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Il primo oyster bar di Providence: la storia di un pioniere afroamericano

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Il primo oyster bar di Providence: la storia di un pioniere afroamericano – La cultura degli oyster bar affonda le sue radici nella storia della gastronomia, ma pochi conoscono l’incredibile vicenda di Emmanuel “Manno” Bernoon, il primo afroamericano a fondare un oyster bar a Providence – Rhode Island, Stai Uniti – nel XVIII secolo. La sua storia non solo testimonia la passione per il settore ittico, ma rappresenta anche un esempio straordinario di resilienza e intraprendenza in un’epoca di profonde disuguaglianze.

Bernoon, nato da genitori schiavi, riuscì a ottenere la libertà e a intraprendere un’attività di ristorazione in un periodo in cui le opportunità per le persone di colore erano estremamente limitate. Il suo oyster bar divenne presto un punto di riferimento a Providence, non solo per la qualità delle ostriche servite, ma anche per il ruolo sociale che svolgeva all’interno della comunità afroamericana. Il locale non era solo un luogo di ristoro, ma un vero e proprio centro di aggregazione e discussione per la popolazione nera dell’epoca.

Le ostriche hanno rivestito un ruolo storico di primaria importanza in molte culture gastronomiche. Negli Stati Uniti del XVIII e XIX secolo, erano un alimento accessibile, spesso consumato nei porti, nelle taverne e negli oyster bar che accoglievano commercianti e lavoratori. In Europa, invece, la cultura delle ostriche si è sviluppata con un carattere più elitario: in Francia e in Italia, ad esempio, questo mollusco è da sempre associato all’alta gastronomia e al lusso.

L’evoluzione degli oyster bar ha seguito percorsi diversi nelle due sponde dell’Atlantico. Se negli Stati Uniti hanno mantenuto la loro connotazione popolare e radicata nella tradizione culinaria locale, in Europa si sono trasformati in espressione di raffinatezza e ricerca della qualità. Oggi, le ostriche allevate in Francia, Italia e Spagna rappresentano un prodotto d’eccellenza, servito nei migliori ristoranti e in eventi di alta cucina.

La storia di Bernoon offre una prospettiva affascinante su come il settore ittico possa essere non solo un’opportunità economica, ma anche un mezzo per promuovere l’inclusione sociale e valorizzare le tradizioni locali. Il suo oyster bar, nato in un contesto di forti discriminazioni, dimostra come passione e competenza possano superare le barriere imposte dalla società.

Oggi, con il crescente interesse per i frutti di mare di qualità e il ritorno dell’ostricoltura sostenibile, l’esempio di Bernoon potrebbe ispirare nuovi imprenditori del settore ittico a investire in modelli di business innovativi, capaci di coniugare tradizione, sostenibilità e inclusione sociale.

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L’imposta aggiuntiva del Norwegian Norm Price Council mina l’acquacoltura sostenibile

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L’imposta aggiuntiva del Norwegian Norm Price Council mina l’acquacoltura sostenibile. ASC avverte sui rischi – Il settore dell’acquacoltura norvegese si trova di fronte a una nuova sfida: l’introduzione di una tassa aggiuntiva sul salmone certificato ASC da parte del Norwegian Norm Price Council. Una decisione che ha sollevato non poche polemiche, soprattutto tra coloro che vedono nella certificazione ASC un pilastro per un futuro più sostenibile.

Secondo il Norwegian Norm Price Council, gli allevamenti che beneficiano di un valore aggiunto grazie alla certificazione dovrebbero contribuire maggiormente in termini fiscali. Una logica che, almeno in apparenza, mira a riequilibrare il mercato. Tuttavia, per Aquaculture Stewardship Council (ASC), questa tassa non è altro che un ostacolo alla transizione verso un’acquacoltura più responsabile. Gli allevamenti certificati ASC rispettano infatti standard ambientali e sociali più rigidi rispetto alle normative nazionali norvegesi e, per questo, già affrontano costi più elevati. Aggiungere un’ulteriore pressione fiscale rischia di scoraggiare l’adozione di pratiche sostenibili, minando anni di progressi.

Il problema si fa ancora più evidente se si considera che la nuova tassa colpisce esclusivamente i produttori certificati ASC, lasciando indenni quelli che seguono schemi di certificazione meno rigorosi o che operano senza alcuna certificazione. Questo crea un evidente squilibrio competitivo, incentivando gli allevatori a rinunciare agli standard più elevati per evitare il peso dell’imposta.

Le preoccupazioni di ASC non si fermano qui. Il rischio più immediato è un danno reputazionale per il salmone norvegese, che potrebbe perdere appeal nei mercati di esportazione, sempre più esigenti in termini di sostenibilità. Inoltre, gli investimenti in innovazione, fondamentali per ridurre l’impatto ambientale dell’acquacoltura, potrebbero subire un brusco rallentamento. Infine, questa decisione rischia di allontanare l’industria dagli obiettivi globali di sostenibilità, in un momento in cui le certificazioni ambientali rappresentano un valore aggiunto cruciale per la competitività internazionale.

ASC ha già tentato di aprire un dialogo con le autorità norvegesi, inviando una lettera al Ministero delle Finanze per sollevare la questione e richiedere un confronto. Tuttavia, la risposta tarda ad arrivare. Questo silenzio istituzionale alimenta ulteriormente il dibattito: si tratta davvero di una misura equa o piuttosto di una strategia che penalizza ingiustamente chi sceglie di operare in maniera più responsabile?

Il futuro del salmone norvegese sostenibile potrebbe essere a rischio. Se questa politica fiscale non verrà rivista, c’è il pericolo concreto che molti allevatori decidano di abbandonare la certificazione ASC, con ripercussioni non solo ambientali, ma anche economiche. Il mercato globale premia la sostenibilità, e la Norvegia rischia di pagare un prezzo molto più alto di una semplice tassa.

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La Russia abbandona l’ICES: quali conseguenze per la pesca internazionale?​

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La Russia abbandona l’ICES: quali conseguenze per la pesca internazionale?​ – La recente decisione della Russia di ritirarsi permanentemente dall’International Council for the Exploration of the Sea (ICES) rappresenta un punto di svolta significativo nel panorama della pesca internazionale. Questo organismo, fondato nel 1902, ha svolto un ruolo cruciale nella promozione della ricerca scientifica e nella consulenza per la gestione sostenibile delle risorse marine nei mari del Nord Atlantico e del Baltico.​

La sospensione temporanea della partecipazione russa alle attività dell’ICES era stata decisa il 30 marzo 2022, a seguito delle tensioni geopolitiche legate al conflitto in Ucraina. In quell’occasione, l’ICES aveva espresso preoccupazione per l’integrità della collaborazione scientifica internazionale, sottolineando come la guerra stesse minando la partecipazione essenziale di esperti in molte organizzazioni scientifiche multilaterali, inclusa l’ICES stessa. ​

Il 9 dicembre 2024, la Russia ha formalizzato la sua intenzione di abbandonare definitivamente l’ICES, con effetto a partire dal 9 dicembre 2025. Questo ritiro solleva numerosi interrogativi riguardo al futuro della gestione delle risorse marine, poiché la Russia ha storicamente svolto un ruolo significativo all’interno dell’organizzazione.

Nonostante l’uscita dall’ICES, la Russia continuerà a collaborare con la Norvegia attraverso la Commissione mista per la pesca, istituita nel 1976, per gestire le attività nel Mar di Barents. Tuttavia, l’assenza della Russia dall’ICES potrebbe influenzare negativamente la capacità dell’organizzazione di fornire consulenze scientifiche complete e basate su dati provenienti da tutte le nazioni coinvolte.​

La decisione russa potrebbe anche avere ripercussioni sulle politiche di pesca dell’Unione Europea e di altri paesi membri dell’ICES, costringendoli a rivedere le strategie di gestione delle risorse marine per garantire la sostenibilità degli stock ittici. Inoltre, potrebbe emergere la necessità di stabilire nuovi accordi bilaterali o multilaterali per colmare il vuoto lasciato dalla Russia e assicurare una cooperazione efficace nella ricerca e nella gestione delle risorse marine.​

L’uscita della Russia dall’ICES rappresenta una sfida significativa per la comunità internazionale impegnata nella gestione sostenibile degli oceani. Sarà fondamentale monitorare attentamente gli sviluppi futuri e promuovere una collaborazione scientifica inclusiva per affrontare le complesse questioni legate alla pesca e alla conservazione degli ecosistemi marini.

La Russia abbandona l’ICES: quali conseguenze per la pesca internazionale?

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Salmone selvatico o allevato? Il DNA svela la verità sull’etichettatura

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Salmone selvatico o allevato? Il DNA svela la verità sull’etichettatura – La crescente richiesta di prodotti ittici e la complessità della filiera rendono il mercato vulnerabile a errori e frodi legate all’etichettatura. Il salmone, uno dei pesci più consumati al mondo, è spesso al centro di queste pratiche, con casi in cui la provenienza dichiarata non corrisponde alla realtà. Questo fenomeno non solo danneggia la fiducia dei consumatori, ma ha anche implicazioni ambientali ed economiche rilevanti.

Grazie al DNA barcoding, una tecnologia avanzata di analisi genetica, oggi è possibile distinguere con assoluta certezza il salmone selvatico da quello allevato, garantendo ai consumatori la libertà di scegliere in modo informato cosa portare in tavola.

Un problema diffuso: l’etichettatura errata del salmone

Uno studio condotto dall’Università di Seattle ha rivelato che l’errata etichettatura del salmone è particolarmente diffusa nei ristoranti di sushi, dove i consumatori hanno meno strumenti per verificare la veridicità delle informazioni. Analizzando campioni provenienti sia da supermercati che da ristoranti, i ricercatori hanno scoperto che il 23% del salmone analizzato era stato etichettato in modo errato.

Questa situazione solleva interrogativi sulla tracciabilità del prodotto e sulla necessità di sistemi di controllo più rigorosi. La differenza tra un salmone selvatico del Pacifico e un salmone allevato in acquacoltura è sostanziale, sia in termini di caratteristiche nutrizionali che di sostenibilità ambientale. Il consumatore ha il diritto di sapere cosa sta acquistando e quali sono le implicazioni della sua scelta.

DNA barcoding: la rivoluzione nella tracciabilità ittica

Il DNA barcoding rappresenta una delle soluzioni più efficaci per garantire l’autenticità dell’etichettatura del salmone. Questa tecnica consente di identificare con precisione la specie anche dopo la lavorazione del prodotto, evitando che differenze tra allevato e selvatico vengano nascoste o alterate lungo la filiera.

Lo stato di Washington, per esempio, ospita cinque specie autoctone di salmone selvatico del Pacifico: Oncorhynchus tshawytscha, O. keta, O. kisutch, O. nerka e O. gorbuscha. Il salmone atlantico (Salmo salar), invece, è esclusivamente allevato, poiché la sua pesca commerciale è vietata negli Stati Uniti. Distinguere queste specie attraverso l’analisi del DNA consente di verificare la veridicità dell’etichettatura, offrendo ai consumatori una garanzia di trasparenza.

Perché la trasparenza è fondamentale

L’etichettatura errata del salmone non riguarda solo la frode commerciale, ma influisce direttamente sulla capacità del consumatore di effettuare scelte consapevoli. Molti acquirenti preferiscono il salmone selvatico per motivi nutrizionali, ambientali o etici, mentre altri optano per quello allevato per ragioni economiche o di disponibilità. In entrambi i casi, la trasparenza è essenziale per evitare che il consumatore venga ingannato.

L’adozione su larga scala di strumenti come il DNA barcoding potrebbe ridurre drasticamente le frodi, migliorare la sostenibilità del settore e rafforzare la fiducia dei consumatori nei confronti dei prodotti ittici. Solo attraverso una tracciabilità efficace si può garantire un mercato più equo, dove il diritto di scegliere consapevolmente diventi una certezza e non un’illusione.

Il settore ittico ha bisogno di maggiore trasparenza per garantire che il consumatore possa acquistare il prodotto che desidera, senza rischiare di essere ingannato da un’etichettatura fuorviante. L’uso della tecnologia genetica nella certificazione delle specie ittiche potrebbe rappresentare una svolta per il mercato, rendendo più difficile la pratica di sostituzione fraudolenta delle specie.

Scegliere tra salmone selvatico o allevato deve essere una decisione informata, basata su dati certi e verificabili. Grazie al DNA barcoding, questo obiettivo è finalmente alla portata del settore ittico, ponendo le basi per un futuro più trasparente e sostenibile.

Salmone selvatico o allevato? Il DNA svela la verità sull’etichettatura

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Sfide e opportunità nel nuovo Monthly Highlights di EUMOFA

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Sfide e opportunità nel nuovo Monthly Highlights di EUMOFA – L’industria della pesca e dell’acquacoltura nell’Unione Europea sta attraversando una fase di cambiamento profondo. Secondo il report Fishers of the Future presentato dalla Commissione UE e i dati raccolti nel Monthly Highlights 2/2025 di EUMOFA, il settore dovrà adattarsi a scenari che variano in base a due fattori chiave: i cambiamenti climatici e la domanda del mercato. A questi si aggiunge la pressione economica derivante dall’aumento dei costi operativi e dalle nuove regolamentazioni ambientali.

La transizione energetica e l’impatto sui costi operativi

Uno dei temi centrali è la transizione energetica. L’Energy Transition Partnership per la pesca e l’acquacoltura dell’UE ha nominato 10 coordinatori per guidare il processo verso un settore più sostenibile e a basse emissioni di carbonio. Tuttavia, il costo del carburante marino, aumentato del 6,8% a gennaio rispetto al mese precedente, rimane una sfida per molte flotte europee, incluse quelle italiane. Nei porti di Ancona e Livorno, il prezzo medio del diesel marino ha raggiunto i 0,72 €/litro, registrando un incremento dell’11% rispetto a dicembre 2024. Questo impatta direttamente la competitività dei pescatori italiani, che già affrontano una riduzione delle catture.

Italia: vendite in calo, ma con segnali di ripresa

L’analisi delle vendite di primo livello in Italia, come riportato nel Monthly Highlights 2/2025, mostra una contrazione sia in valore (-16%) che in volume (-17%) tra gennaio e novembre 2024 rispetto allo stesso periodo del 2023. I prodotti più colpiti sono stati acciughe, naselli, gamberi rosa e polpo. Tuttavia, il mercato ha dato segnali di ripresa a novembre, con una crescita nelle vendite di sardine e calamari, indicando una possibile inversione di tendenza.

Parallelamente, le importazioni italiane di prodotti ittici extra-UE sono aumentate dell’8% in volume e del 4% in valore nei primi nove mesi del 2024. Ciò suggerisce che la domanda dei consumatori italiani si sta spostando sempre più verso prodotti di importazione, un segnale che il settore locale deve interpretare con attenzione per rimanere competitivo.

Innovazione e sostenibilità: la chiave per il futuro

Se da un lato le restrizioni normative pongono sfide significative, dall’altro offrono opportunità per chi investe in innovazione. Un esempio è il nuovo centro di acquacoltura in Lettonia, che sta diventando un hub di eccellenza per la ricerca e la formazione. L’Italia potrebbe seguire modelli simili, puntando sulla valorizzazione delle proprie specie autoctone e sull’adozione di tecnologie a basso impatto ambientale.

Anche le nuove strategie di pesca sostenibile, come l’introduzione di dispositivi per ridurre le catture accidentali di delfini nella Baia di Biscaglia, potrebbero diventare un modello applicabile alle flotte italiane. Questi strumenti non solo migliorano la sostenibilità, ma offrono ai pescatori nuove possibilità di accedere a fondi europei dedicati alla transizione ecologica.

Il settore ittico europeo, e in particolare quello italiano, si trova a un bivio. Da un lato, l’aumento dei costi e le restrizioni ambientali pongono sfide immediate. Dall’altro, l’innovazione tecnologica, le nuove politiche di sostenibilità e l’adattamento alle dinamiche di mercato offrono opportunità di crescita. L’Italia ha le competenze e le risorse per affrontare questa trasformazione, ma sarà fondamentale un approccio proattivo, che combini tradizione e innovazione per garantire un futuro competitivo al settore.

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