Da AIPE il decalogo green sull’EPS

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Da AIPE il decalogo green sull’EPS – La scelta dei materiali destinati a edilizia e imballaggio, due comparti trainanti per l’economia del Paese, può influenzare in modo significativo l’impatto ambientale dei settori.
Da un lato, la Direttiva Case Green mira, infatti, a rendere a emissioni zero entro il 2050 un patrimonio edilizio attualmente responsabile del 36% delle emissioni totali di CO2 e del 40% dei consumi energetici complessivi1, intervenendo anche sulla produzione e smaltimento dei prodotti utilizzati.
Dall’altro lato è appena entrato in vigore il nuovo Regolamento Imballaggi (PPWR), che si propone di ridurre i rifiuti di imballaggio, aumentando le quantità di materiale riciclato.
In uno scenario in cui è in costante aumento anche la sensibilità degli utilizzatori finali per la sostenibilità dei materiali e la disinformazione rappresenta il rischio numero uno a breve termine,2 è fondamentale incentrare le scelte su basi scientifiche e documentate.

In questo contesto, AIPE (Associazione Italiana Polistirene Espanso) – che è in prima linea nel promuovere la sostenibilità dell’EPS, il suo basso impatto ambientale e nel sostenere la green economy favorendo progetti di ricerca e sviluppo, attività di raccolta e riciclo e l’adozione della metodologia LCA (Life Cycle Assessment), regolamentata dalla norma ISO 140403 – precisa i punti di sostenibilità del materiale:

1. Il polistirene espanso sinterizzato (EPS) è costituito al 98% da aria.

2. Solo il 2% è materia di origine organica, quindi l’impatto ambientale dell’EPS è ridotto al 2% del suo peso.

3. È 100% riciclabile all’infinito, essendo un termoplastico. Il polistirene può pertanto essere reimpiegato nel ciclo produttivo per la realizzazione di prodotti destinati all’edilizia e all’imballaggio, settori in cui trova la sua maggiore applicazione. I dati, in questo senso, sono costantemente in crescita: i volumi di EPS riciclato in Italia hanno registrato un balzo del 25% nel triennio 2019-2022, superando le 20mila tonnellate4. Per il successivo periodo 2023-2025 si stima un ulteriore incremento del 15%.

4. È 100% conforme ai CAM edilizia e imballaggio per l’arredo. In Italia, sia il settore dell’edilizia che quello dell’imballaggio immettono sul mercato prodotti con % di EPS riciclato in base ai CAM (Criteri Ambientali Minimi) previsti. Ad esempio, blocchi e lastre per l’isolamento termico di edifici e abitazioni prevedono un contenuto minimo di riciclato del 15% secondo i CAM Edilizia. Analogamente nell’imballaggio, i CAM Arredo – riferimento per l’acquisto di tutti gli oggetti che rientrano nell’arredo delle sedi operative della PA (Pubblica Amministrazione) – richiedono una percentuale di riciclato all’interno degli imballaggi in EPS di almeno il 25%.

5. In quanto monomateriale, l’EPS è più facilmente recuperabile a fine vita e, inoltre, particolarmente versatile e adatto alla progettazione di imballi in ottica di eco-design, come richiesto dal nuovo regolamento imballaggi PPWR; secondo tale normativa, infatti, entro il 2030 tutti gli imballaggi immessi sul mercato dovranno essere progettati per il riciclo.

6. Fa risparmiare un bene prezioso; bastano 6 litri di acqua per produrre 1 kg di EPS; si tratta del valore più basso rispetto ai materiali alternativi utilizzati nel packaging, rendendo l’EPS una scelta efficiente dal punto di vista del consumo idrico. Inoltre, la Water Footprint migliora a seconda della fonte di materie prime impiegate: ad esempio, l’imballaggio in EPS prodotto con materiali riciclati può avere un’impronta idrica inferiore rispetto a quello prodotto con materiali vergini.

7. È leggero da trasportare: essendo composto per il 98% da aria con una bassa densità (peso il cui range va da 15 a 40 kg/m3), l’EPS è estremamente leggero e agevole per la movimentazione.

8. La CO2 emessa per trasportarlo è ridotta: la bassa densità si traduce in costi di trasporto ridotti, minor uso di carburante per i veicoli e minori emissioni di CO2 – quindi in una minore «Carbon Footprint» – rendendo l’EPS una scelta valida dal punto di vista ambientale ed economico.

9. La CO2 ed energia risparmiate nelle sue applicazioni superano di gran lunga quelle necessarie per la sua produzione. Per via del basso apporto di materie prime, del volume che ha, del peso così basso e del processo produttivo ad alta efficienza energetica, la fabbricazione di EPS nel complesso richiede meno energia della produzione di altri materiali utilizzati in edilizia; 2278 MJ/m3 (GER, Gross Energy Requirement) nel caso dell’EPS bianco vergine e 1920 MJ nel caso di EPS con il 90% di riciclato. Inoltre, aumentando lo spessore della lastra isolante, si può arrivare a evitare fino a oltre l’80% di CO2 emessa in 10 anni.

10. Il contenuto di EPS riciclato migliora i principali indicatori ambientali: 54% di riduzione di CO2 con utilizzo del 90% di EPS riciclato e 30% di riduzione di energia con utilizzo del 90% di riciclato; la produzione di EPS bianco vergine comporta mediamente 4,6 kg di emissioni (GWP, Global Warming Potential) per ogni kg di prodotto. Un aumento del riciclo dell’EPS riduce l’impatto ambientale, derivante sia dal suo smaltimento, sia dalla produzione di materiale vergine; si arriva fino a 3,11 kg di CO2 nel caso di EPS con il 90% di riciclato (dai da 5,75 kg di CO2 di emissioni in assenza di riciclato). Contestualmente si riduce anche l’energia necessaria per produrlo (da 130,50 MJ a 95,99).

“I continui investimenti in ricerca e sviluppo, focalizzati su recupero, riciclo e riuso, di questi ultimi anni hanno confermato la centralità e l’insostituibilità dell’EPS nel panorama dei materiali per l’edilizia e l’imballaggio – ha dichiarato Alessandro Augello, Presidente AIPE –. Il regolamento europeo sugli imballaggi (PPWR) e la legislazione italiana sui Criteri Ambientali Minimi (CAM) in edilizia – di cui ci attendiamo un aggiornamento in primavera – rappresentano ulteriori opportunità per migliorare la competitività del polistirene espanso rispetto ad altri materiali con aree di applicabilità similari e per accompagnare l’industria a essere sempre più sostenibile. Diversi passi per allinearsi con le normative e centrare gli obiettivi sul lungo termine sono già stati fatti e su altri AIPE sta lavorando, di concerto con tutta la filiera. Parallelamente, siamo impegnati in un’altra sfida: diffondere la cultura della sostenibilità poggiandola sulle evidenze operative, per contrastare la disinformazione e l’insorgere di preconcetti spinti dall’emotività. Pensiamo che sia il momento di una narrazione differente, basata sui dati, che dimostrano la sostenibilità del materiale e il suo potenziale di contributo all’innovazione del Paese”.

Da AIPE il decalogo green sull’EPS

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Unci AgroAlimentare, Scognamiglio: decreto introduce novità pesca

Unci AgroAlimentare, Scognamiglio: decreto introduce novità pesca

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decreto pesca

“Sul fermo pesca registriamo un importante cambio di passo, con il nuovo decreto firmato dal ministro Lollobrigida, che recepisce le istanze della categoria, negli ultimi anni fortemente penalizzata da un meccanismo iniquo e che non teneva conto delle difficoltà del settore e delle modalità con cui si svolge l’attività in mare”. Ad affermarlo è Gennaro Scognamiglio, presidente nazionale dell’Unci AgroAlimentare.

“Dopo le novità positive – prosegue il dirigente dell’associazione di settore del mondo cooperativistico – introdotte già dal decreto sperimentale dello scorso anno, che consentiva una flessibilità nella gestione dell’attività, senza alterare il numero complessivo di giorni di fermo, che potevano però essere adattati alle esigenze operative dei lavoratori e alle condizioni meteo locali, con la possibilità di pescare anche il sabato e la domenica, il provvedimento del 2025, approvato qualche giorno addietro, riordina complessivamente la materia, con un inedito sistema di calcolo dello sforzo di pesca.

Un nuovo metodo per calcolare lo sforzo di pesca

La nuova misura infatti prevede che il conteggio dello sforzo avvenga sui tempi effettivi di lavoro, quando i pescherecci svolgono l’attività di prelievo dal mare della risorsa ittica e non mentre compiono il tragitto dal porto alle zone di pesca. Così si riesce a garantire anche maggiore sicurezza ai natanti, in passato spesso costretti a delle vere e proprie corse per ridurre i tempi di percorrenza.

Diamo atto, pertanto, al titolare del ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste e al sottosegretario di Stato, Patrizio Giacomo La Pietra, di aver promosso un proficuo dialogo con lavoratori, imprese e associazioni del comparto, dimostrando grande attenzione nei confronti di un’attività significativa per l’economia e per l’autosufficienza alimentare del Paese e dell’Europa, a lungo sottovalutata e addirittura indebitamente finita nel mirino dell’Ue, arrecando così gravi danni agli operatori, soprattutto quelli italiani e dei Paesi mediterranei, con conseguenze negative per tantissime famiglie e per le economie delle comunità costiere”.

“Con il decreto – conclude Scognamiglio – si concretizza una nuova tappa del percorso di valorizzazione e di rilancio della filiera ittica, con l’obiettivo di imprimere una svolta definitiva alle politiche della pesca di Bruxelles”.

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Unci AgroAlimentare, Scognamiglio: fermo pesca, con decreto importanti novità per settore

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Unci AgroAlimentare, Scognamiglio: fermo pesca, con decreto importanti novità per settore – “Sul fermo pesca registriamo un importante cambio di passo, con il nuovo decreto firmato dal ministro Lollobrigida, che recepisce le istanze della categoria, negli ultimi anni fortemente penalizzata da un meccanismo iniquo e che non teneva conto delle difficoltà del settore e delle modalità con cui si svolge l’attività in mare”. Ad affermarlo è Gennaro Scognamiglio, presidente nazionale dell’Unci AgroAlimentare.

“Dopo le novità positive – prosegue il dirigente dell’associazione di settore del mondo cooperativistico – introdotte già dal decreto sperimentale dello scorso anno, che consentiva una flessibilità nella gestione dell’attività, senza alterare il numero complessivo di giorni di fermo, che potevano però essere adattati alle esigenze operative dei lavoratori e alle condizioni meteo locali, con la possibilità di pescare anche il sabato e la domenica, il provvedimento del 2025, approvato qualche giorno addietro, riordina complessivamente la materia, con un inedito sistema di calcolo dello sforzo di pesca.
La nuova misura infatti prevede che il conteggio dello sforzo avvenga sui tempi effettivi di lavoro, quando i pescherecci svolgono l’attività di prelievo dal mare della risorsa ittica e non mentre compiono il tragitto dal porto alle zone di pesca. Così si riesce a garantire anche maggiore sicurezza ai natanti, in passato spesso costretti a delle vere e proprie corse per ridurre i tempi di percorrenza.
Diamo atto, pertanto, al titolare del minstero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste e al sottosegretario di Stato, Patrizio Giacomo La Pietra, di aver promosso un proficuo dialogo con lavoratori, imprese e associazioni del comparto, dimostrando grande attenzione nei confronti di un’attività significativa per l’economia e per l’autosufficienza alimentare del Paese e dell’Europa, a lungo sottovalutata e addirittura indebitamente finita nel mirino dell’Ue, arrecando così gravi danni agli operatori, soprattutto quelli italiani e dei Paesi mediterranei, con conseguenze negative per tantissime famiglie e per le economie delle comunità costiere”.

“Con il decreto – conclude Scognamiglio – si concretizza una nuova tappa del percorso di valorizzazione e di rilancio della filiera ittica, con l’obiettivo di imprimere una svolta definitiva alle politiche della pesca di Bruxelles”.

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Obiettivo Net Zero: la sfida che l’industria ittica non può più ignorare

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Obiettivo Net Zero: la sfida che l’industria ittica non può più ignorare – In un contesto globale in cui la sostenibilità è diventata la chiave d’accesso al mercato, anche l’industria ittica – da sempre colonna portante del sistema agroalimentare – si trova di fronte a una svolta epocale. La recente “Navigating Net Zero: A Guide to Customer Expectations”, redatta da Scotland Food & Drink Partnership, è un punto di riferimento imprescindibile per chi intende rimanere competitivo all’interno di un sistema commerciale che richiede sempre più trasparenza, responsabilità ambientale e capacità di adattamento.

Non si tratta più di una questione etica: Net Zero è un requisito commerciale.

Le grandi insegne della distribuzione – da Aldi a Tesco, da Lidl a Morrisons – stanno alzando l’asticella delle aspettative verso i fornitori, imponendo target climatici validati dalla Science Based Targets iniziative (SBTi), strumenti di tracciabilità delle emissioni e linee guida precise su packaging, rifiuti e deforestazione. Il mondo del foodservice segue lo stesso sentiero, come dimostrare gli impegni presi da giganti come Sodexo, Compass Group, Brakes e Sysco .

Questa guida rappresenta un’opportunità di orientamento strategico per tutti i produttori, trasformatori e fornitori – compresi quelli del comparto ittico – che vogliono rimanere sulla cresta dell’onda in un mercato in rapido cambiamento. Il messaggio è chiaro: chi non intraprende oggi un percorso verso la sostenibilità rischia di rimanere escluso domani dai grandi canali distributivi.

Per il settore ittico, in particolare, il tema della sostenibilità non si esaurisce nella tracciabilità o nella certificazione dei prodotti. Oggi si parla di emissioni di Scope 3 (Per il settore ittico, Scope 3 significa ad esempio: emissioni causate dalla pesca del fornitore esterno, quelle legate alla produzione del ghiaccio o del packaging, quelle causate dal trasporto via camion o nave, emissioni del consumatore quando cucina e smaltisce il prodotto), di gestione dei rifiuti lungo tutta la filiera, di riduzione dell’impatto ambientale delle confezioni, di uso responsabile dell’energia e persino di criteri sociali legati alla rendicontazione delle performance ESG (Environmental, Social, Governance).

Alcuni obiettivi contenuti nella guida parlano da soli: riduzioni delle emissioni operative del 60-70% entro il 2030, eliminazione della deforestazione entro il 2025, utilizzo esclusivo di packaging riciclabile o compostabile, dimezzamento dello spreco alimentare entro il 2030. Sono traguardi che i retailer e le multinazionali del foodservice stanno già traducendo in clausole contrattuali e sistemi di valutazione per i fornitori.

Cosa significa tutto questo per le aziende del comparto ittico?

Significa che è arrivato il momento di agire. Di fare rete con esperti di sostenibilità, di misurare la propria impronta di carbonio, di scegliere piattaforme di monitoraggio (come Manufacture 2030 o Mondra ) e di strutturare roadmap di riduzione delle emissioni in linea con i modelli scientifici. Ogni ritardo rischia di diventare un ostacolo commerciale.

In uno scenario dove i buyer della GDO chiedono prodotti buoni, sicuri e sostenibili, non basta più la qualità organolettica o il rispetto delle normative: serve una visione a lungo termine, comunicata con trasparenza e validata con dati.

Chi opera nel settore della pesca e dell’acquacoltura – e ancora di più chi si occupa di trasformazione, confezionamento e distribuzione – ha ora tra le mani una guida concreta per leggere il futuro prossimo. Un documento tecnico, sì, ma con un messaggio potente: il Net Zero non è una moda, è il nuovo standard di mercato .

Il consiglio? Leggere, analizzare e agire. Perché essere parte della soluzione non è più un’opzione. È una necessità per sopravvivere e prosperare.

Obiettivo Net Zero: la sfida che l’industria ittica non può più ignorare

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Stato della pesca del tonno nel 2025. I dati globali del nuovo report ISSF

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Stato della pesca del tonno nel 2025. I dati globali del nuovo report ISSF – Nel mondo della pesca, il tonno resta il protagonista indiscusso. Apprezzato sulle tavole di tutto il pianeta, è al centro di un’industria che nel 2023 ha generato 5,2 milioni di tonnellate di catture. Ma quanto è sostenibile tutto questo? A rispondere con rigore scientifico è la International Seafood Sustainability Foundation (ISSF), che ha da poco pubblicato il nuovo report Status of the World Fisheries for Tuna – March 2025, uno dei documenti più autorevoli al mondo per monitorare lo stato di salute degli stock di tonno.

Il report analizza 23 stock globali appartenenti a sette specie commerciali principali: alalunga (albacore), tonno obeso (bigeye), tonno rosso (bluefin), tonnetto striato (skipjack) e pinna gialla ( Yellowfin). Ogni stock è valutato secondo due parametri fondamentali: l’abbondanza della biomassa riproduttiva e la mortalità della pesca, offrendo una visione chiara e comparabile dello stato delle risorse.

I risultati del 2025 mostrano un quadro in chiaroscuro. Il 65% degli stock si trova in uno stato di abbondanza sana, mentre il 9% è sovrasfruttato e il restante 26% si colloca in una zona intermedia. Sul fronte dello sforzo di pesca, il 91% degli stock non subisce overfishing, ma restano situazioni critiche, in particolare per alcune popolazioni di bigeye e bluefin. La buona notizia è che l’87% delle catture globali proviene da stock considerati sani: un risultato in gran parte dovuto alla dominanza del tonnetto striato, che da solo rappresenta il 57% delle catture e gode di buona salute ovunque venga pescato.

Uno degli aspetti più innovativi del report ISSF è l’approccio metodologico. Ogni stock è analizzato con un sistema di valutazione a colori (verde, giallo, arancione) che rende immediatamente leggibile lo stato della risorsa e l’efficacia delle misure di gestione adottate dalle Organizzazioni regionali di gestione della pesca (RFMO). Le cinque RFMO internazionali – ICCAT, IOTC, WCPFC, IATTC e CCSBT – hanno il compito di monitorare e regolamentare la pesca del tonno nei diversi oceani, ma con risultati disomogenei. Se in alcune aree si registra un miglioramento, altrove permangono incertezze e lacune gestionali.

Il documento sottolinea inoltre l’importanza crescente dell’approccio precauzionale, con l’adozione di strategie di cattura basate su Harvest Control Rules e sistemi di valutazione scientifica sempre più sofisticati. Tuttavia, l’ISSF avverte che l’aumento delle catture da FAD (Dispositivi di Aggregazione dei Pesci) e il depauperamento di alcuni stock indicano la necessità di rafforzare il monitoraggio e le misure di mitigazione.

Da infine segnalazione che, per garantire la coerenza e l’affidabilità delle informazioni, il rapporto è stato redatto dal team scientifico dell’ISSF e revisionato dal suo Scientific Advisory Committee, rendendolo uno strumento fondamentale per policymaker, operatori del settore e organizzazioni della filiera.

Per chi opera nel mondo della pesca, questo report non è solo una fotografia aggiornata, ma una vera e propria bussola. Una lettura imprescindibile per chi vuole coniugare business e sostenibilità, consapevole che il futuro del tonno – e della pesca stessa – si gioca oggi, tra dati scientifici, regole efficaci e scelte responsabilità.

Stato della pesca del tonno nel 2025. I dati globali del nuovo report ISSF

 

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