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La pesca italiana si trova alle prese con una nuova questione: l’eolico off-shore che porterebbe ad una riduzione del 21,6% delle capacità operative della pesca a strascico, oltre ad impatti non trascurabili ad altri segmenti professionali quali la pesca con i palangari e con reti fisse.
Oggi di impianti eolici ne è presente soltanto uno nella rada esterna del porto di Taranto. Ma nell’ultimo anno ha avuto un notevole incremento il numero di progetti presentati al ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (Mase).
Si tratta di 84 nuovi impianti (Sardegna 23, Sicilia 22, Puglia 20, Lazio 7, Calabria 6, Emilia Romagna 3, Abruzzo, Basilicata e Toscana 1) contro i 66 previsti nel 2023.
E dallo “Studio di ricognizione e approfondimento sullo sviluppo delle attività legate alle risorse energetiche alternative (impianti eolici off-shore) e delle interazioni con le attività di pesca e acquacoltura”, realizzato dal Consorzio Mediterraneo, struttura di ricerca aderente a Legacoop Agroalimentare, avranno un consistente impatto sulla pesca.
Effetti che si sommano ad altre criticità legate alla navigazione e alla presenza dei cavidotti per il trasporto dell’energia a terra e alla maricoltura.
“Occorre ridefinire la collocazione degli impianti”, commenta Cristian Maretti presidente di Legacoop Agroalimentare. “Chiediamo, infatti, di inserire gli impianti eolici nelle aree di protezione ambientale per raggiungere il 30% delle aree marine protette richiesto dall’Ue entro il 2030. Inoltre riteniamo di dover interrare e proteggere i cavi di trasporto dell’energia elettrica a terra, in modo da consentire alle imbarcazioni a strascico di non interrompere le cale in loro prossimità”, commenta Maretti. “Ma devono essere previste anche norme e strategie per consentire la piccola pesca artigianale con attrezzi fissi, all’interno delle aree occupate dagli impianti eolici. E progettare canali per la navigazione ed eventualmente anche per la pesca a strascico all’interno delle aree occupate dagli impianti eolici». A questo si somma la richiesta di “promuovere attività di maricoltura all’interno delle aree occupate dagli impianti eolici”.
Lo studio del Consorzio Mediterraneo calcola che con i nuovi 84 impianti sarebbe sottratta una superficie di circa 17.511 km² alle attività di pesca professionale, in particolare lo strascico, e di maricoltura. Questo porta a inevitabili ripercussioni sulla loro sostenibilità economica, in relazione ai volumi del pescato e all’occupazione. Lo studio, infatti, stima una perdita di oltre 4mila addetti, senza tenere conto del ridimensionamento che subirebbe l’ampio indotto industriale e commerciale. I maggiori effetti negativi sarebbero particolarmente pesanti per le marinerie della Puglia Centrale e meridionale, della Sardegna Meridionale e della Sicilia Sud-Occidentale. L’impatto occupazionale sarebbe concentrato soprattutto nella Sicilia Sud-Occidentale (oltre 2mila addetti in meno), in Puglia centrale e meridionale (-1.000), Sardegna meridionale (-500). Seguono Romagna (-300), Lazio (-200), Calabria e Sicilia Ionica (-200).
Minor superficie di mare a disposizione per i pescatori, -21,6%. Sempre secondo lo studio del Consorzio Mediterraneo, gli effetti sarebbero sulla superficie marittima utilizzabile per la pesca a strascico. Attualmente di poco più di 100mila km², ovvero meno del 32% della superficie complessiva delle acque marine italiane (oltre 350 mila km², dei quali quasi 200 mila interdetti alla pesca a strascico), gli impianti off-shore porterebbero ad una riduzione di 17.511 km², -21,6% della superficie di mare utilizzabile. Un valore che può apparire trascurabile su scala nazionale, ma che assume ben altro rilievo se si considera che gli impianti progettati non sono uniformemente distribuiti lungo le coste italiane, ma fortemente concentrati, sovrapponendosi su zone di mare fortemente sfruttate dalla pesca professionale.
Le regioni più colpite dagli effetti degli impianti eolici. Dallo studio emerge come la riduzione della pesca a strascico sia particolarmente allarmante soprattutto in alcune zone. Nell’area marina della costa meridionale della Sicilia (Gsa 16) la riduzione della superficie per la pesca a strascico sarebbe del 73,5%, nel mare Adriatico lungo le coste della Puglia (Gsa 18) del 58,4% e in Sardegna (Gsa 11) del 24,6%. A farne le spese sarebbero aree frequentate da marinerie di estrema rilevanza per la pesca nazionale. In Sicilia, ad esempio, le marinerie di Mazara del Vallo, Sciacca, Marsala, Trapani, dovrebbero fare i conti con una riduzione della superficie disponibile per le proprie attività di circa 2.800 Km2, per la localizzazione di 12 dei 22 impianti previsti.
Dove sono previsti gli impianti. In Puglia, i 21 impianti progettati, distinti in tre raggruppamenti (9 localizzati al largo delle coste del Gargano, del Golfo di Manfredonia e dei Comuni costieri della Puglia centro-settentrionale; 5 al largo delle coste dei Comuni costieri della Puglia centro-meridionale; 6 al largo delle coste più meridionali della Puglia e nel Golfo di Taranto) determinerebbero una riduzione della superficie disponibile di circa 5.300 km². A risentirne sarebbero le attività di marinerie di grande rilievo. Per la Puglia settentrionale e centrale, quelle di Manfredonia, Barletta, Molfetta, Bari, Mola di Bari, Monopoli e Brindisi (379 imbarcazioni, pari al 28,8% del registro delle barche da pesca e al 35,46% di quelle da strascico). Per la Puglia meridionale si determinerebbe un intralcio pesante alle attività di Otranto, Gallipoli, Santa Maria di Leuca e Porto Cesareo. In Sardegna, dei 23 impianti progettati, 16 interesseranno soprattutto le acque prospicienti la costa meridionale dell’isola e formano una cintura di sbarramento di 1.572 km², pressoché continua, per importanti marinerie, come quella di Cagliari e quella di Sant’Antioco (la parte nettamente preponderante delle 541 imbarcazioni iscritte al registro della pesca, che rappresentano il 43% delle imbarcazioni da pesca dell’isola e il 54% di quelle da strascico).
(Red-Lab/Labitalia)
ISSN 2499 – 3166
FONTE ADNKRONOS
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