ASC to Certify Atlantic Cod by Late 2025

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Aquaculture Stewardship Council has announced the inclusion of Atlantic cod in the ASC certification program by the end of 2025, marking a decisive step for sustainable aquaculture. The decision follows a 30-day consultation that engaged numerous stakeholders, particularly from Norway, currently the leading producer of farmed cod.

Certifying cod is a concrete response to rising demand for seafood produced with responsible practices. Farmers, retailers, and consumers are calling for greater transparency and guarantees on animal welfare, traceability, and environmental protection. With this move, ASC consolidates its role as the global reference standard for a rapidly evolving sector.

The initial integration will take place through an updated version of the ASC Salmon Standard, which already shares many criteria applicable to cod farming. After a two-year transition, the species will be fully incorporated into the ASC Farm Standard V1.1. This step will allow producers to obtain certification quickly, encouraging broad adoption of a sustainable production model.

In Norway, companies such as Ode, a leader in cod farming, will benefit from a clear, recognized pathway to enhance their product’s value in international markets. Interest is already high in Iceland, Scotland, the Faroe Islands, and Canada—countries facing reduced quotas for wild cod and looking to aquaculture as a strategic alternative.

The new ASC standard for cod will prioritize crucial topics such as disease management, biodiversity conservation, and reducing impacts on marine ecosystems. It will also assess practices related to efficient resource use and working conditions, with the goal of making cod farming a model that balances profitability with environmental responsibility.

A sustainable response to the North Sea crisis

The announcement comes at a delicate time for European fisheries: ICES has recently recommended a total closure of North Sea cod fishing by 2026, highlighting the need to transition to more sustainable production systems. In this context, ASC offers a concrete pathway to safeguard one of the emblematic species of Nordic fishing tradition while ensuring economic continuity for the value chain.

Including cod in the ASC certification program is not just a technical expansion of the standard; it’s a political and cultural signal. It shows that sustainability can be the main lever to rewrite the future of the seafood sector, reconciling environmental and production needs in a credible balance.

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Come il marketing può farci scegliere più pesce (e meglio)

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In genere sappiamo che si dovrebbe mangiare più pesce. È ricco di proteine nobili, povero di grassi saturi, contiene omega-3, e tutte le linee guida nutrizionali lo raccomandano almeno due volte a settimana. Eppure, nella pratica quotidiana, questo consiglio si scontra con abitudini consolidate, tempi limitati e una certa diffidenza legata al prezzo, alla freschezza o alla difficoltà di preparazione. Proprio in questo divario tra sapere e fare, tra buone intenzioni e realtà di scaffale, si gioca una delle sfide più interessanti per il futuro della filiera: quella del marketing del pesce consapevole, un approccio che combina scelte di assortimento, comunicazione e psicologia del consumo per rendere più semplice e naturale scegliere il pesce.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità

L’Organizzazione Mondiale della Sanità continua a segnalare la cattiva alimentazione tra le principali cause di obesità, diabete e malattie cardiovascolari. Le politiche di prevenzione si sono concentrate per anni su campagne informative e programmi educativi, ma i risultati restano modesti. Le persone sanno cosa dovrebbero fare, ma non sempre lo fanno. In economia comportamentale questo fenomeno è noto come say-do gap: la distanza tra ciò che si dichiara di voler fare e ciò che si fa davvero. La mente umana non è un calcolatore razionale — tende a privilegiare le gratificazioni immediate, come un cibo comodo o familiare, rispetto a benefici futuri e più astratti come la salute.

Il marketing che aiuta

Oggi il marketing può aiutare a colmare questo divario non solo comunicando, ma progettando il contesto decisionale in modo più intelligente. Disporre meglio i prodotti, semplificare le informazioni nutrizionali o rendere più accessibili le alternative salutari significa creare un ambiente che orienta le scelte senza imporle. È una forma di influenza gentile che parla ai comportamenti reali delle persone, non solo alle loro intenzioni.

I retailer, ma anche le pescherie moderne, possono diventare “architetti delle scelte”. L’assortimento può dare maggiore visibilità a specie locali o sostenibili, valorizzando il prodotto fresco ma anche le soluzioni pronte o monoporzione, perfette per chi ha poco tempo. Il layout può aiutare il cliente a orientarsi con chiarezza, presentando il pesce non come categoria difficile ma come opzione quotidiana, abbinata magari a verdure, salse leggere o condimenti semplici. Anche la comunicazione visiva ha un ruolo cruciale: etichette intuitive, colori coerenti, simboli nutrizionali chiari o QR code che raccontano la provenienza possono ridurre lo sforzo cognitivo e aumentare la fiducia.

La leva economica

La leva economica, poi, non va sottovalutata. Programmi fedeltà che premiano chi acquista pesce regolarmente, piccole promozioni sui tagli meno noti o sulle specie sostenibili possono creare un circolo virtuoso tra convenienza e salute. Ma la vera forza di questo approccio sta nella continuità. Le azioni più efficaci non sono quelle che convincono una volta, ma quelle che modificano le abitudini nel tempo. Il marketing del pesce consapevole non si limita a informare, ma agisce nel momento della decisione, quando il consumatore si trova davanti al banco e deve scegliere davvero.

Naturalmente non mancano le criticità. Il prezzo medio del pesce resta un freno, così come la percezione di un prodotto più deperibile o complesso da gestire rispetto ad altre proteine. Per questo è essenziale che tutta la filiera — dai produttori ai distributori — collabori per garantire assortimenti costanti, informazioni trasparenti e un’esperienza d’acquisto positiva. Le aziende possono investire in packaging più pratici e sostenibili, la GDO può valorizzare la tracciabilità e la freschezza, mentre le istituzioni pubbliche possono supportare con campagne coordinate e incentivi alla formazione del personale di vendita.

Un approccio integrato di questo tipo conviene a tutti. Promuovere il consumo di pesce significa migliorare la salute collettiva, sostenere le economie locali e rafforzare la reputazione dei marchi coinvolti. In un’epoca in cui i consumatori chiedono autenticità e responsabilità, il marketing del pesce consapevole rappresenta un nuovo paradigma: non spingere a comprare di più, ma aiutare a scegliere meglio. È un modo intelligente per trasformare il punto vendita in un luogo dove salute, sostenibilità e profitto convivono, restituendo al pesce il ruolo che gli spetta — alimento prezioso, quotidiano e alla portata di tutti.

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Europa divisa sulla sostenibilità: Bruxelles taglia gli obblighi ESG e infiamma il dibattito

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Nel tentativo di alleggerire la pressione normativa sulle imprese, la Commissione Affari Giuridici del Parlamento europeo ha approvato una proposta che riduce drasticamente il numero di aziende soggette agli obblighi di rendicontazione in materia di sostenibilità e due diligence.

Il voto

Con 17 voti favorevoli, 6 contrari e 2 astensioni, la commissione JURI ha chiesto di modificare la proposta “Omnibus I” della Commissione europea, restringendo il campo di applicazione alle sole aziende con più di 1.000 dipendenti e un fatturato annuo superiore a 450 milioni di euro. In questo modo verrebbero escluse molte imprese di media dimensione che oggi contribuiscono in modo rilevante alla transizione verde europea.

L’iniziativa è stata accolta con favore da parte del mondo imprenditoriale, soprattutto dalle associazioni di categoria che da mesi segnalano costi e tempi eccessivi per adeguarsi ai nuovi standard ESG. Ma non mancano le perplessità: molti temono che questa semplificazione degli obblighi di rendicontazione sulla sostenibilità finisca per indebolire il sistema di trasparenza costruito negli ultimi anni.

Organizzazioni ambientaliste e reti europee per la responsabilità d’impresa, come CSR Europe, hanno espresso preoccupazione: ridurre gli obblighi significa anche ridurre la responsabilità, e ciò rischia di creare un’Europa a due velocità sulla sostenibilità.

Sul fronte della due diligence aziendale, il Parlamento europeo intende mantenere l’obbligo solo per le grandi imprese con oltre 5.000 dipendenti e un fatturato superiore a 1,5 miliardi di euro, oltre che per le società extra-UE con ricavi equivalenti nel mercato europeo. Le aziende di dimensioni inferiori potranno continuare a pubblicare su base volontaria le proprie relazioni sociali e ambientali, secondo le linee guida della Commissione. Inoltre, le grandi imprese non potranno più imporre ai fornitori minori di fornire informazioni aggiuntive rispetto a quanto previsto dagli standard volontari.

Un passaggio che, pur alleggerendo le catene di fornitura, rischia di ridurre la capacità delle grandi aziende di mappare i rischi sociali e ambientali lungo la propria filiera.

Minore pressione regolatoria

Per la filiera ittica e agroalimentare, dove la tracciabilità ambientale e sociale è ormai parte integrante dei rapporti commerciali, la riduzione degli obblighi potrebbe tradursi in una minore pressione regolatoria nel breve periodo ma anche in una perdita di credibilità sul piano internazionale. Molte imprese europee del comparto seafood hanno già investito in certificazioni e sistemi di tracciabilità volontaria, e temono che il nuovo approccio possa penalizzare chi ha puntato su trasparenza e innovazione.

Secondo alcuni analisti, un alleggerimento eccessivo potrebbe avere l’effetto opposto a quello sperato: le imprese che operano su mercati globali rischiano di trovarsi impreparate di fronte a partner commerciali che richiedono standard ESG documentati e verificabili.

Un portale digitale

Tra le misure previste, la Commissione europea istituirà un portale digitale unico dedicato a tutti gli obblighi di rendicontazione, che offrirà modelli e guide per semplificare la conformità normativa e garantire maggiore coerenza tra gli Stati membri. Le sanzioni, invece, restano invariate: fino al 5% del fatturato globale per le aziende inadempienti, con responsabilità stabilite a livello nazionale e diritto al pieno risarcimento dei danni per le vittime.

Jörgen Warborn

Il relatore del provvedimento, l’eurodeputato svedese Jörgen Warborn (PPE), ha spiegato che l’obiettivo è offrire prevedibilità alle imprese europee, riducendo i costi, rafforzando la competitività e mantenendo la transizione verde del continente sulla buona strada.

Resta ora da vedere se il compromesso tra competitività e sostenibilità riuscirà a reggere nei negoziati con il Consiglio e in sessione plenaria. L’Europa dovrà dimostrare di saper semplificare senza rinunciare alla coerenza del suo progetto più ambizioso: quello di un’economia realmente sostenibile e trasparente.

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Pesca italiana tra crisi e prospettive: serve una nuova politica di equilibrio

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C’è un filo rosso che lega tutte le voci della pesca italiana: la necessità di tornare a una politica che ascolti il mare e chi lo vive ogni giorno. La pesca italiana attraversa una delle fasi più difficili degli ultimi decenni, eppure resta un pilastro economico e culturale per molte comunità costiere del Paese. È questo il messaggio emerso ieri dal convegno “I Custodi del Mare: per una Nuova Politica della Pesca Sostenibile – Pescatori, Istituzioni e Territori a confronto”, organizzato da Forza Italia alla presenza del vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani e del ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin.

Giandiego Gatta, deputato di Forza Italia e responsabile nazionale del Dipartimento Pesca e Acquacoltura, ha voluto riportare al centro del dibattito una questione troppo spesso dimenticata: il futuro del comparto. “Negli ultimi anni – ha osservato – lo sforzo di pesca si è ridotto di oltre il 40%, mentre il reddito dei pescatori è crollato fino al 50% in alcune marinerie. In molti casi siamo ai limiti della sopravvivenza. È una realtà che non possiamo più ignorare.”

Una fotografia che parla chiaro: l’Italia possiede la flotta peschereccia più numerosa d’Europa, pari al 17,5% delle imbarcazioni totali, ma si trova oggi a fare i conti con un declino strutturale. Ai nodi interni – flotta invecchiata, scarsa ricambio generazionale, costi energetici elevati – si sommano fattori globali come i cambiamenti climatici, l’alterazione degli ecosistemi marini e la proliferazione di specie invasive come il granchio blu e il vermocane, che mettono in crisi gli equilibri biologici e le economie locali.

Serve un cambio di passo

“Serve un cambio di passo – ha ribadito Gatta –. Non possiamo limitarci a politiche proibizioniste, né a una visione ideologica della sostenibilità. Occorre una strategia che accompagni la transizione verso una pesca capace di garantire tutela delle risorse e redditività per gli operatori.” Il riferimento è chiaro: il sistema di finanziamenti comunitari, oggi percepito come eccessivamente complesso e distante dalle esigenze concrete dei pescatori. “Chi lavora in mare – ha detto – non è un ragioniere o un ingegnere. Ha bisogno di strumenti semplici, chiari e pratici, per poter investire nell’ammodernamento delle strutture, nella decarbonizzazione dei motori e nell’adeguamento delle attrezzature di pesca.”

La pesca non è solo pesca

Dietro le cifre e le dichiarazioni, resta un punto fermo: la pesca è anche cultura, identità e presidio territoriale. Nelle parole di Gatta risuona la consapevolezza che il mare non è solo risorsa economica ma anche eredità sociale. “Sostenere chi lavora il mare significa sostenere l’Italia. Servono meno vincoli burocratici e più sostegno concreto agli operatori del settore, unendo tutela ambientale, crescita economica e salvaguardia delle nostre tradizioni.”

Il convegno di Forza Italia ha riaperto un dibattito che non può restare confinato ai tavoli politici: quello su una pesca sostenibile ma anche sostenuta, capace di conciliare la protezione dell’ambiente marino con la dignità del lavoro. Una sfida che, più che di slogan, ha bisogno di pragmatismo, collaborazione e di una visione nazionale che riconosca il mare come parte integrante della nostra economia reale.

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Puglia, firmate le prime convenzioni GAL pesca FEAMPA

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Sono state firmate dai legali rappresentanti e dalla dirigente della Struttura di Progetto “Attuazione della Politica Europea per gli Affari Marittimi, la Pesca e l’Acquacoltura” della Regione Puglia le prime quattro convenzioni per l’attuazione della strategia di sviluppo locale Priorità 3 – PN Feampa 2021/2027 con quattro gruppi di azione locale per la pesca.

Per Donato Pentassuglia, assessore all’Agricoltura della Regione Puglia, che ha incontrato i firmatari, si tratta di un atto che rafforza la strategia regionale dedicata all’economia blu e che contribuisce a creare valore aggiunto lungo tutta la filiera ittica.

I Gruppi di Azione Locale della Pesca, mutuando l’esperienza del Programma di Sviluppo Rurale della Puglia, assumono ora un ruolo chiave anche nel settore marittimo, fungendo da interlocutori privilegiati con le imprese e i territori. Con queste convenzioni si consolida un modello di governance condivisa che rafforza il rapporto tra la Regione Puglia e i territori costieri, attribuendo ai GAL un ruolo centrale nella valorizzazione delle risorse marine e nella promozione di un’economia blu sostenibile e innovativa.

Il sostegno economico attraverso il FEAMPA 2021/2027 alle strategie di sviluppo locale dei GAL pesca, chiamati ad attuare bandi e strategie di cooperazione sui territori di riferimento e nello specifico sulle aree costiere, punta ad attuare la transizione verso attività innovative, alla diversificazione economica con attività di pescaturismo e ittiturismo, senza mai dimenticare le azioni di studio e salvaguardia degli ecosistemi marini.

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