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Tradizione, innovazione e le sfide del futuro per la pesca italiana

Tradizione, innovazione e le sfide del futuro per la pesca italiana

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Tradizione, innovazione e le sfide del futuro per la pesca italiana – In Italia l’industria della pesca si trova ad affrontare una profonda crisi caratterizzata da una significativa riduzione della flotta peschereccia e anche quella dei posti di lavoro, insieme all’invecchiamento delle imbarcazioni e degli addetti. Le problematiche che il settore affronta sono molteplici: da un lato, la crisi climatica e l’inquinamento minacciano le risorse marine; dall’altro, le politiche europee sembrano ostacolare il settore senza coinvolgere i pescatori nel processo decisionale.

In questa intervista, Pesceinrete ha parlato con Maria Laurenza, segretaria generale UILA Pesca, che ci ha palesato una visione critica ma allo stesso tempo fiduciosa circa il futuro della pesca italiana. Tra tradizione, innovazione e nuove politiche, la pesca può ancora ritagliarsi un nuovo orizzonte, ma serve un impegno congiunto tra lavoratori, rappresentanti e istituzioni.

Quali sono i problemi e le sfide più significative che l’industria della pesca italiana deve affrontare?

La pesca italiana vive, ormai da molti anni, una profonda crisi strutturale che ha portato il settore a ritrovarsi, oggi, con una flotta di circa 12.000 imbarcazioni e 27.000 addetti e, cosa ancor più grave, con una età media superiore ai 50 anni, sia delle imbarcazioni che degli addetti! Rispetto al 2000 abbiamo perso il 20% della flotta e 18.000 posti di lavoro. E le prospettive non sono di certo rosee… Da un lato ci sono le minacce ambientali, dovute principalmente alla crisi climatica e all’inquinamento marino, che mettono a rischio la sopravvivenza delle risorse pescabili; dall’altro le politiche europee orientate unicamente a ridurre lo sforzo di pesca dei paesi europei nel Mediterraneo, Italia in testa. Al centro, schiacciati in questa morsa, ci sono i pescatori che sono e si sentono abbandonati, inascoltati e, come se non bastasse, da molti considerati e trattati come i principali, se non gli unici, responsabili dell’impoverimento delle risorse e come i peggiori nemici dell’ambiente marino. Inoltre, in particolare nel Mediterraneo, sono vittime della concorrenza sleale di prodotti provenienti da paesi che non devono rispettare le leggi europee. Più che di problemi e sfide da affrontare, è un settore che deve lottare per la sopravvivenza.

Non c’è da stare allegri… ma, la sua, non è una visione un po’ troppo pessimistica?

Purtroppo, no. Provi a parlare con qualche pescatore. I dati sulla consistenza della flotta italiana parlano chiaro. Sul fronte della minaccia ambientale, l’aumento di 5° della temperatura del Mediterraneo negli ultimi 40 anni e la conseguente proliferazione di specie aliene, l’inquinamento marino, la presenza in mare di plastiche e microplastiche, sono tutti fenomeni misurabili; le politiche europee sono una realtà che i pescatori sono costretti a subire senza aver potuto contribuire a scriverle.

Ma quindi la pesca italiana è condannata a sparire?

No, noi siamo convinti che la pesca possa e debba avere un futuro. Un nuovo orizzonte basato su tre parole essenziali: tradizione, innovazione e lavoro. È questo il titolo che abbiamo scelto per la nostra iniziativa di chiusura delle attività svolte nell’ambito del Programma Nazionale Triennale (PNT) della pesca, finanziato dal Masaf. È stato un evento molto partecipato, un’occasione di confronto aperto e molto serrato, al quale è intervenuto il sottosegretario La Pietra, con i tanti pescatori di una marineria con alle spalle una lunga tradizione ma che vuole comunque guardare al futuro con tenacia e ottimismo.

Da dove si può partire?

Occorre riconoscere il valore della pesca come attività tradizionale, essenziale per la vita delle comunità costiere, insieme al ruolo del pescatore come attore protagonista di queste comunità; è questo il primo passo da compiere. Occorre riconoscere e restituire ai pescatori e al loro lavoro la dignità che meritano; ascoltare le loro istanze, le loro conoscenze e la loro esperienza e, soprattutto, tenerne conto prima di decidere misure di conservazione e regolamenti che impattano direttamente sul loro lavoro, sulle risorse e sulle aree di pesca dove essi operano. E questo deve valere in Europa come in Italia.

Cosa non va nelle politiche europee?


La Politica Comune della Pesca (PCP) è sempre stata sorda e disattenta verso gli aspetti sociali ed economici della pesca, dei pescatori e delle comunità costiere, a tal punto che la parola “pescatore” non compare mai nel suo trattato istitutivo. Una politica, inoltre, che, fino al 2004, escludeva il Mediterraneo dalla sua attuazione, salvo poi svilupparne una che ha fallito completamente l’obiettivo di migliorare lo stato delle risorse, come “sognava” di fare la Commissione Ue nel 2006.
Le politiche europee sembrano ispirate a una “certa” cultura ambientalista che mira a colpevolizzare e criminalizzare l’insieme dei pescatori come dei predatori delle risorse.
La PCP ha progressivamente aumentato e irrigidito il sistema dei controlli teso a punire i pescatori, piuttosto che a promuovere buone pratiche e sistemi di premialità. L’introduzione delle telecamere a bordo dei pescherecci, ad esempio, che, pur di impedire i rigetti in mare si beffa del diritto alla privacy dei lavoratori, inquieta proprio per la volontà espressa di voler compilare delle “liste dei cattivi”.

A quando, al contrario, una lista dei bravi pescatori?

L’Ue Impone continue riduzioni delle possibilità di pesca, restrizione delle aree pescabili, imposizione e aumento di strumenti e sistemi di controllo sulle attività e sul pescato. Misure decise senza consultare il settore e imposte attraverso dei Regolamenti adottati senza un preventivo studio sul loro impatto socio-economico. 
C’è poi un altro aspetto da sottolineare che riguarda il lavoro: la normativa per la lotta alla pesca illegale dell’Unione europea non si applica al pesce importato e, soprattutto, non considera illegale il pesce pescato da lavoratori spesso costretti o in schiavitù e importato da quei paesi dove ciò avviene.
Ci auguriamo di trovare nel nuovo Commissario Kostas un interlocutore più ragionevole dei precedenti, con cui poter discutere dei problemi della pesca senza pregiudizi ideologici.

Parlava di recupero della pesca come tradizione?

Da due anni, sempre nell’ambito delle attività del PNT, la Uila Pesca ha avviato il progetto itinerante “Blue Friday”, il venerdì del pescatore che, riprendendo un’antica tradizione dei pescatori dell’Adriatico di dedicare il venerdì alla famiglia e alla condivisione della vita di comunità, ci ha portato in diverse marinerie italiane (Catania, Manfredonia, Genova, Piombino, Sant’Anna Arresi, Bagnara Calabra, Taranto, San Benedetto del Tronto) a festeggiare questa giornata insieme a centinaia di pescatori con le loro famiglie; ad ascoltare le loro voci, la storia del loro lavoro, faticoso, portato avanti con forza di volontà e con la passione per il mare. E ogni marineria ha le sue produzioni ittiche tipiche, le proprie usanze e ricette alimentari che hanno contribuito allo sviluppo culturale ed economico delle comunità locali. Produzioni e specialità culinarie che concorrono ad arricchire la reputazione del Made in Italy.

Quali sono i punti di forza del settore in Italia?


Innanzitutto la straordinaria varietà e qualità dei prodotti pescabili nei nostri mari, così come la vitalità delle nostre marinerie e il grande valore della cultura, anche culinaria, che esse rappresentano. Un altro punto di forza è, sicuramente, il sistema di relazioni sindacali costruito negli anni dalle parti sociali e che ha consentito di rinnovare sempre puntualmente i contratti di lavoro e di sviluppare un sistema di bilateralità che risponde alle esigenze di lavoratori e imprese.
È un settore nel quale, più che in altri, esiste una comunione di interessi e di problemi tra lavoratori dipendenti e armatori che, come si suol dire “stanno sulla stessa barca”, veramente.
In passato, nel caso della vertenza con l’Ue sulla vongola dell’Adriatico, l’Italia della pesca è riuscita ad unirsi, mondo della produzione, mondo scientifico e istituzioni, riuscendo a dimostrare e convincere la Commissione europea delle nostre ragioni. 
Inoltre, c’è da evidenziare come ogni volta che i pescatori, aggregati in consorzi di gestione, OP o cooperative, hanno proposto, collettivamente, delle misure di gestione ad hoc per i propri territori, si sono sempre verificati risultati positivi per gli stock ittici.

Tradizione e innovazione non sono in contrasto tra loro?


Assolutamente no ma certamente tutto il mondo della pesca e tutti insieme dobbiamo fare un salto culturale per innovare il settore. Coniugare tradizione e innovazione è la sfida fondamentale per garantire la sostenibilità sociale ed economica del settore. Per quanto riguarda tecniche e tecnologie, ci sono tante innovazioni possibili e tante sono allo studio. Al di là della propensione del ceto peschereccio alle innovazioni, resta il fatto che queste hanno un costo non sempre sostenibile da tutti.
Ma innovazione significa anche immaginare che il lavoro nella pesca del futuro non può fermarsi all’attività di cattura a bordo, deve andare oltre e che, per farlo deve puntare sui giovani, così come è avvenuto nel mondo agricolo dove figli e nipoti di imprenditori, dopo aver svolto studi superiori, sono tornati nell’impresa familiare con idee nuove, sia di natura tecnica legate alla produzione, sia, soprattutto, legate a strategie manageriali e di marketing. Innovazione significa infatti intraprendere nuovi canali commerciali, anche attraverso il web, per promuovere e accrescere il valore delle produzioni e sottrarsi così al gioco del mercato del pesce che li esclude e mortifica il loro lavoro. Innovazione significa sperimentare nuovi sistemi per la vendita diretta e la prima trasformazione del pescato; significa pensare a sviluppare nuove attività, come il pescaturismo e l’ittiturismo.
Siamo anche convinti che, nello sviluppo del ruolo multifunzionale del settore, le donne possano giocare un ruolo importante che già oggi svolgono, prevalentemente come coadiuvanti seppur senza alcun riconoscimento formale, ma che dovrebbe ampliarsi ad altre attività.

Parliamo di sicurezza sul lavoro. A che punto siamo?

Attendiamo da 16 anni l’emanazione dei decreti attuativi per il settore della pesca del Testo unico sulla sicurezza sul lavoro (D.Lgs 81/2008). Nel frattempo i pescatori non possono utilizzare innovativi dispositivi di protezione individuale, come i giubbotti autogonfiabili e calzature leggere, perché non omologati, e sono costretti ad utilizzare quelli previsti dalla normativa vigente che intralciano e rendono più pericolosa l’attività di pesca e sono, quindi, poco utilizzati.
L’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha dichiarato che il mestiere del pescatore è il più pericoloso al mondo ma in Italia la pesca non è riconosciuta come un lavoro usurante ai fini pensionistici.

Nel 2015, con il progetto “La sicurezza nelle nostre reti” la Uila Pesca ha avviato uno studio, mai svolto in precedenza a livello mondiale, che ha misurato scientificamente come il lavoro del pescatore sia estremamente gravoso e, quindi, usurante. Il suo riconoscimento sarebbe un atto di puro buonsenso e di buona volontà politica da parte del legislatore verso un ceto peschereccio, numericamente esiguo e tale da non costituire un problema di copertura economica.
Il tema della sicurezza si intreccia anche con quello dell’innovazione e risulta incomprensibile come l’Europa continui a vietare la costruzione, a parità di caratteristiche tecniche, di nuove imbarcazioni più sicure e performanti.

Come giudica l’operato del governo e cosa chiederete in futuro?


L’attuale governo ha mostrato attenzione e sensibilità su alcuni aspetti del lavoro nel settore. Il nuovo meccanismo di gestione delle giornate di pesca, improntato alla flessibilità consente alle imprese di meglio programmare la propria attività e ai pescatori di lavorare più serenamente. Anche le azioni in risposta all’emergenza “Granchio Blu” e la recente equiparazione dell’imprenditore ittico a quello agricolo, costituiscono una importante base per restituire fiducia ai lavoratori. Come pure l’opposizione, ferma, pur se solitaria, alle posizioni della Commissione Europea sul tema dell’Action Plan e del Regolamento Controlli ci hanno restituito una sensazione di minore solitudine e impotenza.
Tra le richieste future, oltre a quelle già indicate in materia di sicurezza sul lavoro, c’è innanzitutto la questione della cassa integrazione per il settore. Tre anni fa, quando i pescatori erano considerati degli eroi che sfidavano la pandemia per continuare a produrre cibo per le nostre tavole, abbiamo ottenuto, in via di principio, l’estensione della Cassa integrazione salariale per gli operai agricoli (CISOA) anche al settore della pesca; estensione che, però, non è mai divenuta effettiva, in mancanza dei decreti attuativi.
Poi ci aspettiamo che venga chiarita e data piena attuazione alla legge “Salvamare”, prevedendo un sistema di reale premialità dei pescatori coinvolti nell’opera di raccolta dei rifiuti in mare, e venga regolamentata meglio la cosiddetta pesca sportiva e ricreativa che rappresenta oggi, con oltre un milione di praticanti, una potenziale ulteriore forma di concorrenza sleale che danneggia la pesca professionale.

Quindi ritiene possibile un nuovo orizzonte per la pesca?

Sicuramente sì, partendo dalle conoscenze della tradizione ma guardando avanti verso una modernità ormai necessaria per far sì che questo orizzonte si avvicini. Noi siamo ottimisti e convinti che l’orizzonte dei pescatori sia raggiungibile, unendo le forze, tutti insieme, mondo della rappresentanza e istituzioni, guidati dalla forza di volontà e dal buonsenso. Solo così sarà possibile trovare soluzioni concrete che possano traguardare il settore verso il futuro.

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Certificazione ASC al più grande incubatoio UK di ostriche

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Certificazione ASC al più grande incubatoio UK di ostriche  – In un importante traguardo per il settore dell’acquacoltura, Morecambe Bay Oysters, il più grande incubatoio di ostriche del Regno Unito, ha ottenuto la prestigiosa certificazione dell’Aquaculture Stewardship Council (ASC). Questo riconoscimento sottolinea l’impegno dell’azienda verso pratiche di acquacoltura sostenibili e responsabili, posizionandola come leader nel settore. Morecambe Bay Oysters, parte del gruppo Associated Seafoods, è una realtà fondamentale in un comparto dove l’innovazione e la sostenibilità sono ora essenziali a causa delle crescenti sfide ambientali.

Con il cambiamento climatico e le attività umane che continuano a disturbare gli ecosistemi naturali, le aziende dell’acquacoltura devono affrontare una crescente pressione per adattarsi. Le pratiche sostenibili, un tempo considerate opzionali, sono diventate indispensabili per le imprese che desiderano rimanere competitive e rispettose dell’ambiente. I programmi di certificazione come quello ASC sono strumenti fondamentali in questa trasformazione, stabilendo standard rigorosi che garantiscono operazioni che riducono al minimo l’impatto ambientale.

Per ottenere la certificazione ASC, Morecambe Bay Oysters ha dimostrato il proprio impegno a mantenere un impatto neutro o positivo sugli ecosistemi circostanti. Associated Seafoods ha sottolineato che i propri allevamenti di ostriche operano senza l’uso di sostanze chimiche nocive, mentre le ostriche si nutrono di plancton naturale, eliminando la necessità di mangimi supplementari. Queste misure sono fondamentali per preservare la biodiversità marina, soprattutto in aree ecologicamente sensibili come la baia di Morecambe, che vanta designazioni speciali per il suo ruolo nel sostenere la diversità della fauna selvatica e degli habitat.

La certificazione ASC non solo rafforza le credenziali ambientali dell’azienda, ma rappresenta anche un punto di riferimento per l’intero settore dell’acquacoltura. Stabilendo nuovi standard di sostenibilità, Morecambe Bay Oysters apre la strada a future innovazioni nel settore, contribuendo alla sostenibilità a lungo termine dell’acquacoltura come soluzione alle sfide della produzione alimentare globale.

Certificazione ASC al più grande incubatoio UK di ostriche

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Nel 2022 salgono a oltre 20mila le tonnellate di polistirene espanso riciclato

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Nel 2022 salgono a oltre 20mila le tonnellate di polistirene espanso riciclato – I volumi di EPS (Polistirene Espanso Sinterizzato) riciclato in Italia hanno registrato un balzo del 25% nel triennio 2019-2022, superando le 20mila tonnellate. Lo attestano i dati dell’indagine promossa da AIPE*, Associazione Italiana del Polistirene Espanso che rappresenta le aziende del mercato, presentati in occasione della celebrazione dei suoi 40 anni di attività e discussi nell’ambito del convegno “AIPE 40: Una Storia per un Futuro di Sostenibilità”.

Guardando in generale al mercato delle materie plastiche, anche nel 2023 si è registrata una crescita dei riciclati pre e post consumo rispetto all’anno precedente (1.337 kton, +0,8% vs. 2022), a fronte di volumi di produzione delle termoplastiche leggermente in diminuzione (5,05 milioni di tonnellate vs. 5,4 milioni nel 2022)*.

Per quanto riguarda l’andamento dei due principali settori applicativi dell’EPS, l’edilizia e l’imballaggio, in base alle prime stime* si prevede per il 2024 una lieve crescita dei consumi del polistirene espanso sinterizzato nel settore imballaggio, mentre l’edilizia tiene con volumi che si attestano comunque sopra livelli pre-Superbonus.

“In questi anni, AIPE ha lavorato instancabilmente per lo sviluppo sostenibile del settore, affiancando le Istituzioni nella definizione delle normative per l’edilizia, l’imballaggio e l’economia circolare, impegnandosi attivamente nel recupero e nel riciclo dell’EPS, promuovendo l’innovazione tecnologica e supportando l’aggiornamento professionale – ha dichiarato Alessandro Augello, Presidente di AIPE –. Per il futuro a venire, intendiamo proseguire il nostro commitment, consapevoli delle sfide complesse che ci attendono: consolidare le alleanze già in essere, sensibilizzare e accrescere la conoscenza, fondata su evidenze scientifiche, dei benefici del polistirene espanso, un materiale unico, insostituibile in tante applicazioni, sostenibile e riciclabile al 100%, aumentare l’attenzione per la raccolta e il corretto smaltimento dell’EPS. Guardiamo al futuro con fiducia, certi che la sensibilizzazione di tutti gli attori della filiera, collaborazioni virtuose e l’innovazione ci permetteranno di raggiungere obiettivi concreti per un settore più resiliente e attento alle esigenze ambientali e sociali”.

Ai numeri positivi sul riciclato ha contribuito primariamente il circuito delle PEPS – Piattaforme Corepla per il riciclo degli imballi in EPS, a cui partecipano anche diverse aziende associate AIPE – insieme ad altri operatori, senza dimenticare l’apporto tramite i Criteri Minimi Ambientali – CAM edilizi e CAM arredi promossi dal Ministero dell’Ambiente e previsti dal Superbonus – che richiedono l’utilizzo di riciclati e/o di sottoprodotti con specifiche percentuali di riciclati nei nuovi manufatti immessi nel mercato.

“Aumentare l’efficienza energetica degli edifici e, più in generale, il comfort abitativo è uno degli obiettivi della riqualificazione edilizia in atto. L’impiego dell’EPS per l’isolamento dell’involucro, grazie alle proprietà termiche e acustiche uniche del materiale, rappresenta una soluzione ideale su più fronti: dal benessere abitativo al risparmio in bolletta, passando per la riduzione delle emissioni di CO2 e della dipendenza energetica dai Paesi esteri” – ha commentato Giuseppe Rinaldi, Vice Presidente Edilizia di AIPE, assicurando che l’impegno dell’Associazione per la decarbonizzazione proseguirà anche in relazione alla Direttiva europea “Case Green”.

“L’EPS è un materiale da imballaggio sostenibile e riciclabile al 100%; lo confermano anche i recenti sviluppi normativi che a livello europeo e globale hanno visto il ritiro di alcuni tentativi di restrizione riconoscendone l’insostituibilità in numerose applicazioni e settori – ha dichiarato Paolo Garbagna, Vice Presidente Imballaggio di AIPE –. Naturalmente occorre proseguire nell’impegno per la sostenibilità e il riciclo, puntando in particolare sulla ricerca e sviluppo e sulle nuove tecnologie per massimizzare il ruolo che il materiale ha già in ambiti come il food waste, grazie al mantenimento della catena del freddo”.

Il convegno “AIPE40: Una Storia per un Futuro di Sostenibilità” in cui si sono celebrati i 40 anni di attività dell’Associazione ha avuto luogo venerdì 18 ottobre presso il Castello di San Gaudenzio a Cervesina (PV). Alla presenza dei rappresentanti dell’Associazione, di attori istituzionali e del comparto, si sono ripercorse le tappe principali della storia con lo sguardo al futuro e alle prossime sfide sostenibili per il settore, si è fatto un punto sulle normative che interessano edilizia e imballaggio, sule tendenze del mercato, sul futuro dell’efficientamento energetico e del riciclo, sui progetti di raccolta e smaltimento.

AIPE – Associazione Italiana Polistirene Espanso – senza fini di lucro è stata costituita nel 1984 per promuovere e tutelare l’immagine del polistirene espanso sinterizzato (EPS) e per svilupparne l’impiego e il riciclo secondo principi di economia circolare.

Fanno parte di AIPE le aziende produttrici di materia prima, il polistirene espandibile, fra le quali figurano le più importanti industrie chimiche europee, i trasformatori dell’EPS – sia per la produzione di lastre per l’isolamento termico che di manufatti e materiali tecnici per edilizia e imballaggio – e i riciclatori, ovvero aziende specializzate nel riciclo.
Un gruppo di soci è costituito, infine, dalle aziende fabbricanti attrezzature per la lavorazione del polistirene espanso sinterizzato e per la produzione di sistemi per l’edilizia.
A livello internazionale l’Associazione rappresenta l’Italia in seno a EUMEPS, l’organizzazione europea che raggruppa le associazioni nazionali dei produttori di EPS.

L’Associazione, inoltre, opera a stretto contatto con Enti e Istituzioni finalizzando la propria attività alla redazione di norme e protocolli nei settori edilizia, imballaggio ed economia circolare.
Collabora attivamente alla promozione della raccolta e riciclo dell’EPS in sinergia con COREPLA (Consorzio Nazionale per la Raccolta, il Riciclo e il Recupero degli Imballaggi in Plastica) e, in qualità di partner tecnico, con CORTEXA (Consorzio che riunisce le più importati aziende specializzate nel settore dell’isolamento termico a cappotto in Italia) per veicolare, diffondere e condividere la cultura dell’isolamento a cappotto di qualità.
Sostiene e promuove la ricerca di nuovi progetti di riciclo a livello nazionale ed europeo, partecipa ad ICESP (Piattaforma Italiana degli Attori dell’Economia Circolare) ed è coinvolta in circuiti virtuosi per il riciclo di alcune tipologie di manufatti, tra cui le cassette per il pesce e gli imballaggi in EPS.
* Indagine di settore eseguita dalla società di consulenza Plastic Consult.

Nel 2022 salgono a oltre 20mila le tonnellate di polistirene espanso riciclato

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Mindful eating e prodotti ittici: il legame tra benessere e sostenibilità

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Mindful eating e prodotti ittici: il legame tra benessere e sostenibilità – Negli ultimi anni, l’alimentazione consapevole, nota anche come mindful eating, è diventata sempre più importante per gli italiani. Mangiare non è più un semplice atto nutritivo, ma un’esperienza che intreccia benessere fisico e mentale. Questo cambiamento si riflette nelle scelte alimentari quotidiane, dove l’attenzione verso la qualità del cibo si estende a considerazioni etiche e ambientali, in particolare nel settore ittico.

Il concetto di pesca sostenibile sta diventando un fattore decisivo per i consumatori. In risposta alla crescente domanda di prodotti ittici che rispettino l’ambiente, sempre più aziende del settore stanno adottando pratiche che tutelano gli ecosistemi marini, riducono l’impatto sugli stock ittici e garantiscono trasparenza lungo tutta la filiera. La pesca sostenibile, infatti, non si limita a rispettare i limiti di cattura stabiliti dalle normative internazionali, ma mira a preservare la biodiversità marina e a promuovere l’uso di tecnologie che minimizzano i danni all’ecosistema.

Parallelamente, l’acquacoltura si afferma come alternativa responsabile alla pesca intensiva. Tecnologie come i sistemi di acquacoltura a ricircolo (RAS) e la riduzione degli sprechi sono oggi all’ordine del giorno, rendendo il settore sempre più attento alla sostenibilità ambientale. Queste tecniche permettono di allevare diverse specie ittiche in modo efficiente, contribuendo a ridurre la pressione sulla pesca selvaggia e offrendo al mercato prodotti freschi, ricchi di nutrienti e tracciabili dalla fonte.

La coltivazione di alghe è un altro settore in forte crescita, trainato dall’interesse verso alimenti sani e a basso impatto ambientale. Le alghe, fonte di antiossidanti, fibre e vitamine, non solo migliorano la salute dei consumatori, ma contribuiscono anche a mitigare gli effetti del cambiamento climatico assorbendo grandi quantità di CO₂. Le loro applicazioni vanno oltre l’alimentazione, trovando spazio nei settori cosmetico, farmaceutico e persino nella produzione di materiali biodegradabili.

L’Italia, con il suo ricco patrimonio marittimo, sta riscoprendo il valore della pesca sostenibile e dell’acquacoltura innovativa. Regioni diverse, da nord a sud, sono all’avanguardia nell’implementazione di queste pratiche, sia per garantire la qualità dei prodotti ittici sia per proteggere il delicato equilibrio degli ecosistemi marini locali. Questo approccio non solo migliora la qualità della vita dei consumatori, ma supporta anche la crescita economica delle comunità costiere, creando un circolo virtuoso tra sostenibilità, economia e benessere.

In un contesto in cui i consumatori sono sempre più attenti al proprio impatto sull’ambiente e alla qualità dei prodotti che consumano, la sinergia tra pesca sostenibile, acquacoltura e mindful eating offre una risposta concreta alle esigenze di benessere psicofisico e responsabilità ecologica. Scegliere prodotti ittici sostenibili significa non solo nutrirsi in modo consapevole, ma anche contribuire attivamente alla tutela del pianeta.

Mindful eating e prodotti ittici: il legame tra benessere e sostenibilità

 

 

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Marca by BolognaFiere: una 21° edizione a tutto business

Marca by BolognaFiere: una 21° edizione a tutto business

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Marca by BolognaFiere: una 21° edizione a tutto business – Organizzata in collaborazione con ADM – Associazione Distribuzione Moderna, Marca by BolognaFiere si prepara a un’edizione in forte crescita, confermandosi punto di riferimento dell’intero ecosistema della Marca del Distributore. L’espansione dell’appuntamento fieristico bolognese trova riscontro negli ottimi dati sulle vendite dei prodotti a marca privata.

Come certifica Circana, partner di BolognaFiere anche per il 2025, al primo semestre 2024, la private label risulta il segmento più dinamico del settore: con una crescita delle vendite a valore di +2,7% a totale Omnichannel, la MDD sviluppa oltre 14,5 miliardi di euro di ricavi complessivi, raggiungendo 30,1 punti di quota (+0,2 rispetto al primo semestre 2023). La crescita è rinsaldata anche da un aumento dei volumi di vendita del +3,6%.

Edizione 2025

In programma a gennaio 2025, Marca by BolognaFiere è l’unico appuntamento in Italia interamente dedicato ai prodotti food e non food a Marca del Distributore e l’unico in Europa a poter contare sulla presenza, in qualità di espositori, delle principali insegne della Distribuzione Moderna Organizzata.

Tra le novità, l’introduzione dell’International Buyers Preview, prevista nel pomeriggio di martedì 14 gennaio e che anticipa la due giorni di manifestazione: si tratterà di un momento ad alto tasso di professionalità, destinato agli incontri B2B e al networking tra aziende espositrici e buyer internazionali.

I 9 padiglioni assegnati a Marca danno forza all’impianto generale dell’evento, articolato nelle macro-aree espositive Food e Non Food, e in Marca Fresh e Marca Tech, i due format tematici che si ripropongono con le rispettive formule di successo.

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