Golfo Aranci, incontro sulle opportunità di investimento

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Domani, nella splendida Golfo Aranci, daremo vita al convegno dal tema “Investire nel futuro blu”. Un momento importante per mettere insieme istituzioni, imprese e organizzazioni del settore e guardare al futuro, tutti insieme.

Sarà un dibattito sulle opportunità e le sfide del settore, che vede i nostri operatori nella costituzione di un sistema di collaborazione per Golfo Aranci e la Sardegna.

«Per noi questo è un importante appuntamento, un’ottima occasione di incontro con il comparto per sviluppare reti e connessioni anche fra le eccellenze locali – le parole del presidente di Agripesca, Mario Serpillo – aprendo nuove vie sul fronte di finanziamenti e bandi. E’ una eccellente opportunità per tutto il settoreanche perché il futuro dell’acquacoltura sarda passa inevitabilmente dalla sostenibilità e dall’innovazione tecnologica

Tanti gli argomenti sul tavolo: soprattutto, le opportunità di finanziamento disponibili per le attività di pesca, attraverso i bandi e il mercato. Grazie alla presenza di esperti sarà possibile discutere l’importanza di finanziamenti che supportano pratiche sostenibili, sia economicamente sia ecologicamente; si affronteranno temi legati all’innovazione e alle tecnologie verdi.

Ma sarà fondamentale per il comparto, affrontare tematiche legate alla promozione e alla formazione professionale.

A conclusione degli interventi tecnici, ci sarà un attesissimo show cooking, per celebrare anche in maniera tangibile l’eccellenza dei nostri mari e delle nostre marinerie, e dare un’idea di come potrebbe essere la messa in pratica delle attività di marketing e di utilizzo delle risorse primarie di cui, fortunatamente, disponiamo.

L’incontro rientra nel programma dell’ultima annualità del PNT.

Rassegna stampa:

Climate Resilience: Why EU Conclusions Matter for the Seafood Industry

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The conclusions of the EU Council on climate resilience are not staying on paper: they are strongly confirmed by data and real-world cases. A recent Planet Tracker report, supported by scientific evidence referenced by the IPCC, shows how climate change is already becoming a financial risk for fisheries, aquaculture and seafood processing. Climate change is no longer only an environmental issue; it is increasingly a concrete economic and financial challenge for the global seafood industry, as demonstrated by data, case studies and scenario-based projections.

According to Planet Tracker, under a high-emissions scenario, climate change could cost the global fisheries sector up to $15 billion by 2050—a figure the authors describe as conservative, built on IPCC data and representing the lower end of a potentially larger impact. Extreme weather is already causing lost fishing days, damaged gear and operational disruptions, while slower structural pressures—ocean warming, deoxygenation, acidification and sea level rise—are reshaping marine ecosystems in ways that reinforce one another. The report also highlights how shifts in species distribution are affecting seafood prices: reduced catches and quota revisions translate into rising costs absorbed by companies, with ripple effects across processing, distribution and consumption. Even under low-emissions scenarios, more than half of transboundary stocks could move from exclusive economic zones to the high seas by 2050.

Planet Tracker’s estimate may still understate the real exposure. Gorjan Nikolik (Rabobank) argues that for an industry generating over $500 billion in annual value, a $15 billion loss seems relatively limited; other analyses, including from the University of Cambridge, point to annual losses between $17 and $41 billion. The report’s examples underline that value is already being lost: declining cod and flounder stocks in warming waters, the Baltic Sea crisis linked to deoxygenation, and rising costs for oyster production in the north-western Pacific driven by acidification. Aquaculture is also impacted as warmer waters increase stress, support the spread of parasites and disease, and make mass mortality events more frequent. Climate variability such as El Niño is already affecting fishmeal and fish oil production in key regions like Peru, driving up feed costs and putting pressure on the entire value chain.

The report asks a decisive question: financially, is it better to maintain the status quo or invest now in adaptation? Planet Tracker’s answer is clear—long-term resilience does not come from delaying decisions, but from building adaptive capacity today. Climate change is turning physical risks into financial risks: ports, facilities, concessions and business models built on outdated environmental conditions may lose value. For the seafood sector, the message is direct: adaptation is not optional—it is a requirement for the economic stability of the value chain in the decades ahead.

For more insights on the future of Italian fisheries and the blue economy, follow ongoing coverage and analysis on Pesceinrete.

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L’Europa accelera su clima e ambiente

L’Europa accelera su clima e ambiente

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La resilienza climatica e l’economia circolare non sono più parole chiave da documenti programmatici. Con le nuove conclusioni approvate dal Consiglio dell’Unione europea su “L’ambiente in Europa 2030”, diventano un orientamento politico netto, destinato a influenzare in modo concreto i settori produttivi più esposti ai cambiamenti ambientali. Tra questi, anche se non citata direttamente, c’è la filiera ittica.

Il Consiglio riconosce apertamente che i progressi verso gli obiettivi ambientali e climatici fissati dall’8° Programma d’azione per l’ambiente non sono sufficienti. Le analisi dell’Agenzia europea dell’ambiente parlano chiaro: adattamento climatico ed economia circolare procedono troppo lentamente rispetto alla velocità con cui cambiano gli ecosistemi e le condizioni produttive. Da qui la richiesta di un’accelerazione decisa.

Per il settore ittico europeo, questo passaggio ha un peso specifico rilevante. Pesca e acquacoltura operano infatti in un contesto in cui gli effetti del cambiamento climatico non sono più una proiezione futura, ma una variabile quotidiana. Spostamento degli stock, riscaldamento delle acque, eventi meteorologici estremi, erosione costiera e pressione sugli ecosistemi marini stanno già modificando assetti produttivi e catene di approvvigionamento.

Quando il Consiglio chiede di integrare la resilienza climatica in tutte le politiche, introduce un concetto chiave: la capacità di adattamento non può più essere un intervento a posteriori, ma deve entrare nella progettazione stessa dei sistemi produttivi. Nel caso della filiera ittica significa ripensare infrastrutture, modelli di gestione, pianificazione degli investimenti e politiche di supporto pubblico.

Il richiamo allo stato critico della biodiversità rafforza ulteriormente questo quadro. Per il comparto ittico, la salute degli ecosistemi marini non è una variabile esterna, ma il presupposto stesso della continuità economica. Habitat degradati e stock in difficoltà si traducono inevitabilmente in maggiore incertezza per imprese, lavoratori e territori.

Accanto alla resilienza climatica, l’economia circolare emerge come secondo pilastro strategico. Riduzione degli scarti, valorizzazione dei sottoprodotti, riciclo dei materiali, durabilità dei prodotti e packaging sostenibile non sono più scelte reputazionali, ma elementi sempre più centrali nei quadri normativi europei.

Il Consiglio sottolinea inoltre la necessità di rafforzare il mercato delle materie prime secondarie e di creare condizioni di parità tra modelli economici lineari e circolari. Per la filiera ittica questo significa nuove opportunità di innovazione, ma anche una crescente attenzione ai costi di adeguamento e alla competitività, soprattutto nel confronto con produzioni extra-UE.

Il messaggio politico è chiaro: sostenibilità e resilienza non saranno più elementi accessori, ma fattori strutturali per l’accesso ai mercati, ai finanziamenti e alle politiche di sostegno. Il Consiglio avverte che i costi dell’inazione rischiano di superare di gran lunga quelli di una transizione efficace.

Ma c’è un aspetto che spesso resta sullo sfondo: la resilienza non è solo una priorità politica, è una variabile economica. Secondo analisi internazionali, il mancato adattamento al cambiamento climatico sta già erodendo valore lungo la filiera ittica e potrebbe trasformarsi in un conto miliardario nei prossimi decenni.

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Il conto del clima arriva anche sull’ittico: non adattarsi costerà miliardi

Il conto del clima arriva anche sull’ittico: non adattarsi costerà miliardi

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Le conclusioni del Consiglio UE sulla resilienza climatica non restano sulla carta: trovano una conferma netta nei numeri e nei casi reali. Un recente report di Planet Tracker, insieme alle evidenze scientifiche richiamate dall’IPCC, mostra come il cambiamento climatico stia già diventando un rischio finanziario concreto per pesca, acquacoltura e trasformazione.

Il cambiamento climatico non è più soltanto una questione ambientale. Sta diventando, sempre più chiaramente, un problema economico e finanziario per l’industria ittica globale. A dirlo non sono opinioni, ma dati, casi di studio e proiezioni basate su scenari reali.

Secondo Planet Tracker, in uno scenario ad alte emissioni il cambiamento climatico potrebbe costare al settore ittico mondiale fino a 15 miliardi di dollari entro il 2050. Una stima definita dagli stessi autori come prudenziale, costruita su dati IPCC e che rappresenta il limite inferiore di un impatto potenzialmente molto più ampio.

Le condizioni meteorologiche estreme stanno già causando la perdita di giornate di pesca, danni alle attrezzature, interruzioni delle attività e migrazioni forzate delle specie. A questi effetti immediati si sommano processi più lenti ma strutturali: riscaldamento delle acque, deossigenazione, acidificazione degli oceani e innalzamento del livello del mare. Fenomeni che non agiscono isolatamente, ma si rafforzano a vicenda.

Il rapporto evidenzia come i cambiamenti nella distribuzione delle specie stiano incidendo anche sui prezzi dei prodotti ittici. La riduzione delle catture e la revisione delle quote spingono le aziende ad assorbire costi crescenti, con effetti a cascata su trasformazione, distribuzione e consumo. Anche in scenari a basse emissioni, oltre la metà degli stock transzonali potrebbe spostarsi dalle zone economiche esclusive all’alto mare entro il 2050.

Secondo Gorjan Nikolik, analista senior di Rabobank, l’impatto reale del cambiamento climatico potrebbe essere persino sottostimato. Per un settore che genera oltre 500 miliardi di dollari di valore annuo, una perdita stimata di 15 miliardi appare contenuta. Altre analisi, come quelle dell’Università di Cambridge, parlano di perdite annuali comprese tra 17 e 41 miliardi di dollari.

I casi concreti citati nel report mostrano come il danno sia già in corso. Il crollo degli stock di merluzzo e platessa in acque sempre più calde, la crisi del Mar Baltico legata alla deossigenazione, l’aumento dei costi operativi per la produzione di ostriche nel Pacifico nord-occidentale a causa dell’acidificazione sono esempi di valore economico già perso.

Anche l’acquacoltura è coinvolta. Il riscaldamento delle acque aumenta lo stress dei pesci, favorisce la diffusione di parassiti e malattie e rende più frequenti eventi di mortalità di massa. Fenomeni climatici come El Niño stanno già incidendo sulla produzione di farina e olio di pesce in aree chiave come il Perù, con effetti diretti sui costi dei mangimi e sull’intera catena del valore.

Il report pone una domanda cruciale: dal punto di vista finanziario, conviene davvero mantenere lo status quo o investire oggi nell’adattamento? La risposta, secondo Planet Tracker, è netta. La resilienza economica di lungo periodo non risiede nel rinviare le decisioni, ma nello sviluppare capacità di adattamento ora.

Il cambiamento climatico sta trasformando rischi fisici in rischi finanziari. Porti, impianti, concessioni e modelli di business costruiti su equilibri ambientali ormai superati rischiano di perdere valore. Ignorare questi segnali non significa evitare i costi, ma spostarli più avanti, amplificandoli.

Per il settore ittico, il messaggio è diretto: l’adattamento non è una scelta opzionale. È una condizione necessaria per la tenuta economica della filiera nei prossimi decenni.

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Deroghe alla pesca nei giorni festivi

Deroghe alla pesca nei giorni festivi

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Il provvedimento che consente l’attività di pesca il sabato, la domenica e nelle giornate di Natale e Santo Stefano è stato oggetto di una contestazione formale da parte di alcune organizzazioni di categoria e sindacali, che chiamano in causa Unci Agroalimentare e Confsal Pesca sul terreno della legittimità, della rappresentatività e della trasparenza.

In risposta, Bruno Mariani, segretario nazionale Confsal Pesca, rivendica la piena conformità della deroga alla normativa e alla prassi amministrativa, richiama la rappresentatività delle sigle coinvolte, sottolinea il peso economico e sociale dell’attività di pesca nelle festività e critica quelle che definisce “posizioni burocratiche”.

In questo quadro, approfondiamo con Bruno Mariani i punti più discussi del provvedimento: basi normative, rappresentanza, ricadute su lavoro e filiera, gestione dello sforzo di pesca e ruolo della concertazione nelle future decisioni sulle deroghe.

Su quali basi normative e procedurali si fonda, a suo avviso, la legittimità della deroga che consente la pesca il sabato, la domenica e nelle festività natalizie?

Su richiesta delle associazioni di categoria la Direzione generale della Pesca del Ministero può emanare circolari e decreti che autorizzano le deroghe al fermo. Per fare ciò si basano su esigenze economiche e produttive, rispettando le procedure ministeriali. Pertanto la deroga è perfettamente legittima, essendo conforme alla prassi amministrativa.

In che modo può documentare concretamente la rappresentatività di Unci Agroalimentare e Confsal Pesca nel settore ittico rispetto alle accuse mosse dalle organizzazioni che contestano il provvedimento?

Per quanto riguarda la nota sulla rappresentatività sollevata da alcune organizzazioni datoriali e sindacali facciamo presente che la Confsal è presente al CNEL con due rappresentanti, parimenti alla UIL, firma i CCNL di categoria ed è presente come Confsal Pesca sui tavoli ministeriali insieme alle organizzazioni che hanno criticato l’iniziativa.

Quali effetti economici e sociali produce, in termini tendenziali, la possibilità di lavorare nei fine settimana e nei giorni festivi per imprese, marittimi e filiera?

La pesca italiana subisce continui fermi pesca che riducono le giornate lavorative creando pesanti perdite economiche sia agli armatori che ai lavoratori. Per decenni la pesca italiana è stata trascurata subendo continue restrizioni. Durante il periodo natalizio la richiesta di pescato aumenta in maniera esponenziale e concedere tali deroghe consentono una boccata di ossigeno per la categoria. Tra l’altro, non consentendo la pesca, avvantaggiamo pescatori di altri Paesi ed il consumo di prodotti congelati.

Come replica ai timori legati allo sforzo di pesca e al ricorso ai fermi?

Il fermo pesca può essere utile se fatto nei periodi di riproduzione delle specie e comunque concordato anche con marinerie delle nazioni che si bagnano nel mare comune.

Che segnali arrivano dal livello istituzionale e cosa vi aspettate per il futuro del comparto?

Proprio in queste ore apprendiamo una notevole buona notizia per i pescatori. Il Ministero delle Politiche Agricole e della Sovranità alimentare ha scongiurato un nuovo pesante taglio alle giornate di pesca per il 2026. Le proposte della Commissione Europea, che chiedeva la riduzione di oltre la metà delle giornate di pesca consentite per la nostra marineria, sono state rigettate. Confsal Pesca, a nome dei lavoratori del settore, ringrazia il Ministero per il risultato ottenuto e auspica per il futuro maggiore attenzione per il comparto.

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MARCA 2026, Bologna mette in agenda la MDD che verrà

MARCA 2026, Bologna mette in agenda la MDD che verrà

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MARCA BolognaFiere & ADM è uno di quegli appuntamenti che, nel mondo della Marca del Distributore, funzionano più come una “cabina di regia” che come una fiera tradizionale. In due giornate si incontrano le filiere produttive e la Distribuzione Moderna, si fissano priorità, si fanno scelte che poi ricadono sui dodici mesi successivi: posizionamento, assortimenti, investimenti su packaging e innovazione, assetti di fornitura. Il 14 e 15 gennaio, a Bologna, il Private Label torna a essere un terreno di confronto ad alta intensità, dove conta meno “esserci” e molto di più arrivare pronti.

I numeri aiutano a inquadrare la portata dell’evento: 28 Insegne e 1.500 aziende produttrici riunite in un ecosistema che, anno dopo anno, si è consolidato come il punto di riferimento italiano della MDD con un respiro sempre più internazionale. Per chi produce – inclusi i comparti food e trasformazione, ittico compreso – MARCA è uno spazio dove la relazione commerciale si intreccia con la lettura del mercato: si discute di margini e continuità, ma anche di compliance e di sostenibilità misurabile, in un momento in cui la pressione normativa e le aspettative del consumatore stanno rendendo la “qualità di filiera” un tema operativo, non più solo di comunicazione.

Sul piano espositivo, l’edizione 2026 alza l’asticella con una struttura più netta e “specializzata”. Nasce MARCA Trend, area pensata per rendere visibili e confrontabili le traiettorie del Private Label attraverso format interattivi, utile soprattutto a chi deve tradurre gli insight in scelte di prodotto. MARCA Fresh raddoppia gli spazi: 2.500 m² nel Padiglione 19 e oltre 80 aziende, segnale chiaro di quanto i freschi restino un terreno competitivo anche per la MDD, tra standard qualitativi, gestione logistica e velocità di rotazione. MARCA Tech, infine, porta al centro ciò che spesso resta dietro le quinte: packaging, automazione, logistica e soluzioni upstream che, nella pratica, determinano costi, efficienza e capacità di rispettare requisiti ambientali e di tracciabilità.

Ma è l’agenda istituzionale a definire il profilo “strategico” di MARCA 2026. Martedì 14 gennaio si apre con l’inaugurazione ufficiale (9:45) e con il convegno inaugurale ADM in collaborazione con The European House Ambrosetti (10:30), dedicato al tema “Costruire fiducia: il ruolo della Distribuzione Moderna e della MDD”, con istituzioni e vertici del settore e la presentazione del Position Paper 2026. Un messaggio implicito, ma forte: la MDD non è più solo una leva commerciale, è anche una piattaforma di responsabilità e di credibilità lungo la filiera. Nel pomeriggio (14:30) la tavola rotonda con CONAI mette sul tavolo il PPWR e la fase più delicata per molte imprese: passare dalle dichiarazioni di sostenibilità agli strumenti operativi per la conformità, con impatti diretti su materiali, etichettatura, forniture e investimenti. La giornata si chiude con i MARCA Awards 2026 (17:30), che fotografano l’innovazione dove si vede davvero: nel prodotto e nella capacità industriale di renderlo replicabile, sostenibile e competitivo.

Mercoledì 15 gennaio l’attenzione si sposta sulla bussola dei numeri. Il XXII Rapporto Marca by Circana (10:00) offrirà dati e trend sulla MDD nel Largo Consumo italiano, con le performance 2025 e le direzioni emergenti. A seguire (11:00), l’Osservatorio Non Food di GS1 Italy affronterà un tema trasversale che interessa tutto il retail: l’AI come strumento per orientare il consumatore tra overload informativo e ricerca di semplicità. Anche per chi opera nel food, il punto è chiaro: l’intelligenza artificiale non è solo tecnologia, è un fattore che può ridefinire scoperta prodotto, comparazione, fedeltà e customer journey.

Per i produttori, il valore di MARCA 2026 non sta soltanto nell’incontrare un numero elevato di interlocutori in poco tempo, ma nel farlo dentro una cornice che chiarisce quali saranno i temi non negoziabili del 2026: fiducia e trasparenza, capacità di adattamento al PPWR, innovazione che non resti prototipo, gestione efficiente della filiera. È lì che, spesso, si capisce se un progetto MDD è davvero “pronto” o se è solo un’idea ben presentata.

MARCA 2026 concentra a Bologna due giorni di strategia sulla MDD: esposizione più specializzata, focus su PPWR, dati Circana e ruolo dell’AI. Per le imprese, è un passaggio chiave per impostare l’anno.

Pesceinrete è media partner. Ci trovate presso il Centro Servizi – stand 3.

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