DiCaprio esorta l’Australia a chiudere gli allevamenti di salmone

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DiCaprio esorta l’Australia a chiudere gli allevamenti di salmone – Nelle acque scure e profonde del Macquarie Harbour, in Tasmania, nuota una creatura che ha attraversato le ere geologiche, sopravvivendo a cataclismi e trasformazioni epocali. È la razza Maugean, un “dinosauro vivente” che oggi rischia di scomparire per sempre a causa di un nemico moderno: l’acquacoltura intensiva del salmone.

L’allarme è scattato a livello globale quando Leonardo DiCaprio ha condiviso sui social un appello accolto per salvare la razza, sostenendo la petizione della Bob Brown Foundation, che chiede al governo australiano di fermare le attività industriali di allevamento di salmone nel porto di Macquarie. Con lui anche il celebre surfista Mick Fanning, uniti in una battaglia che va ben oltre la Tasmania e mette al centro un tema urgente: la sostenibilità delle pratiche di acquacoltura.

Le immagini postate dall’attore hanno scosso milioni di coscienze. Non si tratta solo della sopravvivenza di una specie, ma della salvaguardia di un ecosistema unico al mondo. Il Macquarie Harbour è stato appena riconosciuto da Re:wild come Key Biodiversity Area, un luogo di straordinaria importanza per la biodiversità del pianeta. E proprio qui, dove la razza Maugean è vissuta indisturbata per milioni di anni, l’espansione degli allevamenti di salmone industriale ha causato un drammatico abbassamento dei livelli di ossigeno, innescando un crollo dell’80% della popolazione della specie tra il 2014 e il 2022.

Il governo australiano, tuttavia, si muove in direzione opposta. Un nuovo disegno di legge potrebbe accecare l’attività degli allevamenti nel porto, mettendo a rischio qualsiasi revisione futura dell’impatto ambientale. Una decisione che appare in netto contrasto con i dati scientifici, che mostrano un ecosistema in bilico, e con la crescente pressione dell’opinione pubblica internazionale.

Nel cuore di questa crisi, la razza Maugean diventa simbolo di un paradosso: l’industria alimentare che, per rispondere alla domanda globale di pesce allevato, compromette la vita di una specie che non esiste in nessun altro luogo sulla Terra. La voce di DiCaprio, con i suoi oltre 60 milioni di follower, ha riportato i riflettori su una vicenda che rischiava di rimanere confinata al dibattito tecnico. Ora diventa una questione globale, un banco di prova per la coerenza delle politiche ambientali in un’epoca in cui la biodiversità è sempre più a rischio.

Nel frattempo, gli scienziati chiedono tempo e ricerca. Non esistono soluzioni semplici, ma una cosa è certa: ignorare i segnali potrebbe voler dire assistere alla prima estinzione di una razza o di uno squalo al mondo direttamente causata dall’acquacoltura.

Chi produce pesce ha una responsabilità enorme. L’industria dell’acquacoltura può e deve cambiare rotta, con investimenti in innovazione, sostenibilità e trasparenza. Perché l’oceano non è solo una fonte di reddito: è la casa della vita.

DiCaprio esorta l’Australia a chiudere gli allevamenti di salmone

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Adriatico, due pesi e due misure. Il paradosso della pesca al pesce azzurro

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Adriatico, due pesi e due misure. Il paradosso della pesca al pesce azzurro – Nel Medio Adriatico, tra le coste delle Marche e dell’Abruzzo, le imprese dedite alla pesca del pesce azzurro, come alici e sardine, si trovano da anni a fare i conti con una disparità di trattamento che grida vendetta. Mentre i pescatori che utilizzano sistemi di pesca a strascico ricevono, seppur con ritardi cronici, indennizzi per i periodi di fermo biologico imposti dalle autorità per il riposo delle risorse ittiche, le piccole imprese che operano con metodi tradizionali per il pesce azzurro restano sistematicamente escluse da qualsiasi forma di sostegno economico. Una situazione che solleva interrogativi sulla coerenza delle politiche di gestione della pesca e sull’equità nei confronti di un settore già messo a dura prova da costi crescenti e regolamentazioni stringenti.

Il fermo pesca, introdotto in Italia circa quarant’anni fa, ha l’obiettivo di tutelare le specie marine favorendone la riproduzione durante periodi critici del loro ciclo biologico. Per il 2025, il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste (MASAF) ha previsto specifiche misure di riposo biologico per la pesca a strascico nell’Adriatico. Il decreto stabilisce un’interruzione temporanea obbligatoria per le reti a strascico a divergenti (OTB), reti gemelle a divergenti (OTT) e sfogliare rapide (TBB), con un fondo di indennizzo stanziato attraverso il Fondo di Solidarietà per la Pesca, alimentato sia da risorse nazionali che dal Fondo Europeo per gli Affari Marittimi, la Pesca e l’Acquacoltura (FEAMPA). Si tratta di una misura che, pur con tempistiche di erogazione spesso lente, garantisce un sostegno economico ai pescatori fermati.
Eppure, per le imprese di pesca del pesce azzurro, che operano prevalentemente con reti a circuizione o sistemi di piccola pesca, non è previsto nulla di simile nonostante anch’esse siano soggette a periodi di fermo nel Medio Adriatico (GSA 17-18). Le ragioni di questa esclusione? Sarebbe doveroso chiedersi se vi siano motivazioni legate alla biologia delle specie o alla gestione delle risorse.
Ragioni scientifiche o alibi burocratici?

Il pesce azzurro, in particolare acciughe (Engraulis encrasicolus) e sardine (Sardina pilchardus), rappresenta una componente fondamentale dell’ecosistema marino adriatico. Studi scientifici, come quelli condotti dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e dalla FAO, evidenziano che queste specie, pur essendo abbondanti, sono soggette a fluttuazioni significative a causa di fattori ambientali e della pressione antropica. Il riposo biologico è quindi essenziale anche per i piccoli pelagici, tanto che la Raccomandazione UE GFCM/42/2018/8 ne sottolinea l’importanza per la sostenibilità delle popolazioni ittiche nel Mediterraneo. Tuttavia, a differenza delle specie demersali pescate a strascico (come sogliole o gamberi), il pesce azzurro non beneficia di una tutela economica per i pescatori durante i fermi.

La disparità è tanto più grave se si considera la realtà socio-economica delle Marche e dell’Abruzzo, dove la pesca del pesce azzurro sostiene numerose piccole imprese familiari, spesso prive delle risorse per affrontare lunghi periodi di inattività. Mentre i pescatori a strascico possono contare su un indennizzo giornaliero (che nel 2023, ad esempio, ammontava a 30 euro al giorno, erogato nel 2024), i colleghi del pesce azzurro sono lasciati a se stessi, nonostante il loro contributo alla filiera ittica e alla dieta mediterranea.

È tempo che le autorità, a partire dal MASAF, rivedano questa politica discriminatoria ed offrano un’occasione per estendere i fondi anche alla pesca dei piccoli pelagici, riconoscendo il valore ecologico ed economico di questo comparto. Senza un intervento deciso, il rischio è quello di penalizzare ulteriormente un settore già fragile, minando la biodiversità dell’Adriatico e la sopravvivenza di chi vive di questa tradizione.

La scienza chiede sostenibilità, l’equità chiede giustizia: è ora di ascoltarle entrambe.

Adriatico, due pesi e due misure. Il paradosso della pesca al pesce azzurro

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Gamberi svizzeri: l’acquacoltura d’alta quota che sfida oceani e pregiudizi

Gamberi svizzeri: l’acquacoltura d’alta quota che sfida oceani e pregiudizi

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Gamberi svizzeri: l’acquacoltura d’alta quota che sfida oceani e pregiudizi – Nel cuore della Svizzera, a Pratteln, esiste un luogo che potrebbe sembrare uscito da un racconto di fantascienza gastronomica: una struttura ad alta tecnologia dove si allevano gamberi d’acqua dolce in modo sostenibile, senza l’ombra di antibiotici o sostanze chimiche. Sì, proprio in una nazione senza sbocco sul mare, a 300 metri sopra il livello dell’oceano. Eppure, qui si produce una delle alternative più pulite e tracciabili ai frutti di mare importati che popolano abitualmente le tavole europee.

L’idea potrebbe sembrare bizzarra: gamberi “alpini” venduti a circa 80 franchi svizzeri al chilo, mentre quelli Black Tiger biologici, congelati e importati, costano quasi il 30% in meno. Ma la differenza non è solo nel prezzo. È una questione di visione.

Eco Prawn Farm rappresenta l’avanguardia dell’acquacoltura chiusa a ricircolo, dove ogni litro d’acqua viene trattato, purificato e reimmesso nel sistema. Qui non ci sono scarichi a mare, zero antibiotici, zero microplastiche e un impatto ambientale pressoché nullo. Le condizioni di allevamento, calibrate al dettaglio, garantiscono benessere animale, un prodotto freschissimo e una qualità che richiama alla memoria i sapori selvatici del passato.

Il paradosso è che, nonostante questi standard elevati, i consumatori svizzeri sembrano ancora esitanti. Secondo la psicologa dei consumi Mirjam Hauser, la causa va cercata nella distanza culturale tra immaginario tradizionale e innovazione tecnologica. Il pescatore sul lago, la mucca nei pascoli, il mercato contadino: sono queste le icone che ispirano fiducia. L’allevamento in vasca ipercontrollata, invece, ancora non seduce.

A complicare il quadro ci pensa anche l’etichettatura alimentare, troppo tecnica e poco narrativa. Quando un consumatore si trova a scegliere tra un gambero “bio del Vietnam” e uno svizzero “a ricircolo”, senza una spiegazione chiara e convincente, il prezzo spesso decide tutto.

Eppure, qualcosa si muove. I ristoratori più attenti stanno iniziando a proporre gamberi e pesci allevati localmente, consapevoli che la scelta di un ingrediente può orientare gusti e coscienze. L’acquacoltura elvetica, che oggi produce circa 1.200 tonnellate di trota e 500 kg di gamberi all’anno, è ancora una nicchia. Ma è una nicchia che guarda lontano, puntando su qualità estrema, rispetto per l’ambiente e tracciabilità assoluta.

Siamo forse di fronte a un nuovo paradigma, dove il prodotto non compete per quantità, ma per coerenza etica? Dove il “chilometro zero” si fa anche “microgrammo zero”? In un mondo stanco di eccessi e opacità, le piccole storie come quella di Eco Prawn Farm potrebbero diventare simboli potenti di una nuova normalità.

Una normalità dove anche in mezzo alle montagne si può allevare il mare.

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Cisint contro il divieto totale di pesca all’anguilla nel Mediterraneo

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Cisint contro il divieto totale di pesca all’anguilla nel Mediterraneo – La Commissione europea vorrebbe impedire ogni tipo di pesca all’anguilla nel Mediterraneo, comprese le forme ricreative e accidentali ed estendendo i divieti persino alle acque dolci, salmastre e lagunari.

Per fermare un’autentica forzatura di competenze e un’assurda serie di obblighi che potrebbero colpire un settore già in crisi, il parlamentare europeo Annamaria Cisint ha presentato alcuni specifici emendamenti che saranno oggetto di compromesso nelle prossime settimane.

La Cisint è infatti relatore ombra per il Gruppo “Patriot for Europe” sulle modifiche al Regolamento 2124 del 2023 relativo alla pesca nel Mar Mediterraneo.

“Ho subito denunciato come le acque interne non possano essere considerate area marina e non rientrino in alcun modo nel mandato assegnato alla Commissione Generale per il Mediterraneo – ha spiegato l’esponente della Lega -. Ho quindi sollecitato la ridefinizione del divieto ma anche la possibilità per gli Stati membri di consentire l’attività ricreativa, per la sola fase gialla, in condizioni rigidamente controllate e per piccole quantità. Se si vuole aiutare fattivamente questa specie vanno piuttosto rimosse le barriere artificiali dai fiumi che ne impediscono la risalita e combattere cormorani e pesci siluro”.

La Cisint ha pure evidenziato come “nell’Atlantico non vigano particolari restrizioni all’anguilla, anzi, ne viene praticata la cattura massiva delle cieche per poi esportarle su scala mondiale”. La Commissione vorrebbe quindi agire forzando ideologicamente la materia senza una preventiva modificazione della Direttiva Habitat o del Regolamento del 2007 sulla tutela dell’anguilla europea.

Cisint contro il divieto totale di pesca all’anguilla nel Mediterraneo

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Mitilla®  arriva nei ristoranti e nelle pescherie delle migliori GDO

Mitilla® arriva nei ristoranti e nelle pescherie delle migliori GDO

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Mitilla® arriva nei ristoranti e nelle pescherie delle migliori GDO – Mitilla® è finalmente disponibile nei ristoranti e nelle pescherie delle migliori GDO che vogliono abbracciare un concetto nuovo di qualità, più sostenibile, più trasparente, più consapevole.

Mitilla® dimostra ogni giorno di non essere una cozza qualunque perché non cresce sul fondo del mare, né si attacca a pali o reti costiere. Nasce sospesa tra cielo e mare, in blue vertical farm: una fattoria blu, dove ogni cozza si sviluppa in verticale, ancorata a corde immerse in profondità nelle acque classificate “A” di Pellestrina. Nessun mangime, nessun intervento chimico: solo correnti marine, ricchezza biologica e il lavoro silenzioso dei mitili, che filtrano fino a 120 litri d’acqua al giorno. Mitilla® non consuma: rigenera. Migliora la qualità dell’acqua, cattura CO₂, non consuma suolo, non altera l’ambiente. Una vera cozza rigenerativa, simbolo di un’acquacoltura che si fa sostenibile, replicabile e virtuosa.

Genny Busetto co-founder di Mitilla

Le cozze Mitilla® crescono in acque di categoria A, il massimo in termini di salubrità. Non necessitano di stabulazione o depurazione. Questo significa nessun passaggio in impianti energivori, nessun trasporto inutile, nessun uso di cloro o UV, nessuna perdita di gusto. Il risultato? Un prodotto naturalmente sano, pronto al consumo, dal sapore autentico, con una carbon footprint inferiore rispetto alle cozze di classe B che devono attraversare un’intera filiera di depurazione.

Mitilla® è una filiera corta, tracciabile, a basso impatto. Dietro ogni cozza c’è un progetto che mette insieme la sapienza secolare dei mitilicoltori di Pellestrina e la visione di un’acquacoltura del futuro: più pulita, più efficace, più umana. Ed è anche una storia di riconoscimenti: 100 Eccellenze Italiane Forbes 2020, Premio Visionari di Impresa 2024, Premiate Eccellenze Venete 2024, e il recente riconoscimento come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (PAT) del Ministero dell’Agricoltura. Mitilla® ha inoltre ottenuto la certificazione “Acquacoltura Sostenibile”, grazie a un sistema di monitoraggio rigoroso che valuta l’impatto ambientale, sociale ed economico dell’intero ciclo produttivo.

Mitilla® è buona, sana, e fa bene anche al pianeta.

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