Shelf (ECS), rivendicata da diversi Stati costieri. L’eccessività è in questo caso riferita all’aspetto dimensionale, laddove per esempio, le linee di base si discostano eccessivamente dall’andamento della costa o, nel caso della piattaforma continentale, l’estensione si basa su affermazioni che dal punto di vista geologico sono implausibili. Vi sono poi pretese che appaiono eccessive in quanto, pur riferibili a una ZEE correttamente definita, eccedono i poteri che competono allo Stato costiero per lo sfruttamento sovrano delle risorse, erodono le libertà residue dell’Alto Mare applicabili nella ZEE, restringono i diritti di altri Stati a condurre attività in quelle aree. Tali restrizioni riguardano attività come le esercitazioni militari o la posa di cavi, e anche pretese di esercizio della potestà impositiva fiscale di im- porre imprese nazionali per il servizio di protezione delle navi dalla pirateria.
Da questo punto di vista la geopolitica degli abissi è un contesto mobile di influenze, potenza e risorse tra Stati in competizione, con interessi e aspirazioni di controllo degli oceani. Ciò è particolarmente evidente in Artide, in Antartide, nell’Oceano Indiano, nel Mar Cinese Meridionale e negli oceani in generale; ma il fenomeno non deve essere trascurato neppure nel Mediterraneo allargato, area di traffici intesi e di forte rivendicazione delle pretese degli Stati costieri.
IL RUOLO DELL’ITALIA: 8500 KM DI COSTE
L’Italia, paese a vocazione marittima, è profondamente integrata in questo contesto geopolitico. La sua economia, la sua stessa esistenza e la sua identità sono ineludibilmente dipendenti dalla sua dimensione marittima. Infatti, con i suoi circa 8.500 chilometri di coste – equivalenti ai 7/8 dei confini esterni – il Paese si proietta dal Centroeuropa nel bacino mediterraneo sino al crocevia ba- ricentrico e strategico dello Stretto di Sicilia, pressoché equidistante da Gibilterra, Suez e dagli Stretti turchi, tutti passaggi fondamentali per le principali linee di comunicazione marittima. Ne deriva che il mare è l’elemento naturale e la dimensione strategica di riferimento per il Paese, che ne sottende l’assetto securitario ed economico, la proiezione internazionale, nonché il livello di benes- sere e prosperità. Un inestimabile patrimonio naturale – quello marino – che, alla pari di quello sulle terre emerse, deve necessariamente essere salvaguardato e impiegato responsabilmente in termini di sviluppo sostenibile.
POSIZIONE STRATEGICA
Come riportato nello studio “Progetto Mare” elaborato nel 2022 da Confindustria in collaborazione con le associazioni di categoria legate all’economia del mare, nel 2018 la componente “blue” dell’economia italiana ha registrato un’occupazione di quasi 530 mila unità, un fatturato di 82,2 miliardi di euro, un valore aggiunto di 23,8 miliardi, profitti lordi per 10,7 miliardi e investimenti per 2,4 miliardi.
Se si considera che circa il 90% delle merci mondiali compie almeno una tratta via mare, la posizione geografica del nostro Paese, è particolarmente vantaggiosa per lo sviluppo della Blue Economy. Infatti, via mare transita il 64% delle nostre importazioni e il 50% dell’export.
Circa 480 milioni di tonnellate tra merci – alla rinfusa (secche e liquide) in container o a bordo dei traghetti – sono movimentate nei nostri porti.
Il Mare Nostrum, nonostante rappresenti solo l’1% della superficie marittima mondiale, è il crocevia di numerose importanti direttrici di traffico: circa il 20% del traffico marittimo mondiale, il 25% dei servizi di linea su container, il 30% dei flussi di petrolio mondiali, il 65% del flusso energetico per i paesi dell’Unione Europea.
Emerge, quindi, anche da questi pochi cenni la necessità e utilità di approfondire, attraverso una riflessione dedicata, anche la ricchezza e molteplicità delle attività che si svolgono in superficie. Ciò con il duplice obiettivo di fornire utili elementi di riflessione e risvegliare la cultura marittima nel nostro Paese.
Pertanto, per rango, posizione strategica e vocazione marittima, l’Italia deve giocare un ruolo di rilievo nell’ambito del Mediterraneo allargato. Infatti, per salvaguardare i propri ramificati interessi un Paese come l’Italia deve necessariamente contemplare un approccio almeno trans-regionale che trova nella regione del “Mediterraneo allargato” il suo contesto geopolitico di primario interesse strategico.
Con un impianto economico prevalentemente orientato alle attività di trasformazione, la prosperità nazionale risulta intimamente dipendente dalla disponibilità di un flusso costante di approvvigionamenti – sia in termini energetici che di materie prime – dall’estero, affidabile e proporzionato alle esigenze dell’industria che per qualità e dimensioni si colloca tra le prime su scala mondiale.
Tali rifornimenti, in massima parte (90%), raggiungono il nostro Paese via mare (gasdotti, terminal petroliferi e di rigassificazione, trasporto merci, ecc.). Allo stesso tempo, anche i prodotti finiti destinati ai mercati esteri vengono trasportati e principalmente attraverso vettori marittimi. In tale ottica, per l’Italia, il libero uso del mare non può che sostanziare un indispensabile fattore abilitante di assoluto rilievo strategico.
PROMOZIONE E TUTELA DEGLI INTERESSI NAZIONALI NEL MARE
È dall’indissolubile legame con la marittimità che deriva l’impegno per la promozione e la tutela degli interessi nazionali nel mare, sia sopra che sotto la superficie che si declina attraverso la difesa e la sicurezza marittima nell’ambito delle alleanze di riferimento del Paese, la libertà di navigazione, la protezione dei connazionali all’estero e degli operatori marittimi nazionali, la tutela del commercio con il connesso sistema di trasporti marittimo, la sicurezza energetica in- tesa come continuativo e sicuro accesso alle risorse, la sorveglianza e la protezione dei cavi sottomarini digitali, il posizionamento diplomatico nel contesto internazionale, nonché quello economico e industriale con la tutela delle tecnologie sovrane e della ricerca scientifica. Un impegno a tutto tondo che rischia costantemente di essere compromesso da competizioni e attriti fra attori statuali e non, oltre che da sempre più diffuse minacce alla sicurezza marittima e alla libertà di navigazione.
Sulla base di un legame così viscerale col mare, l’Italia dovrà continuare a esprimere ordine nell’ambito del Mediterraneo allargato tramite una rigorosa politica estera, economica, di sicurezza e di difesa, ovvero attraverso iniziative di International Maritime Security volte a salvaguardare, ovunque si renda necessario, i prioritari interessi nazionali che insistono sopra e sotto i mari.
Alla luce delle determinanti vulnerabilità del sistema economico nazionale, si renderà necessario sorvegliare e proteggere le strategiche linee di comunicazione marittima di accesso che, oltre a convogliare da e per il Paese i flussi commerciali di importazioni ed esportazioni, assicurano buona parte del sostentamento energetico nazionale (gas e petrolio via nave). Al contempo, bisognerà proteggere le infrastrutture marittime critiche (subacquee e di superficie), anche alla luce della istituenda ZEE italiana nella quale sarà imprescindibile incrementare le attività di vigilanza marittima (sia di superficie sia subacquea) a difesa degli interessi nazionali. Infine, in un’ottica di sviluppo sostenibile, sarà indispensabile tutelare il patrimonio naturale e di biodiversità senza rinunciare alle prospettive che l’economia subacquea potrà fornire.
Da ciò nasce l’esigenza di operare in tempo utile per costituire un sistema istituzionale che sia in grado di sovraintendere, gestire, controllare, e, se necessario, proteggere le attività e le infrastrutture subacquee che già oggi sono localizzabili sulla piattaforma continentale e quelle che avranno luogo nella futura ZEE italiana. Attività che in chiave prospettica saranno soggette a una crescita più che significativa, con relative minacce correlate.
In definitiva, il dominio subacqueo dei mari nazionali diverrà sempre più rilevante dal punto di vista strategico, tanto da imporre al Paese una riflessione sull’esigenza di creare un referente unico, che garantisca un’azione più concreta dello Stato sul mare e nel mare e sia in grado di gestirne le molteplici dinamiche.
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