Illustrato dal Commissario Caterino ed i Ministri Lollobrigida e Pichetto
Presentato il “Piano di intervento per contenere e contrastare il fenomeno della diffusione e della proliferazione della specie granchio blu”. Prevede la collaborazione di ISPRA, Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), CREA, Capitanerie di Porto ed Enti territoriali delle regioni più colpite dall’emergenza. Con un finanziamento complessivo di 10 milioni di euro – stanziati nel D.L. Agricoltura – per il biennio 2025-2026, il Piano intende preservare la biodiversità degli habitat colpiti, contrastare la proliferazione della specie invasiva, prevenire ulteriori danni economici e promuovere la ripresa delle attività di allevamento e pesca. Tra le principali misure, il contenimento e lo smaltimento del granchio blu, la protezione delle strutture di acquacoltura, la valorizzazione delle biomasse attraverso utilizzi alternativi e il sostegno economico alle imprese del settore.
Granchio blu, emergenza economica ed ambientale
Le risorse stanziate per la realizzazione del piano straordinario, si sommano agli oltre 44 milioni di euro previsti dal Masaf negli ultimi anni.
Secondo ISPRA, in Italia si contano oltre 3300 specie invasive, un numero molto importante, che ricorda l’importanza di tutelare la biodiversità marina, cioè la vita e la natura presente dei mari, elemento di benessere ambientale, di sviluppo economico e di attrattiva unica al mondo, senza trascurare l’emergenza economica per i gravissimi danni che il granchio blu e altre specie “aliene” hanno creato agli allevamenti di molluschi con danni che hanno raggiunti in alcuni casi il 100% delle produzioni”.
“Il piano contro il granchio blu – le parole del Commissario Caterino – è il frutto di un lavoro congiunto realizzato in collaborazione con ministeri, Regioni, pescatori e altri attori coinvolti, a cui va un sentito ringraziamento per il contributo fondamentale offerto. La strategia integrata prevede pesca selettiva, monitoraggio e protezione degli ecosistemi, con interventi concreti che vedranno protagoniste le flotte locali. Saranno finanziati cattura, smaltimento e installazione di recinzioni nelle aree idonee. L’obiettivo è unire competenze e risorse per ripristinare l’equilibrio ambientale e garantire il sostegno alle attività produttive”.
Il cambiamento climatico in atto minaccia di accompagnare alcune specie del Mare nostrum verso l’estinzione, trasformando il Mediterraneo in un ambiente sempre più caldo e tropicale. Tra quelle più a rischio c’è la Pinna nobilis, il mollusco bivalve più grande. A partire dal 2016, un’epidemia ha determinato una mortalità senza precedenti della specie, con un tracollo di oltre il 95% delle popolazioni e l’inserimento nella lista rossa IUCN in “pericolo critico” (critically endangered).
Del resto, Copernicus, il programma dell’Unione Europea per l’osservazione della Terra, ha già avvisato, con due mesi di anticipo sulla fine dell’anno, che il 2024 sarà il più caldo mai registrato.
Il surriscaldamento, problematica mondiale anche subacquea
E anche il mare ne paga le conseguenze. In agosto, la temperatura media superficiale del Mediterraneo ha stabilito un nuovo record assoluto toccando i 28,9 °C, con punte superiori ai 30 °C. L’enorme quantità di calore assorbita si trasferisce sotto forma di energia e umidità alla circolazione atmosferica ed è all’origine di eventi meteorologici estremi come quello di fine ottobre di Valencia, dove in sole tre ore e mezza è caduta una quantità di pioggia che di solito si attende in un intero anno.
Mediterraneo sempre più tropicale
La tropicalizzazione del Mediterraneo sta mettendo in pericolo la grande biodiversità del nostro hotspot, casa di tante specie uniche e introvabili in altre regioni del mondo. Il riscaldamento delle acque, infatti, ha portato all’ingresso di specie “aliene”, molte delle quali provenienti dal Mar Rosso e dall’Oceano Indiano attraverso il Canale di Suez, che stanno rapidamente occupando le nicchie ecologiche di quelle indigene. Negli ultimi anni anche sulle coste italiane sono cominciati gli avvistamenti di specie esotiche come il pesce scorpione, il pesce palla maculato e il pesce coniglio. A fare le spese del nuovo ecosistema che si sta delineando c’è anche Pinna nobilis, conosciuta anche come “nacchera di mare”, ovvero il mollusco bivalve più grande del Mediterraneo in virtù di una conchiglia che può superare il metro di altezza.
Il progetto europeo per salvare il mollusco bivalve più grande del Mediterraneo
Siamo prossimi all’estinzione di un mollusco che svolge un importante ruolo ecologico perché cresce nelle praterie di Posidonia oceanica, dando vita a uno degli ecosistemi più complessi e preziosi del Mediterraneo, offre sostegno e rifugio a tante altre specie di invertebrati, filtra fino a 3.000 litri d’acqua al giorno e aiuta a contrastare l’erosione dei fondali.
Per tentare di salvare la specie, alla fine del 2021 è stato avviato il progetto europeoLIFE PINNA che si svolge in quattro regioni italiane e una slovena ed è guidato da Arpal, l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente Ligure, avvalendosi di un partenariato di importanti enti pubblici e privati come l’Università di Genova, l’Università di Sassari, il Parco Nazionale dell’Asinara, la società Shoreline, l’Istituto Nazionale di Biologia della Slovenia e Triton Research.
I ricercatori monitorano i fondali, per individuare e proteggere gli ultimi esemplari sopravvissuti nei nostri mari e per mettere a punto le tecniche di allevamento in cattività. Hanno anche cominciato a trasferire alcuni giovani individui in specifiche aree pilota, dal Mar Ligure all’Alto Adriatico, per cominciare il ripopolamento della specie. In particolare, negli ultimi mesi, dopo accurate analisi genetiche che hanno escluso la presenza di microrganismi patogeni, alcuni esemplari di Pinna nobilis sono stati trapiantati dalla Laguna Veneta all’Area Marina Protetta di Capo Mortola, al confine tra Italia e Francia, e vengono costantemente monitorati. Nello stesso periodo, nell’Area Marina Protetta di Bergeggi (SV) i ricercatori hanno utilizzato delle pinne realizzate con la stampante 3D del Fablab (Centro Internazionale di Fisica Teorica di Miramare) per effettuare un test di valutazione dell’idrodinamismo dei fondali, nell’ottica di individuare i siti più protetti dalle correnti marine e dalle mareggiate. Nel laboratorio di Camogli, inoltre, i biologi stanno anche tentando la strada, mai realizzata prima per questa specie, della riproduzione in cattività che consentirebbe di allevare i molluschi prima di reintrodurli in natura. Per ora hanno ottenuto un primo grande successo, la fecondazione, portando le larve a uno sviluppo mai raggiunto in precedenza.
La genesi del progetto atto a salvaguardare un mollusco bivalve
Cambiamento climatico, un ulteriore ostacolo ai tentativi di ripopolamento
I cambiamenti climatici stanno complicando lo sviluppo del progetto, in quanto i ricercatori si devono confrontare con condizioni ambientali sempre più estreme. Le alte temperature del mare potrebbero avere un ruolo importante nella diffusione dell’epidemia e, la scorsa estate, l’esplosione della mucillagine nell’Adriatico ha ulteriormente rallentato il reperimento di nuovi esemplari. Il ritrovamento di individui superstiti di Pinna nobilis ancora in salute è essenziale per proteggerli e per studiare le loro capacità di adattamento a livello genetico ed ecologico. Così, per ottenere nuovi dati, sono stati coinvolti anche i comuni cittadini e le associazioni di subacquei con l’avvio di una campagna di Citizen Science denominata“Segnala la Pinna!”, che ha permesso di raccogliere su una piattaforma digitale creata ad hoc decine di segnalazioni di esemplari vivi in tutta Italia.
Il Progetto è stato affidato dalla Regione Veneto al Consorzio di Bonifica
Con l’approvazione del Disciplinare, e la conseguente nomina del Consorzio di Bonifica Delta del Po a soggetto attuatore, inizia la fase operativa degli interventi di vivificazione delle lagune del Delta del Po, nell’ambito dell’Accordo per la coesione perfezionato lo scorso anno tra Regione Veneto e Governo.
Uno scorcio della laguna
La descrizione del Progetto
Il progetto Fscri_RI_422, denominato “Interventi per la vivificazione degli ambiti lagunari del Delta del Po” può dunque spiccare il volo, ed andrà a valere sul Fondo Sviluppo e Coesione 2021-2027. L’imponente intervento di vivificazione, che terminerà nel 2031, ha lo scopo di riattivare gli scambi d’acqua con il mare: si tratta di un progetto di grande importanza e molto atteso dal mondo della pesca e dell’acquacoltura per garantire la produttività delle acque interne. Si è reso necessario per l’intero settore che si trova a fronteggiare non solo l’emergenza granchio blu ma anche gli effetti dei cambiamenti climatici che impattano in maniera significativa sulle lagune, tra alte temperature e modificazioni nella salinità delle acque.
La vivificazione
L’intervento di vivificazione riguarderà gli ambiti lagunari del Delta del Po, e nello specifico le lagune dei Comuni di Porto Tolle, Porto Viro e Rosolina in Provincia di Rovigo (Laguna di Caleri, Laguna di Marinetta, Vallona, Sacca del Canarin, Laguna di Barbamarco, Sacca di Scardovari). Consiste nell’escavo dei canali e nell’apertura delle bocche di comunicazione con il mare.
È noto che garantire la funzionalità dell’idrodinamica delle lagune del Delta del Po, riattivando gli scambi d’acqua diretti con il mare è fondamentale per ridurre le difficoltà di ricambio idrico e i pericolosi fenomeni di eutrofizzazione che, nel periodo estivo, possono dar luogo a crisi anossiche e morie delle specie ittiche presenti. L’intendimento è quello di salvaguardare gli ecosistemi deltizi, garantendo la produttività delle lagune e l’occupazione nei settori della pesca e della molluschicoltura, comparti strategici per l’economia veneta.
Tramonto lagunare
Cronoprogramma del progetto
Il cronoprogramma prevede la consegna del progetto esecutivo entro il 31 dicembre 2025, mentre la conclusione dell’intervento è prevista entro il 30 giugno 2031. Per tale ragione è stato concluso il Protocollo d’intesa lagune con i Consorzi e le Cooperative della Pesca Professionale e dell’Acquacoltura, che sarà firmato a marzo 2026 e grazie al quale soggetti pubblici e privati si impegneranno a promuovere lo svolgimento integrato e coordinato delle attività necessarie a una gestione sostenibile e razionale delle lagune del Delta del Po.
Sarà il dott. Enrico Caterino, già prefetto di Rovigo e Ravenna e Commissario straordinario al comune di Torre Annunziata, il Commissario designato per gestire l’emergenza legata al granchio blu. È stato presentato stamane, a Palazzo Chigi, dai ministri che lo hanno selezionato; Lollobrigida e Pichetto Fratin.
“Il granchio blu, da specie alloctona, sta diventando stanziale anche ne mediterraneo, complice l’innalzamento della temperatura delle acque”, le parole del titolare dell’Ambiente mentre il collega della compagine di Governo ha fatto riferimento “alla compromissione delle attività economiche e turistiche”.
Il numero uno di Via XX Settembre non ha nascosto che sia un’emergenza che viene da lontano; “già nell’87 vi era un documento della Fao che invitava a non sottovalutare la presenza del crostaceo, ora agiamo in emergenza ma dobbiamo imparare a prevedere, gli scenari cambiano sempre più velocemente”.
Il primo atto ostile verso il granchio blu risale al luglio 2023, quando diverse sigle di settore inviarono al Ministro una lettera per segnalare le difficoltà dell’ittica e dell’acquacoltura. Da allora, è stato predisposto un Piano Strategico che ha già erogato i primi dodici milioni di indennizzi e prevede di elargirne altri 15.
Quali sono i compiti del Commissario, e dove sarà ubicato? La sede sarà a Roma, nell’ambito del Masaf ma non si esclude di individuare altre sedi secondarie ed operative nei pressi dell’epicentro, parliamo quindi dell’alto Adriatico tra Ravenna e Chioggia, o in altre realtà territoriali. “Gli obiettivi che il dott. Caterino dovrà cercare di perseguire sono molteplici; occorre contrastare la proliferazione del pericoloso crostaceo, così come individuare strategie di valorizzazione commerciale, perché è molto apprezzato”, ha affermato ancora il Ministro Lollobrigida. Sullo sfondo il risultato più ambizioso, la realizzazione di un Piano di azione strategica più su larga scala per gestire al meglio l’ambiente marino.
Strage di pesci nella laguna di Orbetello priva d’ossigeno. Presenza di alghe che infastidiscono i turisti in Adriatico. Cozze a rischio in Puglia e problemi per la pesca. E attenzione ai batteri nei frutti di mare
Nell’estate italiana di fine luglio gli effetti dell’aumento delle temperature dei mari sono ben visibili.
Cominciamo dalle alghe: nell’Adriatico settentrionale, ma anche lungo le coste delle Marche o dell’Abruzzo, le chiazze di mare verdastre indicano un’alta presenza di cianobatteri carichi di pigmenti fotosintetizzanti. L’aumento della temperatura dell’acqua può incrementare fioriture anomale che si traducono in disagi per i bagnanti. Sebbene le acque italiane siano in buone condizioni di salute, le temperature sempre più alte – con diverse boe e sensori che nell’alto Adriatico hanno registrato temperature superficiali del mare anche di 30 gradi – sono collegate a una serie di effetti che possono incidere sul turismo, sull’economia locale, ma anche gli ecosistemi naturali e in certi casi la salute dell’uomo.
La situazione in Toscana
In Toscana, nella laguna di Orbetello si sta verificando una grave moria di pesci legata al surriscaldamento delle acque, alla decomposizione delle alghe e soprattutto all’anossia, la scarsità di ossigeno. Migliaia di carcasse, in questa zona di allevamenti ittici, sono emerse in superficie portando disagi e odori maleodoranti. Gli allevamenti locali parlano di gravi perdite anche se è ancora presto per stimare i danni per il numero di orate, spigole, anguille e altri pesci morti, una cifra che sembra però superiore ai tragici eventi di nove anni fa.
Uno dei problemi principali è che la situazione sta impattando anche sulle coste di Ansedonia, soprattutto tra Feniglia e Tagliata, dove si sentono odori maleodoranti e l’acqua sversata dalla laguna sta creando seri problemi al turismo: le spiagge sono semi deserte.
Cosa accade in Sardegna e Puglia
Anche altre lagune, come quelle della zona di Oristano, sono oggi in allerta rossa per la possibilità di una moria di pesci a causa delle temperature bollenti e del poco ossigeno. Discorso simile vale per la produzione delle cozze nell’area di Taranto in Puglia dove gli operatori temono di perdere l’80% del prodotto. il caldo record sta impattando su ritmi e cicli degli ecosistemi, dai granchi blu morti asfissiati ad Orbetello sino alle vongole sempre più rare, dalle alghe che proliferano a Goro in Emilia-Romagna passando persino, sul Po, ai pescatori costretti a usare “più carburante” per inseguire i pesci che si spingono sempre più al largo per evitare le temperature calde sotto costa.
Problemi per il turismo e la salute
Mentre in alcune zone d’Italia (soprattutto al largo però) sono stati segnalati casi di mucillagine, a livello visivo la presenza di alghe sta già impattando sul turismo di determinate località. Le cronache locali ricordano nelle ultime settimane casi di importanti fioriture di alghe che hanno poi interessato i litorali per esempio di Ancona, ma anche di Viareggio, della zona di Salerno, oppure di Ostia. Si tratta perlopiù di fenomeni e momenti passeggeri, ma che possono avere ricadute sulla presenza di turisti che lamentano disagi nella fruizione del mare.
Cosa accade ai frutti di mare?
Se nella maggior parte dei casi le alghe sono più che altro un disagio o un deterrente a fare il bagno – ma non comportano particolari rischi per la salute – a causa delle temperature elevate dei mari in futuro potrebbero però esserci rischi legati al consumo dei frutti di mare. Lo ha ricordato di recente l’Efsa, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, spiegando come a causa dell’aumento delle temperature rischia di crescere la presenza di batteri vibrioni, responsabili di gastroenteriti e infezioni, nei frutti di mare, soprattutto quelli presenti in acque salmastre.
Un altro campanello d’allarme collegato alla crisi del clima e all’aumento delle temperature a livello globale che, se quest’estate lungo le coste si stesse traducendo in disagi per i bagnanti, il prossimo autunno a causa dell’energia accumulata dai mari potrebbe trasformarsi come già avvenuto negli scorsi anni in fenomeni meteo sempre più intensi e pericolosi per le nostre vite.