Categoria: Pesce In Rete Pagina 10 di 1158

Mediterraneo sotto esame: arriva il report SoMFi 2025

Mediterraneo sotto esame: arriva il report SoMFi 2025

 [[{“value”:”

Il Mediterraneo si prepara a uno dei momenti più significativi dell’anno per la governance della pesca e dell’acquacoltura. Giovedì 28 novembre, a Roma, la Commissione Generale per la Pesca nel Mediterraneo (CGPM / GFCM) aprirà la sua riunione annuale con la presentazione dello  State of Mediterranean and Black Sea Fisheries 2025 (SoMFi 2025), il report con cui la FAO fotografa lo stato reale delle risorse marine nella regione.

In un contesto caratterizzato da una domanda alimentare in crescita e da ecosistemi costieri sotto pressione, l’appuntamento si preannuncia decisivo. Non è solo un aggiornamento scientifico: è un passaggio che inciderà sulle politiche regionali, sul futuro delle flotte, sugli investimenti delle imprese e sul ruolo crescente dell’acquacoltura nella sicurezza alimentare mediterranea.

Un report atteso da tutta la filiera

Il SoMFi è diventato negli anni uno strumento imprescindibile per gli operatori. Dalla piccola pesca ai grandi gruppi dell’acquacoltura, fino alle industrie della trasformazione, il settore guarda a questo documento come alla bussola che orienta scelte, strategie e prospettive di medio periodo.

L’edizione 2025 — che la FAO definisce la più estesa e strutturata mai realizzata — è frutto di un lavoro che ha coinvolto oltre 700 esperti dei paesi membri. Una collaborazione senza precedenti che dà al rapporto un peso particolare, sia sul piano scientifico che su quello politico.

Secondo le anticipazioni diffuse dalla GFCM, il nuovo SoMFi porterà dati aggiornati sulla condizione degli stock, sullo stato degli habitat e sulle performance dell’acquacoltura mediterranea. Un capitolo sarà dedicato anche alla sicurezza degli alimenti di origine marina, tema sempre più centrale in un mercato che richiede tracciabilità e controlli elevati lungo tutta la catena del valore.

L’apertura dei lavori

La riunione sarà inaugurata da Manuel Barange, vicedirettore generale della FAO e capo della Divisione Pesca e Acquacoltura, insieme a Elif Comoglu Ulgen, rappresentante permanente della Turchia presso la FAO.

A presentare ufficialmente il rapporto sarà Miguel Bernal, segretario esecutivo della CGPM, che illustrerà le principali evidenze scientifiche e le raccomandazioni formulate per il 2025.

Gli interventi saranno focalizzati su tre assi strategici:

  • rafforzare la gestione sostenibile delle risorse;
  • garantire mari più sicuri dal punto di vista alimentare;
  • aumentare la resilienza economica della filiera mediterranea.

Perché il 2025 è un anno delicato

I segnali di miglioramento registrati nelle ultime edizioni del SoMFi — grazie all’adozione di piani pluriennali, incrementi nei controlli e nuove aree di gestione — saranno ora letti alla luce di un Mediterraneo che continua a essere uno degli hotspot globali del cambiamento climatico.

L’aspettativa è che il rapporto fornisca non solo dati aggiornati, ma anche indicazioni operative più specifiche per le flotte e per l’acquacoltura, in un momento in cui il settore è chiamato a trovare un equilibrio tra competitività e obblighi ambientali.

Per gli operatori, ciò significa riconsiderare investimenti, tecnologie, modelli di gestione degli impianti e capacità di adattamento. Per i governi, comporta scelte più rapide e coordinate.

Un Mediterraneo che chiede cooperazione

La GFCM ricopre un ruolo sempre più centrale nella governance del mare. Con 24 membri e un mandato regionale unico nel suo genere, l’organizzazione ha costruito negli anni un sistema di gestione condiviso che oggi permette di monitorare gli stock con maggiore precisione e di intervenire nelle aree più critiche.

Il SoMFi 2025 misurerà anche questo: il grado di coesione tra i paesi e l’efficacia delle misure adottate. Un test importante per un mare che può mantenere la propria capacità produttiva solo se la cooperazione resta reale e continua.

Uno sguardo oltre il 28 novembre

La riunione di Roma non sarà un semplice momento di presentazione. Per molte imprese della filiera — dai produttori ai trasformatori, dai commercianti ai distributori — si tratterà di un appuntamento che anticipa gli orientamenti regolatori e le priorità operative del prossimo anno.

Il comparto, che negli ultimi anni ha mostrato una capacità crescente di adattamento, attende ora un quadro chiaro che consenta di programmare con maggiore sicurezza.

Il SoMFi 2025 non offrirà soluzioni immediate a tutte le sfide, ma metterà a disposizione ciò che oggi serve di più: dati affidabili, scenari realistici e un orizzonte comune.

Per chi vive di mare, e per chi investe nell’economia blu, questa è già una promessa concreta.

L’articolo Mediterraneo sotto esame: arriva il report SoMFi 2025 proviene da Pesceinrete.

“}]] ​ 

CITES, la filiera ittica avverte: “Rischiamo il caos globale”

CITES, la filiera ittica avverte: “Rischiamo il caos globale”

 [[{“value”:”

La 20ª Conferenza delle Parti della CITES è entrata oggi nella fase più delicata. Le delegazioni riunite a Ginevra – dove i lavori proseguiranno fino al 5 dicembre – stanno passando al vaglio oltre cento proposte che potrebbero ridefinire il perimetro del commercio internazionale delle specie acquatiche. È un passaggio cruciale, perché arriva in un momento in cui il settore ittico globale sta già affrontando un anno complesso tra aggiustamenti climatici, tensioni sui costi operativi e nuove richieste normative. In questo clima di incertezza, la voce dell’International Coalition of Fisheries Associations (ICFA) è diventata una delle più ascoltate nelle ultime ore.

L’organizzazione, che rappresenta le principali associazioni di pescatori di diversi continenti, ha chiesto ai Paesi membri di valutare con estrema cautela alcune delle misure sul tavolo, in particolare quelle riguardanti anguille, cetrioli di mare e squali del genere Mustelus. In un comunicato diffuso recentemente, l’ICFA ha parlato di “proposte con potenziali effetti collaterali profondi, capaci di interferire con attività di pesca ben gestite e con catene del valore già stabilizzate”.

Il nodo centrale resta l’utilizzo crescente del criterio di “somiglianza”, che consente alla CITES di includere in Appendice II specie non minacciate solo perché visivamente simili ad altre a rischio. Una logica precauzionale che, secondo l’ICFA, finisce per diventare arbitraria: accanto a casi giustificati ce ne sarebbero altri, in aumento, che producono distorsioni di mercato e complicano inutilmente il lavoro di autorità, operatori e comunità costiere.

Il capitolo anguille è forse il più discusso di questa CoP20. Il tentativo di includere 17 nuove specie nell’Appendice II viene sostenuto da gruppi che vogliono contrastare il contrabbando dell’anguilla europea, un fenomeno che nel 2025 è tornato a emergere con forza in diversi porti europei e asiatici. Ma l’ICFA ribadisce che Anguilla japonica e Anguilla rostrata mostrano popolazioni robuste, gestite tramite programmi di monitoraggio che negli ultimi anni hanno fatto registrare una buona resilienza biologica. Inserire queste specie in una lista restrittiva – ricordano i pescatori nordamericani – significherebbe penalizzare un comparto che nel 2024 ha generato nel solo Maine quasi 20 milioni di dollari e che nel 2025 si è mantenuto su livelli simili, confermando la sua centralità nella piccola pesca costiera.

Le preoccupazioni non riguardano solo l’impatto economico, ma anche la logica della governance internazionale: la Coalizione contesta il rischio che il peso delle inefficienze europee nella lotta al traffico illecito venga scaricato su regioni del mondo che gestiscono correttamente le loro popolazioni di anguilla. È una critica che circola molto anche nei corridoi della delegazione Asia-Pacifico, dove diversi Paesi temono che un elenco generalizzato possa soffocare la crescita di piccole imprese familiari.

Scenario simile per i cetrioli di mare. Le discussioni degli ultimi due giorni hanno evidenziato come la proposta di includere alcune specie del genere Actinopyga non si basi su una convergenza scientifica solida. Il gruppo esperti della FAO, nel parere tecnico aggiornato al 2025, ha ribadito che le popolazioni di Actinopyga spp. non soddisfano i criteri dell’Appendice II. Le aree rurali del Sud-est asiatico osservano questi sviluppi con apprensione: per molte comunità, questa risorsa rappresenta l’unica entrata regolare dell’anno. Le delegazioni dei piccoli Stati insulari hanno ricordato che qualunque nuova procedura CITES richiederebbe infrastrutture amministrative che non possono permettersi, con il rischio di alimentare – invece di ridurre – la pesca illegale.

La discussione sugli squali Mustelus è altrettanto tesa. Le ONG ambientaliste sostengono che l’inserimento in lista estenderebbe finalmente un controllo uniforme sul commercio globale di pinne e carni di squalo, garantendo una piattaforma internazionale coerente. Ma per l’ICFA, una misura indistinta ignora differenze biologiche enormi tra Atlantico, Mediterraneo e Oceano Indiano. L’esempio più citato è quello del Mustelus asterias, ritenuto abbondante secondo il parere ICES 2025, in netto contrasto con altre specie dello stesso genere, rare o scarsamente presenti nelle catture europee. Anche in questo caso, il criterio della “somiglianza” rischia di schiacciare la complessità biologica dietro un’unica etichetta legislativa.

Dietro i toni tecnici si intravede una controversia politica più ampia. L’ICFA ricorda il memorandum siglato nel 2006 tra CITES e FAO, in cui la Convenzione riconosceva all’agenzia ONU la leadership scientifica sulle decisioni riguardanti risorse acquatiche. Oggi, secondo il presidente Ivan Lopez Van der Veen, quel principio sta perdendo centralità. In un dibattito seguito da tutta la filiera ittica internazionale, Van der Veen ha dichiarato che “le Parti devono riaffermare la necessità di decisioni fondate su basi scientifiche solide, soprattutto quando queste decisioni incidono sulle economie costiere e sulla credibilità della governance internazionale”.

Con le giornate decisive della CoP20 ormai avviate, si fa sempre più evidente che le decisioni prese entro il 5 dicembre non rimarranno confinate nei registri della CITES. Incideranno sull’equilibrio tra conservazione e attività produttive, sulla stabilità dei mercati e sulla capacità delle comunità costiere di continuare a stare a galla in un anno che, per molte di loro, è già stato tra i più impegnativi dell’ultimo decennio. Per l’intera filiera ittica globale, l’esito di questa conferenza non sarà un semplice aggiornamento normativo, ma una fotografia del modo in cui il mondo immagina la pesca sostenibile del futuro.

L’articolo CITES, la filiera ittica avverte: “Rischiamo il caos globale” proviene da Pesceinrete.

“}]] ​ 

Baccalà e stoccafisso: due vie della stessa sostenibilità. La visione di Unifrigo Gadus

Baccalà e stoccafisso: due vie della stessa sostenibilità. La visione di Unifrigo Gadus

 [[{“value”:”

C’è un legame profondo tra il Nord e il Sud dell’Europa che passa attraverso un pesce antico come il mondo: il merluzzo.
Dalle coste norvegesi alle tavole italiane, il baccalà e lo stoccafisso raccontano una storia di equilibrio tra natura, cultura e responsabilità.
Ne parliamo con Andrea Eminente, amministratore delegato di Unifrigo Gadus, azienda che da oltre trent’anni valorizza la qualità e la sostenibilità dei prodotti ittici nel pieno rispetto del mare e delle persone.

Molti definiscono il merluzzo un pesce “sostenibile per natura”. Quanto è vera questa affermazione?


Verissima.
Il merluzzo nordico non solo vive in acque fredde, in ecosistemi ben monitorati, ma soprattutto fa parte di un sistema di gestione sostenibile.
In primo luogo, viene pescato all’amo e questo già rende l’impatto della sua pesca fortemente ridimensionato e compatibile con gli ecosistemi. In più, ogni anno l’Unione europea stabilisce le Total Allowable Catches, i limiti di cattura per ogni area di pesca, basandosi sui dati dell’ICES – International Council for the Exploration of the Sea.
Queste regole, da una parte di pesca e dall’altra normative, impediscono il sovrasfruttamento e garantiscono il naturale ricambio della specie.

Quindi sì, il merluzzo nordico e i suoi prodotti derivati baccalà e stoccafisso sono intrinsecamente sostenibili.

Noi, in Unifrigo Gadus, non peschiamo ma importiamo, trasformiamo e commercializziamo i prodotti ittici. Amiamo definirci una scatola trasparente perché lavoriamo con i produttori per pescare e pensare al prodotto più appetibile per il consumatore e, dall’altra, raccogliamo le esigenze degli altri operatori della filiera (GDO, per esempio, o horeca) per lavorare il prodotto in modo compatibile sia con la tutela della specie che con le esigenze di chi lavora nella filiera.

Per noi, in quanto importatori e scatola trasparente della filiera, la sostenibilità sta anche in questo, nella scelta consapevole dei partner con cui lavorare e nel fornire un servizio a tutti gli operatori della filiera per migliorare il nostro lavoro, senza limitarci al singolo prodotto da commercializzare.

Baccalà e stoccafisso nascono dallo stesso pesce, ma raccontano storie diverse. Cosa li unisce nella visione di Unifrigo Gadus?


Li unisce la sostenibilità e il rispetto dei cicli naturali.
Il baccalà è merluzzo conservato sotto sale: una tecnica antichissima che preserva e valorizza la materia prima.
Lo stoccafisso, invece, è il pesce essiccato naturalmente all’aria e al vento: un processo che non richiede energia né additivi, solo tempo, luce e freddo.
Sono due vie della stessa filosofia: trasformare senza alterare, conservare senza consumare.

L’Italia è il primo mercato mondiale di stoccafisso norvegese, e questo ci lega profondamente alle comunità di pescatori del Nord Europa, che vivono di questa risorsa da generazioni.
Sostenere questa filiera significa sostenere il lavoro, la cultura e la dignità di chi vive il mare in modo rispettoso.
Il baccalà e lo stoccafisso non sono solo prodotti: sono la prova che la sostenibilità può essere buona, concreta e quotidiana. E soprattutto non è solo branding ma ha davvero un impatto positivo concreto per tutti.

Come si traduce questa visione nel vostro lavoro quotidiano?

Per noi la sostenibilità è una catena di scelte. Collaboriamo solo con partner affidabili, garantiamo la tracciabilità del pescato rendendo trasparente anche la catena di controllo, a favore di operatori della filiera e consumatori. Ancora, utilizziamo materiali di confezionamento riciclabili e sostenibili. In generale, però, vogliamo fare in modo che la scelta del prodotto ittico da acquistare non dipenda solo dal prezzo – un fatto imprescindibile sul mercato di oggi – ma anche dal valore dell’acquisto. E valorizzare davvero il prodotto significa anche raccontarlo al pubblico con serietà e creatività.

La nostra comunicazione digitale e offline sui pack dei prodotti è essenziale per questo: attraverso i servizi digital raccontiamo storie; con i prodotti rendiamo un servizio a 360° sul prodotto, dal racconto della provenienza fino al consiglio di utilizzo. Sono piccole cose che però rendono la filiera meno respingente per chi la avvicina e i consumatori più disposti a provare prodotti fino a ora poco “mainstream”.
E poi mi fa sempre piacere ricordare Progetto 25, la nostra partnership triennale con l’Università Parthenope di Napoli, grazie alla quale abbiamo analizzato tutta l’azienda per comprendere il nostro impatto sul mondo e gestirlo per ridimensionarlo, di anno in anno.

Quanto conta oggi comunicare la sostenibilità di baccalà e stoccafisso?

Conta moltissimo. Chi sceglie baccalà o stoccafisso sceglie due prodotti che hanno resistito al tempo perché basati sul rispetto: del mare, delle persone e delle economie (anche di microlocalità, ma sempre più che degne di tutela e rispetto) che si basano su di essi.
Raccontare questa storia significa valorizzare un’economia fatta di competenza e di passione.
Il nostro obiettivo è far capire che la tradizione non è un ostacolo al futuro, ma la sua radice più sana.

L’articolo Baccalà e stoccafisso: due vie della stessa sostenibilità. La visione di Unifrigo Gadus proviene da Pesceinrete.

“}]] ​ 

Mediterraneo in evoluzione: il tonno cambia le sue prede

Mediterraneo in evoluzione: il tonno cambia le sue prede

 [[{“value”:”

La dieta del tonno rosso giovane nel Mediterraneo è cambiata profondamente negli ultimi trent’anni, rivelando la straordinaria capacità di adattamento di uno dei predatori più emblematici del nostro mare. Lo conferma uno studio appena pubblicato su Estuarine, Coastal and Shelf Science, firmato dai ricercatori dell’Istituto di Scienze Marine (ICM-CSIC) e dell’Istituto Spagnolo di Oceanografia (IEO-CSIC), che fornisce una lettura chiave per comprendere come gli equilibri trofici del Mediterraneo occidentale stiano mutando in risposta alle pressioni antropiche e ai cambiamenti climatici.

Il lavoro analizza tre periodi distinti – 1989, 2012-2014 e 2018-2019 – attraverso un approccio integrato che combina l’esame del contenuto stomacale con l’analisi degli isotopi stabili. È una metodologia che permette di “ricostruire” la dieta dei giovani tonni nel tempo con un grado di dettaglio raro, restituendo un quadro dinamico dell’evoluzione dell’ecosistema del Golfo di Valencia.

La prima evidenza, netta, riguarda la composizione delle prede. Con la diminuzione di sardine e acciughe, pesci storicamente centrali nella dieta del tonno rosso, lo spazio trofico è stato colmato da un consumo crescente di sugarello (Trachurus spp.). Un cambiamento che non nasce da una preferenza, ma da una risposta funzionale a un ambiente che fornisce disponibilità diverse rispetto al passato.

Secondo Joan Giménez, ricercatore del Centro Oceanografico di Malaga dell’IEO-CSIC e autore principale dello studio, questa evoluzione conferma la natura opportunista del tonno rosso: un predatore “plastico”, rapido nell’adeguare il proprio comportamento alimentare per garantire la sopravvivenza anche in scenari di forte pressione ambientale. È una caratteristica che permette alla specie di mantenere il proprio ruolo di vertice nella rete trofica mediterranea, nonostante la crescente alterazione degli habitat.

L’altra conclusione di rilievo riguarda le preoccupazioni ricorrenti nel settore della pesca, spesso convinto che l’aumento delle popolazioni di tonno rosso (Thunnus thynnus) possa incidere negativamente sulle già fragili risorse di sardine e acciughe. Le analisi mostrano invece che, almeno per quanto riguarda gli esemplari giovani, il loro impatto è minimo. La quota di queste specie nella dieta attuale è infatti “molto bassa”, come sottolinea Marta Coll, ricercatrice dell’ICM-CSIC e coautrice dello studio. Non c’è quindi evidenza che il recupero del tonno rosso – un risultato importante ottenuto grazie alle misure di gestione internazionali – stia ulteriormente aggravando la situazione dei piccoli pelagici.

Il declino di sardina e acciuga nel Mediterraneo occidentale, suggerisce il team di ricerca, ha radici più profonde e complesse: lo sfruttamento eccessivo, l’innalzamento delle temperature e le variazioni nella struttura del plancton sembrano avere un peso ben più rilevante rispetto alla predazione da parte del tonno.

Lo studio, parte dei progetti SEINE-ETP e PELWEB finanziati dall’Ocean Stewardship Fund e dal Ministero spagnolo della Scienza, si distingue per l’ampiezza del network scientifico coinvolto: dall’ICM-CSIC all’IEO-CSIC, fino all’Università di Cadice e al Campus di Eccellenza Internazionale del Mare (CEI·MAR). Il campionamento dei tonni è stato reso possibile grazie al programma di monitoraggio del Gruppo Tonni del Centro Oceanografico di Malaga.

Per il settore ittico mediterraneo, questi risultati offrono una lettura più matura e meno reattiva: il tonno rosso non è un antagonista della piccola pesca né il “responsabile” del declino delle specie pelagiche. Piuttosto, è un indicatore biologico della trasformazione del mare e della sua capacità – o mancanza di capacità – di mantenere in equilibrio le proprie comunità. Comprenderne il comportamento alimentare significa quindi comprendere meglio il Mediterraneo stesso e i percorsi futuri della gestione delle sue risorse.

L’articolo Mediterraneo in evoluzione: il tonno cambia le sue prede proviene da Pesceinrete.

“}]] ​ 

Young Bluefin Tuna Diet Is Shifting in the Mediterranean, Revealing Key Ecosystem Changes

 [[{“value”:”

The diet of young Atlantic bluefin tuna in the Mediterranean has changed profoundly over the past thirty years, revealing the remarkable adaptability of one of the most iconic predators in our sea. This is confirmed by a new study published in Estuarine, Coastal and Shelf Science and led by researchers from the Institute of Marine Sciences (ICM-CSIC) and the Spanish Institute of Oceanography (IEO-CSIC). The work offers a crucial perspective on how the trophic balance of the western Mediterranean is shifting in response to human pressures and climate change.

The study analyzes three distinct periods — 1989, 2012–2014, and 2018–2019 — using an integrated approach that combines stomach content examination with stable isotope analysis. This methodology allows researchers to “reconstruct” the diet of juvenile tuna over time with unusual precision, providing a dynamic picture of ecosystem evolution in the Gulf of Valencia.

The first clear finding concerns prey composition. As sardine and anchovy populations have declined — species historically central to the bluefin tuna diet — the trophic gap has been filled by a growing consumption of horse mackerel (Trachurus spp.). This shift reflects not a preference but a functional response to an environment that now offers different prey availability compared to the past.

According to Joan Giménez, researcher at the Malaga Oceanographic Centre (IEO-CSIC) and lead author of the study, this evolution confirms the opportunistic nature of Atlantic bluefin tuna: a “plastic” predator, quick to adjust its feeding behavior to ensure survival even under strong environmental pressures. This trait allows the species to maintain its top-predator role in the Mediterranean food web despite increasing habitat alteration.

Another key conclusion challenges a recurring concern within the fishing sector — the belief that growing bluefin tuna populations (Thunnus thynnus) may worsen the already fragile state of sardine and anchovy stocks. Instead, the analyses show that the impact of juvenile tuna on these species is minimal. Their presence in the current diet is “very low,” notes Marta Coll, researcher at ICM-CSIC and co-author of the study. There is no evidence that the recovery of bluefin tuna — a major achievement of international management efforts — is further deteriorating the condition of small pelagic species.

The decline of sardine and anchovy in the western Mediterranean, the research team suggests, is rooted in deeper and more complex drivers: overexploitation, rising temperatures, and changes in plankton structure seem to carry far more weight than bluefin tuna predation.

The study, part of the SEINE-ETP and PELWEB projects funded by the Ocean Stewardship Fund and the Spanish Ministry of Science, stands out for the breadth of scientific collaboration involved, including ICM-CSIC, IEO-CSIC, the University of Cádiz, and the International Campus of Excellence of the Sea (CEI·MAR). Tuna sampling was enabled through the monitoring program of the Tuna Group at the Malaga Oceanographic Centre.

For the Mediterranean fisheries sector, these findings offer a more mature and less reactionary interpretation: bluefin tuna is neither an adversary of small-scale fisheries nor the “culprit” behind the decline of pelagic species. Rather, it is a biological indicator of a sea in transformation — and of the ecosystem’s ability, or inability, to maintain balance within its communities. Understanding the species’ feeding behavior therefore means gaining deeper insight into the Mediterranean itself and the future pathways for managing its resources.

Stay ahead of change in the blue economy. Subscribe to our newsletter and get insights on sustainability, innovation, and market trends shaping the seafood sector.

NEWSLETTER

L’articolo Young Bluefin Tuna Diet Is Shifting in the Mediterranean, Revealing Key Ecosystem Changes proviene da Pesceinrete.

“}]] ​ 

Pagina 10 di 1158

Made with & by Matacotti Design

Privacy & Cookie Policy