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In UE cresce la dipendenza dal pesce importato

In UE cresce la dipendenza dal pesce importato

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L’Unione europea chiude il 2025 con un dato che pesa come un segnale strutturale: solo il 38,1% della domanda di prodotti ittici viene coperta dalla produzione interna. È uno dei livelli più bassi dell’ultimo decennio e, come evidenziato dal rapporto EU Fish Market 2025 della Commissione europea, riflette un equilibrio industriale sempre più fragile.

La riduzione dell’autosufficienza non è episodica. Da anni l’Europa produce meno di quanto consuma e il 2023 – ultimo anno con dati consolidati – segna il punto più critico, con un calo simultaneo di pesca e acquacoltura. Una contrazione che arriva in un momento in cui le importazioni, storicamente il pilastro su cui poggia la sicurezza alimentare europea, rallentano a causa delle tensioni globali su logistica, disponibilità delle specie e politiche di gestione delle risorse.

Una dipendenza concentrata su cinque specie strategiche

L’aspetto più rilevante, in termini di rischio, è la concentrazione della dipendenza europea su un numero ridotto di prodotti. Salmone, tonno, Alaska pollock, gamberi e merluzzo assorbono quasi metà del consumo dell’UE e sono per la quasi totalità importati.

Il caso del salmone è emblematico: il mercato europeo è quasi completamente legato alla produzione norvegese e, in misura minore, britannica e cilena. Per l’Alaska pollock, la dipendenza è assoluta. I gamberi restano un mercato dominato dai produttori asiatici e latinoamericani, mentre per il merluzzo i tagli alle quote nei principali stock del Nord Atlantico hanno spinto i prezzi verso l’alto.

Questa esposizione rende l’UE vulnerabile non solo alle fluttuazioni di mercato, ma anche alle scelte politiche e regolatorie dei Paesi fornitori.

Italia: consumi resilienti, bilancia commerciale in peggioramento

Tra i Paesi membri, l’Italia merita una nota specifica. È uno dei pochi mercati in cui i consumi apparenti crescono, segnando un incremento dell’1%. Ma l’aspetto più rilevante riguarda il commercio: il deficit della bilancia ittica italiana si amplia, segno di una dipendenza che si fa più profonda.

Il Paese si trova in una posizione particolarmente delicata: forte domanda interna, filiera trasformativa consistente, una quota rilevante di prodotti premium nel segmento horeca – ma capacità produttiva interna insufficiente.

Il Mediterraneo, con l’acquacoltura di orata e spigola e la produzione di mitili, resta uno dei pochi comparti in cui l’UE mostra autosufficienza significativa. Tuttavia, non basta a riequilibrare un mercato sbilanciato su specie per le quali l’Europa non dispone di volumi adeguati.

La questione non è più solo economica: è geopolitica

L’Economia blu europea dipende oggi da un gruppo ristretto di fornitori esterni: Norvegia, Cina, Ecuador, Vietnam e India tra i principali. Questo quadro, evidenziato dal rapporto, colloca il settore ittico all’incrocio tra commercio internazionale, sicurezza alimentare e diplomazia economica.

La volatilità delle quote di pesca nel Nord Atlantico, le crescenti restrizioni fitosanitarie e le tensioni geopolitiche possono trasformarsi rapidamente in shock di offerta. Per un’Unione che importa oltre il 60% dei prodotti ittici che consuma, qualsiasi perturbazione esterna può avere ripercussioni significative sui prezzi e sulla stabilità delle filiere interne.

Uno scenario che impone scelte politiche e industriali

Il declino dell’autosufficienza mette sotto pressione la strategia europea sul food system. Le imprese chiedono stabilità normativa, investimenti nella trasformazione e incentivi all’innovazione in acquacoltura.

Al tempo stesso, il rapporto evidenzia che l’UE dovrà affrontare un nodo sempre più urgente: come garantire approvvigionamenti sicuri in un mercato globale che non è più in espansione come dieci anni fa.

Per l’Italia – tra i maggiori consumatori europei e tra i mercati più sensibili alle dinamiche dei prezzi – la sfida è duplice: rafforzare la capacità produttiva interna e preservare la competitività della filiera trasformativa, oggi più esposta alla volatilità internazionale.

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La Norvegia ferma l’estrazione mineraria in acque profonde fino al 2029

La Norvegia ferma l’estrazione mineraria in acque profonde fino al 2029

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La moratoria norvegese sull’estrazione mineraria in acque profonde rappresenta uno dei blocchi più significativi decisi da un Paese artico negli ultimi anni, con potenziali ripercussioni anche per le politiche europee e internazionali di tutela degli oceani.

La decisione del Parlamento norvegese sospende ogni attività legata al mining nei fondali profondi dell’Artico almeno fino all’autunno del 2029, termine dell’attuale legislatura. Per i prossimi quattro anni non saranno quindi rilasciate licenze di esplorazione né di sfruttamento, un segnale politico netto verso una maggiore prudenza ambientale. Contestualmente, il governo ridurrà in maniera significativa i finanziamenti destinati alla mappatura dei fondali, una componente chiave per l’eventuale apertura dell’industria mineraria in acque ultra-profonde.

La Deep Sea Conservation Coalition (DSCC), una delle principali organizzazioni globali impegnate nella difesa degli ecosistemi abissali, ha accolto con favore la scelta norvegese. Secondo Sofia Tsenikli, Direttrice della Campagna Globale del DSCC, si tratta di “una grande vittoria per l’oceano, il clima e la natura”, sottolineando come il blocco totale di esplorazioni e attività minerarie “rappresenti un altro chiodo nella bara di un’industria inutile, sconsiderata e altamente distruttiva”. La moratoria viene interpretata come l’unico strumento in grado di garantire che i benefici forniti dagli ecosistemi profondi—dalla regolazione climatica alla biodiversità—possano essere preservati per le generazioni future.

La posizione sorprende anche perché la Norvegia, fino ad ora, è stata tra i sostenitori più convinti dello sviluppo del settore, sia nelle proprie acque nazionali sia in sede internazionale, in particolare presso l’Autorità Internazionale per i Fondali Marini (ISA). Il cambio di direzione appare invece pienamente coerente con i pareri scientifici che, negli ultimi anni, hanno evidenziato rischi ambientali elevatissimi e ancora non quantificabili: dalla distruzione irreversibile degli habitat profondi alla dispersione di sedimenti ricchi di metalli pesanti, con possibili impatti sulle catene trofiche e sui cicli biogeochimici globali.

Per la DSCC e per numerosi organismi scientifici, la decisione norvegese rappresenta un precedente politico di grande peso. L’organizzazione invita il governo di Oslo – e la comunità internazionale nel suo complesso – a unirsi ai 40 Paesi che hanno già formalizzato misure precauzionali, sostenendo una moratoria globale che impedisca danni permanenti a uno degli ultimi ambienti incontaminati del pianeta.

In un contesto in cui gli oceani sono sempre più al centro delle strategie economiche, energetiche e alimentari, la sospensione norvegese apre una riflessione politica più ampia: rallentare oggi può essere la condizione necessaria per evitare, domani, un impatto irreversibile sugli equilibri degli ecosistemi profondi.

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Federpesca. Verso una pesca mediterranea sostenibile e competitiva

Federpesca. Verso una pesca mediterranea sostenibile e competitiva

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Si è svolto ieri al Parlamento europeo di Bruxelles il convegno “Verso una pesca mediterranea sostenibile e competitiva: governance e Blue Deal europeo”. L’evento, promosso da Federpesca, è stato un confronto dedicato al futuro della pesca mediterranea nel quadro delle nuove politiche europee di transizione blu.

I lavori sono stati ospitati e aperti dall’On. Marco Falcone (Commissione Pech), che ha espresso forte preoccupazione per le possibili riduzioni dei fondi europei. “Stiamo ragionando sul prossimo quadro finanziario pluriennale. Non possiamo estremizzare la sostenibilità ambientale a discapito di quella sociale ed economica. In molte regioni la pesca è identità territoriale”. L’On. Falcone ha inoltre sottolineato la necessità di rendere il settore più attrattivo, favorendo l’ammodernamento della flotta e il ricambio generazionale.

Tra i partecipanti anche la dott.ssa Francesca Arena, vicecapo di gabinetto del Commissario Kadis, che ha illustrato i temi al centro dei recenti confronti istituzionali: quote di pesca, concorrenza sleale, ammodernamento delle flotte in chiave di decarbonizzazione e misure per il ricambio generazionale.
“La Politica Comune della Pesca è in fase di revisione, con una semplificazione del quadro normativo – ha dichiarato la dott.ssa Arena – Stiamo rafforzando nuovi progetti di cooperazione nel Mediterraneo e iniziative di formazione rivolte ai Paesi terzi, così come l’introduzione di controlli più stringenti sulle infrazioni”.

Il presidente di Federpesca, Giovanni Azzone, ha poi aperto la sessione tematica richiamando l’attenzione sui tre pilastri della pesca sostenibile: ambientale, sociale ed economica.
C’è il rischio che un eccesso di regolamentazione possa ostacolare il necessario rinnovo della flotta – ha dichiarato il presidente – Bisogna valorizzare il potenziale dell’innovazione, soprattutto per ridurre l’impatto ambientale e rafforzare il dialogo con la ricerca. L’aumento dei vincoli proposti dalla Commissione è una risposta del tutto disfunzionale alle necessità del settore che va rigettata con decisione.”
Azzone ha inoltre ricordato l’esigenza di manodopera qualificata, inclusa la possibilità di coinvolgere lavoratori stranieri con competenze specifiche, accompagnata da maggiori investimenti nella formazione.

Sulla stessa linea anche l’On. Giorgio Salvitti (Masaf), che ha sottolineato l’impegno del Ministro Lollobrigida nella difesa del comparto e l’importanza dell’innovazione tecnologica e delle opportunità offerte dai finanziamenti europei, individuando nella formazione un ulteriore pilastro per la crescita del comparto.

pesca mediterranea sostenibile

La seconda sessione è stata moderata dalla direttrice di Federpesca, Francesca Biondo, che ha illustrato i principali nodi legati alla proposta sulle possibilità di pesca per il 2026 emersi nel dialogo con il Commissario Kadis.
“Abbiamo rappresentato al Commissario la necessità di rivedere completamente la proposta di riduzione dell’attività per il 2026 – ha spiegato – e presentato tre le priorità la necessità di considerare lo sforzo di pesca soltanto quando vi è un effettivo prelievo delle risorse, la questione del rinnovo della flotta, oggi non consentito dall’attuale Feampa, e l’importanza di considerare nelle scelte di gestione  non solo i dati biologici ma anche quelli socio-economici, che raccontano di un settore ormai al traguardo”.
La direttrice ha poi richiamato il ruolo determinante dei cambiamenti climatici e della crescente pressione derivante da altri usi del mare, fattori che incidono profondamente sulla sofferenza di numerosi stock del Mediterraneo.

A seguire è intervenuto Ivan Lopez (European Bottom Fisheries Alliance), che ha ribadito l’importanza di difendere la pesca a strascico.
“Per parlare di sostenibilità – ha dichiarato – dobbiamo parlare di una flotta che esiste e che può continuare a operare. Senza sostenibilità economica non può esserci sostenibilità ambientale”. Lopez ha inoltre richiamato l’attenzione sul tema della concorrenza dei Paesi terzi, per cui è necessaria una regolamentazione più rigorosa dei prodotti immessi sul mercato europeo.

Tra gli interventi anche quello di Sergio Vitale (CNR-IRBIM), che è intervenuto sui temi della decarbonizzazione e della selettività, e del prof. Ike Olivotto (Università Politecnica delle Marche), che ha affrontato il rapporto tra ricerca, cambiamento climatico e competitività delle imprese.

Sul tema della sostenibilità è intervenuta anche Stefania Valentini (Federpesca Europa e CEO di Netec), che ha illustrato le iniziative del progetto “Life Dream”, dedicate alla tutela delle barriere coralline profonde e al recupero dei rifiuti plastici, sottolineando la necessità di rivedere la proposta di fondo unico europeo per i prossimi anni al fine di non penalizzare ulteriormente il settore della pesca.

La prospettiva delle istituzioni regionali è stata portata da Grazia Gulluni (Regione Lazio), che ha ricordato come il Lazio sia stata la prima regione a integrare l’economia del mare nelle proprie politiche di sviluppo, mentre Fabio Carella (Regione Veneto) ha evidenziato l’importanza della pianificazione dello spazio marittimo come strumento di governance integrata e di sviluppo condiviso della Blue Economy.

In chiusura, la direttrice Francesca Biondo ha ringraziato i partecipanti e l’On. Falcone per il sostegno, lanciando il Forum permanente europeo su pesca e acquacoltura e dando appuntamento ai prossimi incontri dedicati al futuro della pesca mediterranea.

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Scognamiglio: 11 dicembre sciopero bianco pescatori contro Ue

Scognamiglio: 11 dicembre sciopero bianco pescatori contro Ue

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“Siamo pronti a mobilitare l’intera categoria dei pescatori per respingere l’ennesimo attacco della Commissione europea, che sta infliggendo un colpo mortale al settore con nuove irragionevoli e immotivate restrizioni. Per l’11 dicembre abbiamo convocato uno sciopero bianco: in tutto il Mediterraneo le imbarcazioni attiveranno la sirena in segno di protesta. Intanto, condividiamo e supportiamo l’azione del governo in Agrifish”. Così Gennaro Scognamiglio, presidente nazionale dell’Unci AgroAlimentare.

“I lavoratori e le imprese del comparto ittico – prosegue il dirigente dell’associazione del mondo cooperativistico – da anni si fanno carico della necessità di ammodernare e adeguare le attività di pesca a criteri di sostenibilità ambientale, promuovendo anche la sostenibilità economica e occupazionale. Nonostante le richieste e le obiezioni sollevate dalla categoria non siano mai state ascoltate da burocrati e istituzioni Ue, gli operatori hanno sempre rispettato le prescrizioni di Bruxelles, progressivamente più rigide e penalizzanti, anche se sottoposti ad un vera e propria vergognosa criminalizzazione. Ma anziché registrare un indirizzo più equilibrato nelle politiche della pesca, in grado di rendere fruttuosi i sacrifici compiuti sinora, assistiamo a un inasprimento delle misure, con ulteriori forti limitazioni delle aree e delle giornate di pesca nel Mediterraneo (64% per il sistema a strascico e del 25% con i palangari). Limitazioni insostenibili per il settore, che sconfessano la linea adottata sinora dall’Ue e la validità della stessa, confermando invece l’ostilità nei confronti della pesca italiana.
Non è in questo modo che si salvaguardano ambiente, ecosistema marino e biodiversità. Il mare è sottoposto a diverse criticità e insidie, molte delle quali provenienti dalla terraferma, a cominciare dall’inquinamento industriale e civile e da comportamenti inadeguati di chi ne fruisce o di chi smaltisce rifiuti in maniera impropria. Una situazione che richiederebbe una strategia complessiva di tutt’altro genere. Si preferisce invece colpevolizzare e colpire i pescatori che si sono assunti le proprie responsabilità nel difendere il mare e nel tutelare gli stock ittici, che costituiscono la propria fonte di sopravvivenza.
Negli ultimi anni, inoltre, la flotta italiana si è assottigliata, a causa della definitiva rottamazione di numerose imbarcazioni, determinata dalle condizioni di lavoro e dalle costanti difficoltà affrontate, che hanno reso complicato il ricambio generazionale. Lo sforzo di pesca è pertanto diminuito anche per tali ragioni, che sono volutamente ignorate dalla Commissione europea e dai suoi tecnici.
Risulta così sempre più evidente che a muovere le politiche di Bruxelles sono altre leve ed altri interessi. Tutto ciò senza alcuna remora per le ricadute drammatiche su migliaia di lavoratori e imprese e su intere comunità costiere.
Si proclama la cucina italiana patrimonio immateriale dell’umanità, ma poi si annienta la pesca che ne costituisce un cardine.
Per troppo tempo la politica italiana non ha sostanzialmente mosso dito, salvo poche eccezioni, contro le tecnocrazie e le lobby di Bruxelles, mentre distruggevano il made in Italy e alimentavano pratiche scorrette nelle produzioni alimentari, a danno anche di cittadini e consumatori. Fortunatamente l’attuale governo, ed in particolare il ministro dell’Agricoltura Lollobrigida, hanno invertito la rotta, avviando un percorso di confronto con le categorie, con l’obiettivo di costruire un nuovo indirizzo comunitario, insieme agli altri Paesi del Mediterraneo”.

“Esprimiamo apprezzamento – conclude Scognamiglio – per le iniziative intraprese dal sottosegretario Patrizio La Pietra che ha investito le istituzioni scientifiche, per la definizione di una proposta alternativa negli organismi Ue, fondata su dati reali e con un approccio differente”.

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EU Fish Market 2025: Italy Resists Falling Consumption

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The European Commission has released the 2025 edition of The EU Fish Market, a key report analysing production, consumption, trade and structural trends in the European seafood sector. The picture that emerges is that of a complex market, still affected by inflationary pressure and declining household consumption, but with one positive note: Italy stands out as one of the few EU countries showing even a slight increase in apparent per capita consumption.

High prices and declining fresh seafood consumption

In 2024, European household spending on fishery and aquaculture products reached €62.8 billion, up 4% from the previous year. This increase, however, does not reflect higher consumption but rather the effect of prices remaining at historically high levels. Between 2020 and 2024, retail fish prices rose by more than 25%.

Domestic consumption of fresh fish continues to fall, and in the largest consumer countries the decline exceeded 4% between 2023 and 2024. In this context, the Italian case is particularly significant: Italy is among the few countries showing a slight rise in apparent per capita consumption, bucking the trend seen across major European markets.

EU seafood trade: slight contraction but still historically high

In 2024, the total value of EU seafood trade fell by 1%, while volumes decreased by 0.5%. Despite this, the year ranks as the third best of the past decade in terms of total transaction value.

Intra-EU trade reached €31.7 billion, surpassing extra-EU imports for the second consecutive year. Imports from non-EU countries nonetheless remain the main source of supply, amounting to 5.9 million tonnes with a value of €29.9 billion.

Trade balance: improvement for Europe, worsening for Italy

The EU’s trade balance improved by 2% in 2024, supported by rising exports (+1%) and slightly decreasing imports (-1%). The trend, however, varies across Member States. Italy, France, Spain and the Netherlands recorded a worsening deficit, highlighting the strong import dependence typical of high-demand markets.

For Italy, this confirms the strategic need to strengthen domestic production, enhance the value of national catches and boost aquaculture as a key balancing factor.

EU apparent consumption hits decade low—but Italy grows

In 2023, apparent EU consumption fell to 22.89 kg per capita, the lowest level in ten years. The decline is mainly due to reduced imports and lower aquaculture output in certain countries. Against this backdrop, Italy represents an exception: +1% compared to 2022, signalling a stable market and solid underlying demand.

Key species: trends to monitor for the Italian industry

The 2025 edition of the report highlights important dynamics affecting species central to Italian consumption and processing.

Salmon. European imports rose by 5% in 2024. In early 2025, volumes continued to increase while prices declined—a trend favourable to both consumption and processing.

Shrimp. Accounting for 10% of total EU imports, the category continues to grow. Ecuador, Argentina and India further strengthened their positions. Italian demand remains strong in both foodservice and retail.

Cod. Northeast Arctic quotas faced substantial cuts (-20% in 2024 and -25% in 2025), driving prices sharply higher. This key species for the Italian market is directly affected by supply-side pressure.

Tuna. The most consumed species in the EU. In 2024, imports rose by 18% in volume and 8% in value, with strong growth in prepared and processed products—especially relevant signals for Italy’s canning industry.

The EU Fish Market 2025 report portrays a Europe still grappling with high prices, uncertain consumption and heavy dependence on imports. Yet Italy emerges as one of the most resilient markets, supported by stable domestic demand and a stronger capacity to absorb supply than most major Member States.

For Italian seafood companies—from production and processing to distribution and foodservice—the report clearly points toward strategic priorities: diversifying supply sources, elevating product origin, strengthening aquaculture and closely monitoring species most exposed to international volatility.

For more insights on the future of Italian fisheries and the blue economy, follow ongoing coverage and analysis on Pesceinrete.

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