Categoria: Pesce In Rete Pagina 10 di 1035

Krill nei mangimi: la svolta sostenibile per l’acquacoltura

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Nel delicato equilibrio tra nutrizione, sostenibilità e performance produttiva, l’acquacoltura europea guarda con crescente interesse a nuove fonti proteiche per i mangimi. Una revisione scientifica firmata dai ricercatori Kiranpreet Kaur e Silvia Torrecillas, evidenzia come l’inclusione del krill nei mangimi per acquacoltura rappresenti una soluzione promettente, in particolare per le specie non salmonidi come orata, spigola, sarago e tilapia.

In un contesto globale in cui la disponibilità di farina e olio di pesce è minacciata da fattori climatici ed economici — basti pensare al crollo produttivo in Perù legato a El Niño — i prodotti derivati dal krill antartico (Euphausia superba) si distinguono per profilo nutrizionale, appetibilità e sostenibilità. Proteine di alta qualità, fosfolipidi ricchi di EPA e DHA, astaxantina e peptidi bioattivi si combinano in un ingrediente funzionale capace di stimolare la crescita, rafforzare il sistema immunitario e migliorare la qualità del filetto.

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Secondo la revisione, l’integrazione del krill in percentuali comprese tra il 3% e il 9% nelle diete di spigole, orate e passere di mare ha mostrato un significativo miglioramento dell’indice di conversione alimentare (FCR), dell’assunzione di mangime e della digeribilità dei nutrienti. Anche in condizioni ambientali stressanti, come l’affollamento o la riduzione del contenuto di farina di pesce, l’inclusione del krill ha garantito risultati paragonabili — se non superiori — ai mangimi convenzionali.

Un risultato particolarmente rilevante riguarda la qualità del filetto: il mantenimento del contenuto di omega-3 nei tessuti e l’apporto antiossidante dell’astaxantina migliorano il profilo nutrizionale e la conservabilità del prodotto finale.

Dal punto di vista ambientale, la pesca del krill è rigidamente regolamentata dalla Commissione per la conservazione delle risorse marine viventi dell’Antartide (CCAMLR), con limiti precauzionali di cattura e zone interdette. Il 75% del krill pescato nel 2021 è stato certificato secondo lo standard MSC, confermando la coerenza di questo ingrediente con i criteri di sostenibilità riconosciuti a livello internazionale.

Resta, tuttavia, un nodo aperto: il costo. I prodotti a base di krill, pur offrendo eccellenti prestazioni nutrizionali e funzionali, hanno ancora un prezzo più elevato rispetto a farine vegetali o sottoprodotti ittici. Per questo, Kaur e Torrecillas sottolineano l’urgenza di ulteriori studi economici: solo una valutazione costi-benefici completa potrà orientare con precisione le scelte dei formulisti, specie per produzioni destinate a mercati di alta gamma o a etichette a valore aggiunto.

Nel quadro di una transizione sempre più strategica verso formulazioni circolari, tracciabili ed efficaci, il krill si candida a diventare un alleato credibile per la filiera dell’acquacoltura mediterranea. Le sue caratteristiche lo rendono adatto a un uso combinato con altre proteine emergenti e, se dosato correttamente, può contribuire a rafforzare la redditività e la qualità dei prodotti senza compromettere la sostenibilità. Una prospettiva concreta per chi formula, produce e commercializza nell’ittico del futuro.

Chi si occupa di nutrizione, produzione o trasformazione ittica dovrebbe iniziare a valutare con maggiore attenzione il potenziale del krill. In un’epoca in cui ogni scelta nella catena alimentare fa la differenza, anche il dettaglio può diventare strategico.

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Scognamiglio: bene La Pietra, serve nuova strategia pesca UE

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“Condividiamo la posizione espressa dal sottosegretario Patrizio La Pietra alla Terza Conferenza delle Nazioni Unite sugli Oceani, a Nizza, in merito alla necessità di un cambio di indirizzo dell’Unione europea sul depauperamento degli stock ittici e della biodiversità marina, la cui responsabilità viene interamente scaricata sul settore della pesca e su chi vi lavora, mentre occorrerebbe una strategia a trecentosessanta gradi”.

Ad affermarlo è Gennaro Scognamiglio, presidente nazionale di Unci AgroAlimentare.

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“La progressiva riduzione – ha proseguito il numero uno dell’associazione del mondo cooperativistico – dei giorni di pesca delle marinerie italiane, decisa a Bruxelles, non ha prodotto i risultati sperati, ma ha creato non poche difficoltà ai pescatori. Vanno pertanto affrontati nelle sedi istituzionali i nodi centrali del problema dell’inquinamento delle acque: dagli scarichi industriali e civili abusivi, alla presenza di rifiuti provenienti da terra, a cominciare dai materiali plastici che hanno effetti devastanti sulla flora e sulla fauna marina, all’intenso traffico marittimo, per i quali occorrono interventi mirati, dei quali debbano farsi carico tutte le filiere produttive e l’intera società.
Senza contare criticità come l’innalzamento del livello delle acque, l’aumento delle temperature causato dai cambiamenti climatici, la presenza di specie aliene invasive, il basso livello di ossigenazione delle acque, in alcune aree e in specifici periodi dell’anno.

Occorre pertanto, come ha sostenuto La Pietra, stabilire un’equa ripartizione delle aree ristrette alla pesca tra tutti i Paesi Ue interessati, che non riguardi, come succede adesso, solo aree limitrofe al territorio degli Stati membri. Contemporaneamente serve un maggiore impegno sul fronte del contrasto alla pesca illegale, facendo rispettare le regole in vigore, più che rendendo più burocratico il quadro normativo, anche con il coinvolgimento degli altri Paesi del Mediterraneo, definendo standard condivisi. Particolare attenzione e tutela richiede anche l’acquacoltura, che attraversa una fase delicata, per vari motivi”.

“È questa – ha concluso Scognamiglio – la direzione da seguire per salvaguardare l’ambiente marino, promuovendo una pesca realmente sostenibile, anche sotto il profilo socio-economico, considerandola una risorsa per le zone costiere e non un fattore di squilibrio, abbandonando con indifferenza al proprio destino le imprese e i lavoratori costantemente penalizzati”.

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Il futuro del pesce si gioca anche sugli over 50: la lezione dalla Cina

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La trasformazione demografica della Cina sta riscrivendo le regole del consumo alimentare, e il pesce non fa eccezione. Secondo i dati di Alibaba Group, la crescita più marcata nelle vendite online di prodotti ittici proviene oggi da una fascia spesso trascurata: quella degli over 50. Una tendenza che apre prospettive interessanti anche per l’Europa e per il comparto ittico italiano, che fatica ancora a intercettare in modo strutturato il potenziale dei consumatori senior.

Nel colosso asiatico, le generazioni più mature stanno progressivamente assumendo un ruolo guida nei consumi ittici, spinti da maggiore attenzione alla salute, preferenza per la freschezza e capacità economica consolidata. Il boom riguarda l’online, ma il fenomeno si riflette sull’intera catena: dai produttori agli operatori logistici, fino alla GDO. Solo su Taobao e Tmall, le due piattaforme di punta di Alibaba, si stimano 380 milioni di acquirenti di pesce nel 2024, con oltre 190.000 nuovi venditori ittici in arrivo.

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I senior comprano più pesce… e lo fanno online

Il dato più sorprendente è che la percentuale di consumatori di età pari o superiore ai 50 anni ha superato quella degli under 29. Non si tratta solo di una questione di numeri, ma di scelte precise: mentre i più giovani premiano packaging e storytelling di brand, gli over 50 cercano qualità organolettica, sicurezza nutrizionale e semplicità. Gamberi surgelati, cetrioli di mare e granchi pelosi sono i protagonisti della spesa digitale, in un paniere che si è adattato rapidamente a gusti, esigenze e abitudini della popolazione urbana più adulta.

Questo trend è destinato ad accentuarsi. Secondo Rabobank, entro il 2050 la Cina avrà oltre 500 milioni di cittadini sopra i 60 anni. Una fascia sociale urbana, ben informata e sempre più orientata al benessere alimentare, con il pesce in prima fila come fonte proteica “buona”, adatta a regimi ipocalorici o anti-colesterolo. È il caso di chiedersi: cosa può imparare la filiera ittica italiana?

La sfida italiana: intercettare il valore degli over 50

Nel nostro Paese, la quota di popolazione over 50 è già superiore al 45% e crescerà ancora nei prossimi decenni (Eurostat). Eppure, la gran parte delle strategie di marketing e distribuzione nel settore ittico continua a focalizzarsi su giovani famiglie e ristorazione veloce. Il dato cinese suggerisce invece una direzione opposta e complementare: personalizzare l’offerta per i senior non è solo una questione sociale, ma anche di business.

Sul fronte della trasformazione, ciò implica rivedere i formati (porzioni singole, packaging facili da aprire), valorizzare i claim nutrizionali (omega-3, basso contenuto di grassi, senza lische) e puntare su prodotti ready-to-cook di alta qualità. Per la logistica e la distribuzione, si aprono spazi per l’home delivery evoluto e per il potenziamento del canale e-commerce, ancora poco presidiato dagli operatori italiani rispetto ad altri settori alimentari.

Importazioni e opportunità: il ruolo della domanda cinese

C’è poi un’altra variabile da non sottovalutare. La Cina, pur essendo uno dei maggiori produttori mondiali di pesce, sta rallentando la propria produzione interna: si stima che il tasso di crescita passerà dal 3,3% a circa l’1%. Il fabbisogno crescente – soprattutto di prodotti premium – spingerà sempre di più verso le importazioni.

Per l’Italia, questo può rappresentare un terreno fertile. Le produzioni ittiche mediterranee, valorizzate sotto il profilo salutistico e ambientale, potrebbero trovare spazio nei segmenti più esigenti del mercato asiatico. A patto, però, di essere presenti con strutture distributive adeguate, narrazioni mirate e partnership tecnologiche capaci di reggere il ritmo competitivo del mercato cinese.

La crescita della domanda di pesce tra gli over 50 in Cina rappresenta un cambio di paradigma che la filiera ittica italiana non può permettersi di ignorare. Sviluppare prodotti, logistica e strategie di marketing orientati a questa fascia di consumatori può tradursi in vantaggi competitivi sia a livello domestico che internazionale. Guardare ai dati cinesi oggi significa prepararsi al mercato di domani.

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Alghe, una filiera che cresce: dall’innovazione alimentare al ripristino degli ecosistemi

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Non è più solo una materia prima per integratori o cosmetici: oggi le alghe entrano di diritto tra le risorse strategiche per l’industria ittica europea. Il potenziale delle alghe nella filiera ittica europea non è una semplice promessa green, ma una traiettoria concreta, già sostenuta da oltre mezzo miliardo di euro in fondi UE tra il 2014 e il 2023.

Una crescita costante, spinta da innovazione e sperimentazione, che oggi porta le alghe al centro di progetti di trasformazione alimentare, recupero ambientale e bioeconomia circolare. Dalla Germania alla Sicilia, sono 1.470 le organizzazioni coinvolte in 219 iniziative, molte delle quali con impatti diretti anche sulla pesca, sull’acquacoltura e sulla trasformazione ittica.

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Un nuovo ecosistema di opportunità per la filiera

Il comparto ittico può trarre vantaggi tangibili dalla filiera delle alghe, in termini sia produttivi che ambientali. Le applicazioni si moltiplicano: prodotti alternativi al pesce a base algale, packaging compostabili, mangimi più sostenibili per allevamenti, ma anche soluzioni di ripristino per le praterie marine minacciate dalla crisi climatica.

Progetti come Seafood Algternative — che crea surrogati vegetali del pesce con spirulina e altre microalghe — o REEForest LIFE, dedicato al recupero delle foreste di macroalghe nel Mediterraneo, mostrano come questo segmento si stia integrando con logiche industriali e ambientali ormai imprescindibili.

Ciò significa poter diversificare l’offerta con referenze ad alto valore aggiunto, pronte a intercettare la domanda crescente di proteine alternative e di sostenibilità reale, non solo dichiarata.

La spinta europea: fondi, ma anche visione

Il recente factsheet pubblicato da CINEA (Agenzia esecutiva europea per il clima, le infrastrutture e l’ambiente) non si limita a raccontare quanto è stato finanziato, ma indica chiaramente dove investire nei prossimi anni.

Le priorità: sviluppare tecnologie biotech applicate alla coltivazione, abbattere i costi di R&D, aumentare la sinergia tra settori e soprattutto costruire una maggiore consapevolezza nei consumatori.

Per le imprese della filiera ittica significa che sarà sempre più strategico guardare alle alghe come asset complementare, non marginale. Chi produce, trasforma o distribuisce pesce oggi ha la possibilità di partecipare attivamente alla transizione algale, non solo come fornitore o acquirente, ma anche come partner di progetti di innovazione.

Le alghe rappresentano dunque una frontiera reale per il settore ittico: sostenibile, tecnologica, trasversale. La loro integrazione nella filiera non è un’opzione futuribile, ma una leva strategica già attiva, che può generare valore lungo tutta la catena: ambientale, economico, alimentare.

Chi saprà posizionarsi ora — investendo in R&D, diversificando le referenze, creando sinergie — sarà protagonista di una trasformazione che riguarda tutto il sistema marino europeo.

Per le aziende del settore ittico è il momento di guardare alle alghe non come tendenza, ma come infrastruttura del futuro.

 

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Europêche all’UNOC3, l’Europa guida il futuro blu

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Europêche, il principale organismo rappresentativo del settore pesca europeo, accoglie con grande favore la recente adozione della Dichiarazione politica della Conferenza delle Nazioni Unite sugli Oceani (UNOC3), ritenendola un significativo passo avanti per la governance multilaterale degli oceani e per la gestione basata sulla scienza della pesca.

La Dichiarazione UNOC3 affronta in particolare il miglioramento della pianificazione dello spazio marino e l’intensificazione della lotta globale contro la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (INN), temi centrali per assicurare la sostenibilità futura degli ecosistemi marini.

La pesca sostenibile, inoltre, non è solo essenziale per la salute degli oceani ma anche nella lotta globale contro povertà, fame e malnutrizione. Secondo dati FAO, oltre 800 milioni di persone nel mondo dipendono direttamente dai sistemi alimentari blu, rendendo chiaro il ruolo strategico che questo settore ricopre a livello globale.

In Europa, questo impegno è rafforzato dal recente lancio del Patto UE per gli Oceani, che riconosce la pesca come pilastro fondamentale dell’economia, dei sistemi alimentari e del patrimonio marittimo europeo. Nel corso della conferenza, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha ricordato l’importanza di sostenere i pescatori europei, denunciando i danni economici derivanti dalla concorrenza sleale, che minacciano il futuro stesso del settore.

Europêche si pone come portavoce della necessità di azioni più incisive a livello politico, sia europeo che internazionale, per garantire una sostenibilità economica e ambientale durevole. Un messaggio supportato anche dalla FAO, che durante l’UNOC3 ha presentato dati incoraggianti nella sua revisione 2025 sullo stato delle risorse ittiche globali: nell’Atlantico nord-orientale, infatti, il 75,8% degli stock ittici risulta biologicamente sostenibile, percentuale che sale all’86,6% se valutata per volume di catture. Per il tonno, il risultato è ancora più notevole: il 99,3% degli sbarchi globali proviene da stock gestiti in modo sostenibile.

In qualità di partner strategico, Europêche ha co-organizzato eventi con importanti realtà internazionali come Better Food Future, Satlink ed EBCD, evidenziando come tecnologie innovative e tracciabilità digitale possano supportare ecosistemi marini resilienti, contribuendo agli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’ONU (SDG14).

Infine, insieme ai principali rappresentanti europei della pesca e dell’acquacoltura come FEAP, EAPO, EBFA e AIPCE-CEP, Europêche ha proposto un Piano d’azione europeo specifico per gli alimenti blu. Un progetto strategico volto ad aumentare offerta e consumo di prodotti ittici sostenibili, rispondendo così alla crescente domanda alimentare globale e rilanciando il mercato ittico europeo.

In sintesi, Europêche conferma il suo ruolo centrale nel promuovere una pesca sostenibile, dialogando con istituzioni europee e internazionali per assicurare un futuro sostenibile e competitivo al settore ittico.

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