Golfo Aranci, incontro sulle opportunità di investimento

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Domani, nella splendida Golfo Aranci, daremo vita al convegno dal tema “Investire nel futuro blu”. Un momento importante per mettere insieme istituzioni, imprese e organizzazioni del settore e guardare al futuro, tutti insieme.

Sarà un dibattito sulle opportunità e le sfide del settore, che vede i nostri operatori nella costituzione di un sistema di collaborazione per Golfo Aranci e la Sardegna.

«Per noi questo è un importante appuntamento, un’ottima occasione di incontro con il comparto per sviluppare reti e connessioni anche fra le eccellenze locali – le parole del presidente di Agripesca, Mario Serpillo – aprendo nuove vie sul fronte di finanziamenti e bandi. E’ una eccellente opportunità per tutto il settoreanche perché il futuro dell’acquacoltura sarda passa inevitabilmente dalla sostenibilità e dall’innovazione tecnologica

Tanti gli argomenti sul tavolo: soprattutto, le opportunità di finanziamento disponibili per le attività di pesca, attraverso i bandi e il mercato. Grazie alla presenza di esperti sarà possibile discutere l’importanza di finanziamenti che supportano pratiche sostenibili, sia economicamente sia ecologicamente; si affronteranno temi legati all’innovazione e alle tecnologie verdi.

Ma sarà fondamentale per il comparto, affrontare tematiche legate alla promozione e alla formazione professionale.

A conclusione degli interventi tecnici, ci sarà un attesissimo show cooking, per celebrare anche in maniera tangibile l’eccellenza dei nostri mari e delle nostre marinerie, e dare un’idea di come potrebbe essere la messa in pratica delle attività di marketing e di utilizzo delle risorse primarie di cui, fortunatamente, disponiamo.

L’incontro rientra nel programma dell’ultima annualità del PNT.

Rassegna stampa:

Nuovo rapporto evidenzia progressi significativi in termini di sostenibilità e recupero di stock ittici fondamentali

Nuovo rapporto evidenzia progressi significativi in termini di sostenibilità e recupero di stock ittici fondamentali

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Pesca nel Mediterraneo

Pesca nel Mediterraneo: stato degli stock e ruolo dell’acquacoltura

Sebbene la sostenibilità della pesca nel Mediterraneo e nel Mar Nero continui a destare preoccupazione, la quota di stock sovrasfruttati è scesa ai livelli più bassi registrati negli ultimi dieci anni, in concomitanza con la rapida espansione dell’acquacoltura che diventa una importante fonte di alimenti acquatici nella regione.

È quanto emerge da un rapporto pubblicato oggi dalla Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (CGPM) della FAO.

Il rapporto SoMFi 2025: risultati e numeri chiave

Il rapporto Stato della pesca nel Mediterraneo e nel Mar Nero (SoMFi) 2025, elaborato con il contributo di oltre 700 esperti regionali, dimostra come una cooperazione solida e una gestione fondata su evidenze scientifiche stiano producendo risultati concreti.

Negli ultimi 10 anni la pressione della pesca si è ridotta della metà e i principali stock ittici mostrano chiari segnali di recupero. Parallelamente, l’acquacoltura marina e in acque salmastre rappresenta ormai più del 45 percento della produzione di alimenti acquatici, raggiungendo nel 2023 un volume di 940 000 tonnellate.

Nel loro insieme, pesca e acquacoltura, comprese le rispettive catene del valore, hanno prodotto 2,06 milioni di tonnellate di alimenti acquatici, generato un fatturato di 21,5 miliardi di USD e sostenuto 1,17 milioni di posti di lavoro.

Le dichiarazioni della FAO sulla “Trasformazione blu”

“Gli stock non si trovano ancora nelle condizioni ottimali che auspichiamo, ma stanno iniziando a riprendersi grazie a misure di gestione guidate dalla scienza e a un forte coinvolgimento delle parti interessate. Al tempo stesso, l’acquacoltura, se sviluppata in modo responsabile, sta dimostrando di poter contribuire a soddisfare la futura domanda di alimenti acquatici,” ha affermato Manuel Barange, Vicedirettore generale e Direttore della Divisione della pesca e dell’acquacoltura dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO). “Proseguire su questa traiettoria sarà essenziale per conservare gli ecosistemi, rafforzare i mezzi di sussistenza e garantire la sicurezza alimentare nella regione attraverso la cosiddetta Trasformazione blu.”

Il rapporto, il più completo mai realizzato finora, analizza 120 stock nel Mar Mediterraneo e nel Mar Nero. I dati disponibili indicano che, tra il 2013 e il 2023, la mortalità dovuta alla pesca è diminuita in modo significativo, mentre la biomassa delle specie commerciali esaminate è aumentata del 25 percento, grazie a una gestione della pesca più rigorosa e basata su dati scientifici.

Specie in recupero e specie ancora sotto pressione

Progressi tangibili si registrano per diverse specie commerciali di rilevanza strategica. Una marcata riduzione della mortalità da pesca è evidente, in particolare, per triglie e gamberi rossi giganti.

Le specie soggette a specifici piani di gestione mostrano un recupero superiore alla media: nel Mar Adriatico, la sogliola comune ha registrato dal 2019 una riduzione della mortalità da pesca del 42 percento e un incremento della biomassa del 64 percento; nel Mar Nero, il rombo ha evidenziato una diminuzione dell’86 percento della mortalità da pesca e un aumento della biomassa del 310 percento rispetto al 2013.

Al contrario, gli stock di sardina sono stati interessati a un sovrasfruttamento prolungato e continuano a mostrare segnali di riduzione della biomassa. Il nasello europeo, pur a fronte di una diminuzione del 38 percento della mortalità da pesca dal 2015, presenta soltanto segnali modesti di recupero della biomassa, con una forte variabilità tra le diverse sottoregioni.

Dieci anni di azione della CGPM e impegni regionali

Per quanto ancora insufficienti, tali miglioramenti sono il frutto di un decennio di azioni intensive intraprese dai membri della CGPM, che, dal 2013, hanno adottato 11 piani di gestione, istituito 11 zone di restrizione della pesca e avviato 18 programmi di ricerca e studi pilota a supporto dei processi decisionali.

“Questi progressi si fondano su iniziative regionali quali la Dichiarazione MedFish4Ever e la Dichiarazione di Sofia e riflettono il forte impegno dei singoli Paesi verso la sostenibilità,” ha dichiarato Milena Mihaylova, Capo dell’Unità per la Gestione della pesca nel Mediterraneo e nel Mar Nero presso la Commissione europea. “Tuttavia, il lavoro non può dirsi concluso: saranno necessarie una collaborazione ancora più stretta e un’azione costante per garantire sostenibilità nel lungo periodo, anche sul piano sociale ed economico.”

Stock sovrasfruttati, criticità e nuove sfide

Nonostante i miglioramenti raggiunti, il 52 percento degli stock analizzati nella regione risulta ancora sovrasfruttato. Si tratta di un netto progresso rispetto all’87 percento di dieci anni fa, ma il livello rimane troppo elevato per assicurare la buona salute degli ecosistemi marini.

Persistono, inoltre, altre criticità, tra cui la necessità di rafforzare il rispetto delle misure adottate, l’invecchiamento della forza lavoro, disuguaglianze nella redditività, nonché il problema degli scarti e delle catture accidentali di specie vulnerabili, in particolare nelle aree individuate come “zone calde” della regione.

L’acquacoltura in espansione e il suo ruolo nella regione

Per la prima volta, questa edizione del rapporto SoMFi offre un’analisi approfondita dell’acquacoltura nella regione, delineando un settore in rapida espansione. Considerando anche la produzione in acque dolci, l’acquacoltura genera 9,3 miliardi di USD e fornisce quasi 3 milioni di tonnellate di alimenti acquatici.

Da sola, l’acquacoltura marina e in acque salmastre vale 5,2 miliardi di USD e impiega direttamente 113 000 persone.

La produzione risulta fortemente concentrata su un numero limitato di specie: appena 11 specie rappresentano il 99 percento del totale, con orata (34,5 percento) e spigola (29,7 percento) in testa.

Analogamente, solo otto paesi producono il 95,5 percento degli alimenti acquatici allevati nella regione, con Türkiye (400 000 tonnellate), Egitto (147 000 tonnellate) e Grecia (139 000 tonnellate) tra i principali produttori.

Di conseguenza, l’acquacoltura si configura come la fonte di alimenti acquatici in più rapida crescita nella regione e come un pilastro sempre più importante per la sicurezza alimentare e i mezzi di sussistenza delle comunità costiere.

“In un contesto di continua espansione dell’acquacoltura, è fondamentale adottare un approccio coordinato, per garantire che il settore rimanga sostenibile, produttivo, competitivo e redditizio. Al tempo stesso, è necessario preservare i servizi ecosistemici, tutelare il benessere animale e promuovere uno sviluppo socioeconomico inclusivo nelle comunità costiere,” ha dichiarato Ahmet Seremed, Presidente del Consiglio dell’Unione centrale dei produttori di acquacoltura in Türkiye.

Impatti ambientali, governance e domanda futura di alimenti acquatici

Tuttavia, restano aperte sfide rilevanti: il settore dell’acquacoltura deve ridurre il suo impatto ambientale e garantire pratiche adeguate per la salute animale e la biosicurezza, rafforzare la propria accettabilità sociale, in un quadro normativo ancora complesso e frammentato.

Il rapporto avverte che, a fronte della crescita demografica e del cambiamento nei modelli di consumo, la domanda di alimenti acquatici nella regione è destinata ad aumentare. Si stima che, per garantire l’accesso universale ad alimenti acquatici sani e tenere il passo con le tendenze di consumo, la produzione dovrà crescere del 14-29 percento entro il 2050, in modo da consentire a tutti di mantenere gli attuali livelli di consumo pro capite nella regione.

“Gli alimenti acquatici, i pescatori e gli allevatori hanno sempre svolto un ruolo fondamentale nelle comunità costiere della regione,” ha sottolineato Miguel Bernal, Segretario esecutivo della CGPM. “Dobbiamo assicurarci che continuino a farlo anche in futuro, grazie alla cooperazione e a una gestione efficace.”

Pubblicato con cadenza biennale, il rapporto SoMFi si basa sui dati ufficiali forniti dai Membri della CGPM e sulle più recenti valutazioni scientifiche. Rappresenta uno strumento di riferimento essenziale per i decisori politici, che monitora lo stato degli stock ittici della regione, le prestazioni delle flotte e degli allevamenti, e i progressi compiuti verso gli obiettivi di sostenibilità.

Focus Italia: pesca

L’Italia rimane il secondo maggior produttore nel mar Mediterraneo e nel mar Nero con 105.400 tonnellate nel 2023 (9,4 percento del totale), sebbene gli sbarchi siano progressivamente diminuiti fino a raggiungere il minimo storico nel 2023, dopo un picco registrato a metà degli anni ’80.

Tra il periodo 2020–2021 e 2022–2023, le catture sono diminuite di 1.700 tonnellate (9 percento).

Nel mar Mediterraneo, l’Italia rimane il principale paese produttore, con una media di sbarchi pari a 112 455 tonnellate nel periodo 2022–2023, equivalenti al 17,7 percento del totale.

Focus Italia: acquacoltura

L’Italia si colloca al quarto posto tra i produttori di acquacoltura in acque marine e salmastre nel mar Mediterraneo e nel mar Nero, con una produzione stimata in circa 92 400 tonnellate nel 2023, pari al 9,9 percento del totale.

La produzione è fortemente concentrata sui molluschi, in particolare il mitilo mediterraneo e la vongola filippina, che insieme rappresentano oltre l’85 percento della produzione complessiva italiana in acque marine e salmastre.

L’Italia resta, inoltre, il principale produttore di molluschi nel mar Mediterraneo e nel mar Nero.

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Italian Aquaculture Shifts Toward Responsible Farming

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Responsible aquaculture in Italy has undergone a silent transformation in recent years. It is not an overnight revolution, but a gradual shift driven by a market that increasingly demands transparency, measurable commitments, and a new way of communicating how fish is farmed. For many producers, this transition is no longer optional: it has become essential to remain competitive.

Large-scale retail, especially in Northern Europe, has raised the bar. Requests for traceable data, environmental indicators and independent verification are now more frequent, and Italian buyers are moving in the same direction. Across the supply chain, audits have become more rigorous: suppliers must provide precise documentation, while consumers and restaurants want to know exactly where their seafood comes from.

In this context, several companies have chosen to adopt internationally recognized standards to certify their performance. Among them is the Aquaculture Stewardship Council (ASC) certification, used by various Italian producers as a tool to demonstrate product quality — from the production site to the chain of custody. It is not a label to showcase, but a method requiring continuous commitment, constant monitoring and often costly decisions.

Producers who have embraced this path describe very tangible changes: improved water-quality control systems, updated protocols to reduce waste and mortality, and more attention to animal welfare — a topic considered secondary until a few years ago. In some sites, digital technologies now track the entire farming cycle: data that once lived only in a notebook now integrate with software that retailers use to finalize orders.

However, the transition is not without challenges. Many farmers operate with narrow margins and cannot always sustain large investments. Long authorisation procedures, regional differences affecting timelines and strategic choices, and a fragmented production structure all make it harder to achieve the economies of scale already reached by other countries.

Yet despite these obstacles, progress is visible. Companies investing in sustainability report stronger relationships with clients, better positioning and easier access to markets that once seemed out of reach. In coastal areas, responsible aquaculture has also become an economic anchor that ensures job continuity and fosters a more constructive dialogue with local communities, traditionally wary of farming sites.

The sector now stands at a crossroads: continue with a traditional modelfocused mainly on price, or move toward a more advanced approach that combinesquality, transparency and technologies that improve productivity. The second path — although more demanding — is already bringing tangible results to the most forward-looking companies.

Italy has everything needed to consolidate its leadership in the Mediterranean: technical expertise, biodiversity, a strong production tradition and increasingly aware consumers. The next step is to transform sustainability into an industrial pillar, not just a label on packaging. Those able to make this leap will be stronger and more credible in the markets of the future.

For more insights on the future of Italian fisheries and the blue economy, follow ongoing coverage and analysis on Pesceinrete.

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Acquacoltura responsabile in Italia: opportunità e sfide per una filiera sempre più competitiva

Acquacoltura responsabile in Italia: opportunità e sfide per una filiera sempre più competitiva

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Negli ultimi anni l’acquacoltura italiana ha iniziato a cambiare pelle. Non si tratta di una rivoluzione improvvisa, ma di un processo graduale che sta coinvolgendo aziende grandi e piccole, spinte da un mercato che oggi chiede trasparenza, impegni concreti e un modo diverso di raccontare come si alleva il pesce. Per molti operatori del settore, questa transizione non è più un’opzione: è diventata la condizione necessaria per restare competitivi.

La grande distribuzione, soprattutto quella del Nord Europa, ha alzato l’asticella. Le richieste di dati tracciabili, indicatori ambientali e verifiche indipendenti si sono fatte più frequenti, e anche i buyer italiani stanno seguendo questa direzione. Chi lavora nella filiera lo vede ogni giorno: gli audit sono più rigorosi, i fornitori devono rispondere con documenti precisi, mentre consumatori e ristoratori vogliono sapere esattamente da dove arriva ciò che portano a tavola.

In questo contesto, alcune aziende hanno scelto di adottare standard riconosciuti a livello internazionale per certificare il proprio percorso. Tra questi figura anche quello dell’Aquaculture Stewardship Council, utilizzato da diverse realtà italiane come strumento per dimostrare la qualità del loro lavoro, dal sito produttivo fino alla catena di custodia. Non è un marchio da esibire, ma un metodo che richiede impegno continuo, monitoraggi costanti e scelte spesso costose.

acquacoltura responsabile in ItaliaChi ha intrapreso questa strada racconta cambiamenti molto concreti: sistemi di controllo della qualità dell’acqua più precisi, protocolli aggiornati per ridurre sprechi e mortalità, e una maggiore attenzione al benessere animale, tema che fino a pochi anni fa era considerato secondario. In alcuni impianti sono state introdotte tecnologie digitali per seguire l’intero ciclo di allevamento: dati che fino a ieri restavano sul quaderno dell’azienda oggi dialogano con software che la GDO consulta per finalizzare gli ordini.

Accanto ai progressi, emergono però difficoltà altrettanto reali. Molti allevatori lavorano con margini ridotti e non sempre riescono a sostenere investimenti importanti. A complicare il quadro ci sono iter autorizzativi lunghi, differenze territoriali che incidono sui tempi e sulle scelte strategiche, e una struttura produttiva frammentata che rende più difficile raggiungere quelle economie di scala che altri Paesi hanno già ottenuto.

Eppure, nonostante queste criticità, qualcosa si sta muovendo. Chi investe in sostenibilità racconta di rapporti più solidi con i clienti, di un posizionamento migliore e della possibilità di accedere a mercati che fino a poco tempo fa sembravano fuori portata. Nei territori, soprattutto nelle zone costiere, si vede anche un altro effetto: l’acquacoltura responsabile diventa un presidio economico che dà continuità al lavoro e riesce a dialogare meglio con le comunità locali, spesso diffidenti verso gli impianti.

Il settore si trova quindi davanti a un bivio. Continuare con un modello tradizionale, facendo leva principalmente sul prezzo, o investire in un approccio più evoluto che unisce qualità, trasparenza e tecnologie che permettono di lavorare meglio. La sensazione è che la seconda strada, pur più impegnativa, stia già dando risultati tangibili alle realtà più lungimiranti.

L’Italia ha tutte le carte in regola per consolidare la propria leadership mediterranea: competenze tecniche, biodiversità, una tradizione produttiva riconosciuta e un consumatore sempre più attento. Il passo successivo sarà trasformare la sostenibilità in un pilastro industriale, non solo un’etichetta da apporre sul packaging. Chi riuscirà a compiere questo salto potrà presidiare i mercati del futuro con maggiore forza e credibilità.

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Parliamo di Mare a Venezia: focus sul lavoro marittimo

Parliamo di Mare a Venezia: focus sul lavoro marittimo

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Dopo la tappa inaugurale di Pozzallo, dedicata a pesca e acquacoltura, il ciclo di incontri “Parliamo di Mare”, promosso dal Dipartimento per le Politiche del Mare della Presidenza del Consiglio, prosegue a Venezia con un approfondimento sul lavoro marittimo e sulle nuove competenze richieste dalla trasformazione della blue economy.
L’evento si terrà domani, sabato 29 novembre, all’Hotel Monaco & Grand Canal, dalle 9.30 alle 13, con la partecipazione del ministro per la Protezione civile e le Politiche del Mare Nello Musumeci e della ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali Marina Elvira Calderone, collegata in videoconferenza.

La scelta di Venezia – città simbolo della marineria italiana – anticipa il taglio tematico della giornata: un confronto tra istituzioni, imprese, associazioni di categoria, formazione accademica e ricerca sul futuro delle professioni del mare.

Innovazione, interoperabilità e digitalizzazione

La prima parte dell’incontro sarà dedicata all’impatto della trasformazione digitale sul lavoro marittimo.
Si affronteranno temi come l’interoperabilità dei sistemi, la semplificazione amministrativa, l’adozione di strumenti digitali per rendere più efficienti i processi di bordo e di terra, e la necessità di armonizzare le procedure con gli standard internazionali.

La modernizzazione dei flussi informativi tra imprese, autorità marittime e formazione è considerata uno dei passaggi chiave per migliorare produttività, sicurezza operativa e competitività dell’intero comparto.

Formazione e nuove competenze per l’economia del mare

La seconda sessione sarà dedicata all’evoluzione delle competenze richieste alle professioni del mare.
Accademie, centri di formazione e rappresentanti dell’armamento discuteranno di ricambio generazionale, fabbisogni professionali, qualificazioni tecniche e nuovi profili che emergono con la transizione sostenibile e con la crescente digitalizzazione delle flotte.

In questo contesto, la collaborazione tra mondo dell’istruzione, imprese e pubblica amministrazione viene indicata come condizione indispensabile per allineare l’Italia alle evoluzioni del mercato marittimo europeo e globale.

Un ciclo che unisce territori e filiere

Con Venezia, “Parliamo di Mare” consolida la sua identità di piattaforma nazionale di confronto.
Il ciclo si sta configurando come un percorso che attraversa le principali città marittime italiane per affrontare i diversi pilastri dell’economia del mare: dalla pesca alla portualità, dalla formazione alla digitalizzazione, dalla governance mediterranea ai servizi marittimi.

L’obiettivo è costruire una visione condivisa tra istituzioni, ricerca e imprese, in un settore in cui innovazione tecnologica, sostenibilità e lavoro qualificato rappresentano ormai elementi indissociabili.

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Fiscalità blu: come le ostriche possono insegnare all’Italia una nuova idea di sostenibilità e competitività

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Nel dibattito sulla transizione ecologica, l’attenzione si concentra spesso su tecnologie e investimenti. Molto più raramente si guarda alla leva fiscale come strumento di sostenibilità. Eppure, secondo uno studio di Benedetta Coluccia e Pasquale Sasso per l’Osservatorio Agrifood Tech & Innovation dell’Università Digitale Pegaso, una parte della svolta verde potrebbe nascere proprio lì: nelle regole che governano le imposte.
L’idea è tanto semplice quanto dirompente.
E se le imposte non fossero soltanto un meccanismo per finanziare la spesa pubblica, ma un mezzo per orientare le scelte economiche e sociali? È l’approccio della fiscalità mission-oriented, ispirato alle teorie dell’economista Mariana Mazzucato, secondo cui gli Stati possono usare il fisco per perseguire obiettivi collettivi. Coluccia e Sasso portano questa prospettiva nel campo della Blue Economy, dimostrando che anche la leva fiscale può stimolare innovazione e pratiche sostenibili, se pensata come parte di una strategia di sviluppo e non solo come vincolo contabile.

Un caso esemplare: il potenziale nascosto delle ostriche

Per spiegare la loro visione, i ricercatori scelgono un esempio inatteso: l’ostricoltura italiana. Un comparto piccolo nei numeri, ma ricchissimo di significato. Le ostriche non sono soltanto un alimento pregiato. Ogni esemplare filtra litri d’acqua ogni ora, depura i fondali, riduce l’inquinamento e favorisce la biodiversità marina. Ogni allevamento, di fatto, rappresenta una piccola infrastruttura ecologica vivente.

Eppure il fisco italiano non riconosce questo valore. Le ostriche sono tassate con un’IVA al 22 per cento, la stessa dei beni di lusso. In Francia, Portogallo o Paesi Bassi l’aliquota oscilla tra il 6 e il 10 per cento. La differenza non è banale: in Italia si producono circa 300 tonnellate l’anno, contro le oltre 90 mila della Francia. Il risultato è che una filiera potenzialmente strategica per l’ambiente e per l’economia costiera rimane ai margini.

Sebbene ancora limitata nei volumi di produzione, l’ostricoltura italiana rappresenta una piccola eccellenza del Made in Italy. Le produzioni si distinguono per qualità, tracciabilità e valore gastronomico, con un valore unitario tra i più alti al mondo, calcolato in rapporto tra prezzo medio di mercato e quantità prodotta. Un primato che riflette l’elevato posizionamento qualitativo del prodotto e la reputazione costruita attorno alle coste italiane, dove la purezza delle acque e le tecniche di allevamento sostenibili fanno dell’ostrica un simbolo di eccellenza agroalimentare.

Nonostante ciò, il sistema fiscale non riconosce né l’impatto ambientale positivo né il valore economico e identitario di questo prodotto. Secondo lo studio, una riduzione dell’IVA – prevista dalla Direttiva europea 2022/542 per i prodotti con valore ambientale – non rappresenterebbe un privilegio, ma un atto di coerenza. Significherebbe riconoscere fiscalmente il contributo positivo dell’ostricoltura alla qualità delle acque e alla salute degli ecosistemi. E trasformare una tassa in uno strumento di politica industriale, capace di premiare chi genera valore collettivo.

Verso una fiscalità blu

La proposta di Coluccia e Sasso non si limita al caso delle ostriche. Indica un nuovo modo di pensare la fiscalità: un sistema capace di integrare economia e ambiente, premiando comportamenti virtuosi e disincentivando pratiche dannose. Una fiscalità “blu”, in grado di accompagnare la transizione ecologica senza scaricarne i costi sui cittadini o sulle imprese più fragili.

Nel loro lavoro, i ricercatori immaginano anche la creazione di un Osservatorio nazionale sulla fiscalità e la Blue Economy, per raccogliere dati, valutare l’impatto delle politiche fiscali e guidare le scelte di governo. Accanto a questo, propongono l’istituzione dell’OysterTech – Blue Resilience Lab, un laboratorio di innovazione dedicato allo sviluppo tecnologico dell’acquacoltura sostenibile. Due strumenti che, insieme, potrebbero aiutare l’Italia a superare la frammentazione delle politiche ambientali e a costruire una governance più coerente della sostenibilità.
Dietro la proposta c’è una convinzione precisa: la fiscalità può essere una leva di competitività, non solo di correzione. Un sistema di imposte orientato a obiettivi ambientali può generare valore pubblico, stimolare ricerca e investimenti, creare occupazione qualificata e attrarre capitale umano. In questo senso, il fisco diventa parte integrante della strategia industriale del Paese.

Dal mare un modello per la crescita sostenibile

Il caso delle ostriche non è dunque un episodio isolato, ma il simbolo di un possibile cambiamento di paradigma. L’Italia, con i suoi ottomila chilometri di coste, un patrimonio marino tra i più ricchi d’Europa e una tradizione di eccellenze produttive, ha tutte le condizioni per guidare la svolta blu del continente. Ciò che serve è una visione che connetta fiscalità, innovazione e sviluppo territoriale.
Nel mondo post-Green Deal, la sostenibilità non è più una voce di spesa, ma una scelta economica. La fiscalità blu rappresenta una delle chiavi per tradurre questa idea in pratica. Riconoscere fiscalmente il valore dei servizi ecosistemici significa rendere la sostenibilità un vantaggio competitivo e non un onere.

Come scrivono Coluccia e Sasso, “la fiscalità non è un vincolo, ma una leva di cambiamento”. Una leva che può spingere il Paese verso un modello di crescita più intelligente, più giusto e più coerente con i tempi. Forse il futuro della Blue Economy italiana parte proprio da qui, da un’ostrica che da lusso diventa simbolo di rigenerazione.

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