Categoria: Pesce In Rete Pagina 30 di 1124

Italy imports 75% of its fish: API raises alarm

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The data from API is clear: 75% of fish in Italy is imported, with a market value reaching around €4 billion. According to Andrea Fabris, Director of the Italian Fish Farmers Association (API), this dependency highlights the urgent need to strengthen domestic production and increase consumer awareness about the origin of fish.

Although Italy is the largest consumer of seafood in Europe, API stresses that current domestic output is not sufficient to close the gap with imports. In Friuli Venezia Giulia, a leading region in trout farming, Friuli smoked trout stands out as a territorial excellence: in Udine, during Friuli Doc, guided tastings sold out, proving that quality and local identity can make a difference.

Fabris points out that trout production in Italy amounts to about 30,000 tons per year, a significant figure but still limited compared to the sector’s potential. For API, it is crucial that operators and institutions support initiatives to enhance local products, simplify regulations, and encourage investments.

The association also calls on consumers: read labels carefully, ask about provenance in restaurants, and choose local products whenever possible. These are actions that can help reshape the market structure. The fact that 75% of fish in Italy is imported is not just a statistic—it is a warning bell that affects production systems, politics, and the daily choices of buyers.

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Operazione marittima nell’Adriatico: EFCA coordina l’operazione con Italia, Croazia e Slovenia

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È stata avviata in questi giorni l’Operazione Marittima Multifunzionale (MMO) nell’Adriatico, iniziativa coordinata dall’Agenzia Europea di Controllo della Pesca (EFCA) che segna un ulteriore passo avanti nella cooperazione tra Italia, Croazia e Slovenia per la sicurezza marittima e la tutela delle risorse.

L’operazione, inaugurata a Bari alla presenza della direttrice esecutiva dell’EFCA Susan Steele, coinvolge anche l’Agenzia Europea per la Sicurezza Marittima (EMSA) e Frontex, in un modello di collaborazione che unisce controllo della pesca, sorveglianza ambientale e gestione condivisa delle emergenze in mare.

Il cuore dell’attività è duplice: da un lato garantire maggiore assistenza tecnica e operativa agli Stati membri, dall’altro consolidare la capacità di risposta coordinata di fronte a minacce potenziali, che spaziano dall’inquinamento alla pesca illegale. L’EFCA mette a disposizione la nave Ocean Sentinel, un velivolo ad ala fissa e sistemi di monitoraggio, mentre l’EMSA contribuisce con droni RPAS, attrezzature antinquinamento e immagini satellitari. Frontex, invece, sostiene la Croazia con risorse tecniche e umane, oltre a potenziare lo scambio di dati attraverso la piattaforma EUROSUR.

Il Centro di coordinamento dell’operazione è attivo presso la sede EFCA di Vigo, in Spagna, con collegamenti virtuali che permettono a tutte le autorità di mantenere un quadro operativo aggiornato. Nel programma rientrano anche le esercitazioni SARex/POLex 2025, dedicate a ricerca, soccorso e risposta a incidenti di inquinamento, che si svolgeranno al largo di Dubrovnik.

Ricadute per il settore ittico

Per il settore ittico, l’impatto di questa iniziativa va oltre il piano della sicurezza marittima. Un controllo più efficace significa maggiore garanzia di legalità per chi opera nel rispetto delle regole, valorizzazione delle risorse comuni e tutela di ecosistemi fragili come l’Adriatico. Rafforzare la collaborazione tra autorità costiere e agenzie europee vuol dire anche offrire un ambiente competitivo più equilibrato alle imprese della filiera.

La continuità delle operazioni marittime multifunzionali negli ultimi anni dimostra come la cooperazione sovranazionale non sia più una fase sperimentale, ma una modalità operativa consolidata che unisce interessi economici, ambientali e di sicurezza.

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API lancia l’allarme: il 75% del pesce in Italia è importato

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Il dato di API è chiaro: il 75% del pesce in Italia è importato, per un valore che raggiunge circa 4 miliardi di euro. Secondo Andrea Fabris, direttore dell’Associazione Piscicoltori Italiani (API), questa dipendenza evidenzia la necessità di rafforzare la produzione nazionale e di accrescere la consapevolezza dei consumatori riguardo all’origine del pesce.

Pur essendo l’Italia il maggiore consumatore europeo di prodotti ittici, API sottolinea che la produzione interna oggi non è sufficiente a ridurre il gap con le importazioni. Nel Friuli Venezia Giulia, regione leader nella troticoltura, la trota affumicata friulana emerge come eccellenza territoriale: a Udine, durante Friuli Doc, le degustazioni guidate sono andate sold out, segno che qualità e identità possono fare la differenza.

Fabris ricorda che la produzione di trote in Italia è di circa 30.000 tonnellate all’anno, cifra importante ma ancora limitata rispetto alle potenzialità del settore. Per API, è fondamentale che operatori e istituzioni promuovano iniziative che valorizzino prodotti locali, semplifichino la normativa e incentivino investimenti.

L’associazione sollecita anche i consumatori: leggere attentamente le etichette, chiedere informazioni sulla provenienza nei ristoranti, preferire prodotti locali quando possibile. Sono azioni che possono contribuire a modificare la struttura del mercato. Il fatto che il 75% del pesce in Italia è importato non è solo un numero: è un campanello d’allarme che coinvolge il sistema produttivo, la politica e le scelte quotidiane di chi acquista.

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Entra in vigore il Trattato sull’Alto Mare: l’appello della DSCC contro pratiche distruttive

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Un comunicato stampa firmato il 20 settembre dalla Deep Sea Conservation Coalition (DSCC) annuncia che il Trattato sull’Alto Mare ha raggiunto le ratifiche necessarie — 60 Stati — e che entrerà in vigore il 17 gennaio 2026. La DSCC accoglie l’avvenimento come un risultato storico ma richiama immediatamente all’azione concreta, per proteggere la biodiversità oltre le giurisdizioni nazionali.

Sian Owen

Sian Owen, direttrice esecutiva della DSCC, ha sottolineato che si tratta di “un traguardo senza precedenti per la protezione globale degli oceani” e che adesso “i governi devono trasformare l’ambizione in azione urgente, proteggendo anche le profondità marine, ecosistemi fragili che sostengono la vita sul pianeta”.

Bronwen Golder

Il comunicato richiama con forza i rischi legati alla pesca a strascico di profondità, che devasta i monti sottomarini trasformando habitat ricchi di biodiversità in distese di macerie. “La pesca commerciale a strascico riduce i seamounts, veri e propri hotspot di biodiversità, a cumuli di detriti. Gli Stati devono portare l’ambizione del Trattato all’interno delle organizzazioni regionali di gestione della pesca e proteggere integralmente questi ecosistemi dalle pratiche distruttive”, ha dichiarato Bronwen Golder, responsabile della campagna globale della DSCC sui seamounts.

Sofia Tsenikli

Un altro punto critico evidenziato dalla Coalizione è il deep-sea mining, un’industria emergente che, se autorizzata, potrebbe compromettere irreversibilmente gli ecosistemi degli abissi. Sofia Tsenikli, direttrice della campagna DSCC per una moratoria contro le miniere marine, ha ricordato che “il Trattato dimostra cosa si può ottenere quando i Paesi collaborano, ma questo progresso sarebbe vanificato se venisse dato il via all’estrazione mineraria in mare profondo”.

BBNJ Agreement

Il Trattato sull’Alto Mare, noto anche come BBNJ Agreement, rappresenta dunque un punto di svolta per la governance internazionale degli oceani. Per il settore ittico globale si prospettano conseguenze rilevanti: nuove aree marine protette, standard ambientali più severi, possibili limitazioni sulle tecniche di cattura più impattanti e obblighi crescenti di tracciabilità.

Il comunicato della DSCC lega l’entrata in vigore del Trattato sull’Alto Mare alla necessità di decisioni coraggiose e coerenti, capaci di trasformare un successo diplomatico in misure efficaci. Per la filiera ittica, il 2026 segnerà l’inizio di una fase in cui sostenibilità e competitività dovranno convivere in equilibrio.

 

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Il Convegno UNCI a Lipari ribadisce il ruolo cruciale dei CAT per le marinerie

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Innovare ed evolvere per salvaguardare un settore vitale e assicurare un futuro professionale alle nuove generazioni. L’equilibrio tra la sostenibilità delle risorse e la prosperità economica è oggi più che mai cruciale, e la risposta risiede nella capacità di abbracciare il cambiamento, adottare tecnologie all’avanguardia e ripensare i modelli tradizionali. L’obiettivo non è solo preservare un’antica tradizione, ma trasformarla in un motore di sviluppo sostenibile, offrendo opportunità concrete e prospettive di lavoro durature a chi desidera dedicare la propria vita al mare.

Se n’è discusso a Lipari, nel convegno promosso da Unci Sicilia e moderato dal direttore regionale Luisa Tosto, alla presenza del presidente nazionale Andrea Amico, del referente territoriale Unci, Carmelo Di Marco. Ed ancora, del presidente di Unci Agroalimentare, Gennaro Scognamiglio, della vicesegretaria nazionale di Confsal Pesca, Flaminia Mariani e del consulente Unci, Vincenzo D’Amico.

I lavori sono stati aperti dal Sindaco di Lipari, Riccardo Gullo, il quale ha annunciato che alle Eolie si stanno per definire interventi per 12 milioni di euro alle strutture portuali, utili anche per la categoria, e dal nuovo comandante di porto, T.V. Gianmaria Arangio.

“La parola d’ordine è evoluzione” – ha dichiarato il presidente di Unci Agroalimentare, Gennaro Scognamiglio, a sintesi di quanto emerso nella discussione alla quale hanno partecipato con passione e speranza diversi pescatori locali preoccupati dal problema delfini e vermocane. “In un’Europa – ha spiegato – in cui si sta cercando di porre molti paletti, la piccola pesca sarà sempre più tutelata con aiuti di maggiori dimensioni, quasi tutti finanziati attraverso il FEAMP. Ma occorre essere chiari. Il mestiere del pescatore è cambiato: non è più colui che va a prelevare una risorsa, ma è una figura che deve avere una coscienza, che deve conoscere il proprio mestiere, che deve sapere parlare di mare e di futuro. Ed è proprio qui che i Centri di Assistenza Tecnica (CAT), messi in campo grazie alla legge regionale 4/2023, assumono un’importanza strategica. Questi centri servono a educare i pescatori ad una nuova vita professionale, fungendo da sportello amico sempre pronto a dare risposte concrete e ad incoraggiare il lavoratore ad approcciarsi a nuove opportunità.”

Scognamiglio ha poi concluso: “Il pescatore deve innovarsi perché la pesca oggi ha un’evoluzione legata all’attività tecnologica, al sistema barca e alle attività collaterali. Si pensi alle potenzialità dell’ittiturismo, alla ricerca di motori elettrici e ibridi per non sentire più l’odore della nafta a bordo, alla tecnologia applicata ad una pesca sempre più selettiva e reale anche mediante l’impiego di droni ecc.”

In questo contesto di trasformazione, i CAT (come quello di Sant’Agata di Militello per la provincia di Messina) si configurano come il perno fondamentale per l’implementazione di tali innovazioni, supportando i pescatori nell’accesso ai finanziamenti, nella formazione e nell’adozione delle migliori pratiche.

Il futuro della pesca non è un destino predefinito, ma una traiettoria da plasmare. Attraverso l’innovazione audace, la sostenibilità rigorosa e un impegno congiunto di tutti gli attori del settore, supportati in modo proattivo e continuo dai Centri di Assistenza Tecnica, le sfide attuali si possono trasformare in opportunità, garantendo che le nostre acque continuino a essere una fonte di vita, di lavoro e di prosperità per le generazioni a venire.

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