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Mar Nero, disastro ecologico dopo la distruzione della diga ucraina – Per la prima volta, la devastazione ambientale che ha colpito il Mar Nero dopo la distruzione della diga di Kakhovka viene descritta in modo dettagliato. Un disastro silenzioso ma di proporzioni colossali, che rischiano di compromettere irrimediabilmente l’equilibrio di uno dei bacini più delicati e produttivi dal punto di vista ittico e biologico. Gli scienziati dell’Università di Stirling hanno acceso i riflettori su un’emergenza ecologica senza precedenti, grazie a una sofisticata analisi satellitare che mostra un pentito deterioramento della qualità delle acque nel settore nord-occidentale del Mar Nero.
L’esplosione che il 6 giugno 2023 ha spazzato via la diga e la centrale idroelettrica di Kakhovka, in Ucraina, ha riversato 14,4 miliardi di metri cubi d’acqua nel fiume Dnipro. Un’onda distruttrice che ha devastato intere comunità, lasciando almeno 58 vittime e 700.000 persone senza acqua potabile. Ma l’impatto più insidioso si sta consumando nel mare, invisibile agli occhi, ma drammaticamente documentato dalla tecnologia EO e dalle analisi dei campioni raccolti nelle acque costiere.
Secondo i ricercatori, la rottura della diga ha scatenato una massiccia onda di sedimenti, agenti inquinanti e batteri patogeni verso il Mar Nero. Le immagini satellitari raccontano di pennacchi torbidi che si estendono per chilometri e di imponenti fioriture algali che impoveriscono l’ossigeno nelle acque, trasformandole in zone morte per molte specie ittiche. Il rischio concreto è quello di un collasso di popolazioni acquatiche, comprese quelle che alimentano la pesca commerciale e artigianale dell’area.
Il peggioramento della qualità dell’acqua non è solo una minaccia per la biodiversità marina: rappresenta un pericolo imminente per l’intera catena alimentare e per l’economia ittica della regione. Secondo le previsioni degli scienziati, alcune specie potrebbero essere costrette a migrare, mentre altre rischiano l’estinzione, con un effetto domino che si rifletterà inevitabilmente sugli stock ittici e sulle attività di pesca che dipendono da queste risorse.
L’indagine dell’Università di Stirling, realizzata in collaborazione con enti accademici ucraini, rumeni e bulgari, e supportata dal progetto europeo Horizon 2020, conferma che l’osservazione satellitare è ormai uno strumento fondamentale per monitorare e comprendere le crisi ambientali anche in zona di conflitto. L’impossibilità di effettuare rilevamenti diretti ha reso essenziale il ricorso alla tecnologia per stimare l’estensione e la gravità del danno.
I primi dati raccolti parlano chiaro: il Mar Nero nord-occidentale sta affrontando una risposta biogeochimica senza precedenti. Aumentano le zone ipossiche, si accumulano sostanze tossiche nei sedimenti e si moltiplicano i segnali di stress sugli ecosistemi costieri. Pesci, molluschi e crostacei che rappresentano il cuore pulsante della pesca locale e internazionale sono ora esposti in un ambiente ostile e imprevedibile.
La devastazione in atto nel Mar Nero non è solo una questione regionale. È un monitoraggio potente su come i conflitti armati, oltre alle mietere vite umane, possono provocare danni profondi e permanenti agli ecosistemi marini. Per l’industria ittica e per chi vive di pesca e acquacoltura, le conseguenze di questa catastrofe potrebbero estendersi ben oltre i confini geografici del bacino nero, alterando flussi commerciali e disponibilità di risorse nel lungo termine.
Il futuro della pesca nel Mar Nero oggi è appeso a un filo. La speranza è che la scienza e le politiche internazionali riescano a mettere in campo soluzioni efficaci per limitare l’impatto e ristabilire l’equilibrio. Nel frattempo, la cronaca di questo disastro ambientale ci ricorda quanto fragile sia l’interconnessione tra uomo, guerra e natura. Un equilibrio che, una volta rotto, è difficile da ricostruire.
Mar Nero, disastro ecologico dopo la distruzione della diga ucraina
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