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La transizione inevitabile. Dall’agonia della pesca al dominio dell’acquacoltura – Il mondo della pesca sta cambiando in peggio e anche rapidamente e non è più una previsione lontana, ma una realtà che stiamo già vivendo. Entro il 2030, il 62% del fabbisogno mondiale di pesce sarà coperto dall’acquacoltura, un salto enorme rispetto al 27% del 2000. E guardando al 2050, questa percentuale salirà ancor più. Questo significa che la pesca tradizionale, per come la conosciamo, sta scomparendo.
Non è difficile accorgersene. La produzione globale della pesca è in costante calo, le restrizioni aumentano, e gli stock ittici naturali sono sempre più sotto pressione. Non si tratta di fare allarmismo, ma di guardare in faccia la realtà. Gli scienziati lo dicono da tempo. La pesca non è più sostenibile, e le normative sono sempre più rigide per proteggere le risorse marine.
In questo scenario, le Organizzazioni di Produttori, le associazioni di categoria in generale del settore ittico hanno un ruolo fondamentale. Devono, con sforzi immani, ove possibile, tentare da un lato di sostenere la pesca nei pochi anni che restano, e dall’altro preparare il terreno per un futuro dominato dall’acquacoltura.
Chi ha già compreso questo passaggio sta cercando soluzioni per adattarsi, mentre chi continua a ignorarlo rischia di rimanere indietro e trovarsi in una crisi irreversibile.
L’acquacoltura non è più un settore di nicchia, ma il motore della produzione ittica del futuro. I grandi investitori lo sanno e stanno già puntando su tecnologie innovative per rendere gli allevamenti più efficienti e sostenibili. Dalla riduzione dell’impatto ambientale alla scelta di specie più adatte alla crescita controllata, tutto indica che questa transizione è inarrestabile.
Le organizzazioni di riferimento della pesca devono muoversi adesso. Serve una strategia chiara, investimenti mirati e collaborazioni con chi è già avanti in questo settore. L’obiettivo non è solo garantire la sopravvivenza economica delle comunità che oggi vivono di pesca, ma offrire loro un nuovo futuro in un settore in piena espansione. E qui arriva il punto cruciale. I paesi che stanno investendo nell’acquacoltura saranno in netto vantaggio rispetto a quelli che ancora esitano. L’Italia, ad esempio, è ancora troppo legata alla pesca tradizionale e fatica a considerare l’acquacoltura come una vera alternativa. Ma il tempo stringe e se non si cambia rotta, il rischio è quello di trovarsi fuori dai giochi, mentre altri paesi prenderanno il controllo del mercato. La Cina, per esempio, ad oggi detiene la maggiore produzione mondiale. Il quantitativo prodotto è pari a 24.6 milioni tons (69% della produzione mondiale).
Non è questione di scelte, ma di necessità. Il futuro è già scritto e chi saprà leggere i segnali del cambiamento è pronto a cogliere nuove opportunità, chi rimane fermo rischia di scomparire. La transizione è già iniziata e il tempo per prepararsi è adesso. Aspettare ancora potrebbe costare caro.
La transizione inevitabile. Dall’agonia della pesca al dominio dell’acquacoltura
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